L’America scoperta dall’Europa
(XV-XVII)
L’espansione
Attorno al XV secolo, dalla penisola iberica parte il movimento espansionistico che guiderà l’Europa verso la conquista.
Dalla prima metà del 1400, i portoghesi, spinti sia dalla curiosità per le scoperte geografiche, sia dal desiderio di profitto che si arebbe avuto dall’apertura di nuove vie commerciali, scesero lungo le coste dell’Africa sfruttandone risorse quali avorio, oro, e schiavi.
Enrico, infante di Portogallo detto il navigatore (1460), fondò e diresse un arsenale, un osservatorio e una scuola cartografica e nautica. Le esplorazioni da lui promosse, assicurarono al Portogallo: Madera, le Azorre, il Rio de Oro, la regione costiera del Senegal e della Guinea.
Con Giovanni II, nel 1481, alla scoperta dell’Africa meridionale si aggiunse quella orientale, l’Egitto e infine l’India. Il Capo delle Tempeste, quello che in seguito prenderà il nome di Capo di Buona Speranza, venne scoperto da Bartolomeo Diaz.
Ma nonostante lo splendido inizio del Portogallo, era un’altra la nazione che avrebbe guidato la conquista Americana. Due regni vicini al Portogallo, e di esso tradizionali rivali, l’Aragona e la Castiglia, si stavano preparando ad entrare in competizione per la conquista dei mondi al di là dei mari.
Nel 1469 con il matrimonio reale tra Isabella e Ferdinando, si realizzò l’unione dei due regni di Castiglia e di Aragona, che costituiranno un sistema politico totalitario e potente, anche grazie all’appoggio della gerarchia ecclesiale.
I nuovi regnanti, chiamati i “re cattolici” iniziarono un processo di cristianizzazione dello stato che venne imposto con scomuniche, espulsioni di ebrei e maomettani e riforme ecclesiastiche. Inoltre, per assicurare l’ortodossia cattolica venne istituita l’inquisizione. Francisco Jiménez de Cisneros, confessore della regina Isabella e cardinale di Toledo, si occupò della riforma dei vari ordini del clero mendicante che dal 1520 sarebbe stato incaricato di svolgere mansioni missionarie in America Latina.
Nel 1482 iniziò una guerra, che durerà 10 anni, contro il regno saraceno meridionale, l’emirato di Granada, l’ultima roccaforte araba in suolo spagnolo; conflitto che può essere considerato come la fase finale della riconquista spagnola (la conquista di Granata, verrà chiamata crociata del XV sec.) Nel 1499 a Granada Cisneros farà bruciare tutti i libri islamici.
La rivalità in campo espansionistico e commerciale tra portoghesi e spagnoli si manifestò con aperta violenza e le coste africane diventarono teatro di scontri tra le due parti.
Nel 1479 il Trattato di Alcaçovas divise formalmente le zone contese. Alla Spagna andarono le Isole Canarie, mentre al Portogallo le Azzorre, Capo Verde, Madera e le coste dell’Africa.
Nel 1492 Colombo propose il suo progetto di “Impresa delle Indie”, terre di inestimabile ricchezza, rivolgendosi in prima istanza a Giovanni II di Portogallo e solo in seguito, dopo il rifiuto portoghese, ai rivali della corte spagnola. Colombo promise a Isabella e Fernando vantaggi politici e commerciali in qualunque nuova terra da lui esplorata.
All’epoca, le merci orientali, tra cui le spezie (cannella, pepe, chiodi di garofano, zenzero), erano molto richieste e per la corona spagnola l’accesso diretto alle ricchezze delle Indie significava svincolarsi dal monopolio commerciali degli intermediari e quindi aumentare i propri profitti. La guerra santa contro l’islam aveva depauperato il tesoro della corona e i regnanti avevano necessità di guadagni.
La prima rotta di Colombo procedette dalle Canarie, unico possedimento spagnolo, verso ovest. Dopo un mese dalla partenza dalle Canarie si avvistò la terra (Bahamas, Cuba, Haiti).
Colombo fece ritorno con diversi indigeni da mostrare a Isabella, lasciando a terra una quarantina di uomini sulla costa di Hispaniola (Haiti).
L’ammiraglio era convinto di aver dimostrato l’esistenza di una nuova rotta per l’estremo oriente; egli sottovalutava la circonferenza terrestre e sopravalutava la porzione di terra rispetto ai mari, credeva di aver raggiunto Cipango, il Giappone. Per caso, Colombo di ritorno dal suo viaggio, fu costretto ad approdare vicino a Lisbona e a dare notizia della sua impresa al re portoghese Giovanni II. Ma l’interesse portoghese era quello di smentire il racconto di Colombo, così che, paradossalmente, la valutazione che il re del Portogallo diede dell’impresa fu più esatta di quella data dallo stesso Colombo: San Salvador e le alte isole esplorate non avevano somiglianza con l’Asia e in più si trovavano tanto vicine ai possedimenti del Portogallo da giustificarne le richieste dei portoghesi.
In Spagna, pochi mesi dopo il ritorno del condottiero, i regnanti comunicarono al Papa la scoperta di terre ad occidente e non fecero allusione all’estremo Oriente.
L’anno del primo viaggio di Colombo era lo stesso anno della conquista di Granada. La corona spagnola trionfava con il segno della croce impressa sull’impugnatura delle spade e la regina Isabella, già madrina dell’Inquisizione, sarebbe stata eletta dal pontefice spagnolo Alessandro VI Signora del nuovo mondo. La chiesa espandeva il regno di Dio nel mondo, grazie all’espansione del regno di Castiglia.
contese territoriali…
Dal 1492 in poi le attività di navigazione portoghesi si estesero soprattutto nelle zone a Sud e ad Est dell’Europa, mentre quella Spagnola verso l’America. In corrispondenza del Brasile, s’incrociarono il nuovo mondo Orientale del Portogallo e quello Occidentale della Spagna. Gli inevitabili contrasti territoriali tra i due paesi trovarono un compromesso diplomatico con la più antica divisione coloniale del territorio americano: il Brasile fu attribuito al Portogallo e il resto dell’America alla Spagna.
Fin dalla metà del 1400 il papa aveva conferito ai monarchi Portoghesi i diritti sovrani sulle terre scoperte e il diritto di assoggettare i popoli non cristiani dell’Africa, diritto confermato da una bolla papale che conteneva la frase “fino alle indie”. Nel 1493, in riferimento a tale consuetudine, i regnanti spagnoli cercarono di ottenere dal Papa la donazione delle terre scoperte da Colombo; tale donazione venne sancita da tre bolle papali. Con due di esse, allo specifico fine di propagare la fede cristiana, venivano attribuite alla Spagna le terre scoperte da Colombo e altre terre non cristiane scoperte a Occidente in seguito. La terza bolla limitava la donazione ad un’area delimitata da una linea che passava a 100 leghe ad ovest delle Isole Azzorre e Capo Verde. La terza bolla fu di fatto a vantaggio spagnolo in quanto invalidò le pretese Portoghesi nell’Atlantico occidentale e non pose limiti a eventuali rivendicazioni spagnole verso l’estremo oriente con circumnavigazione del globo verso occidente. Una quarta bolla emanata da Alessandro VI esplicitava il favore accordato dal papato alla Spagna, consentendo l’esplorazione in tutto il mondo ad esclusione dei territori già in possesso di principi cristiani. L’anno successivo, nel tentativo di trovare un compromesso pacifico tra le due parti, la Spagna, con il trattato di Tordesillas, rinuncia volontariamente ad alcuni vantaggi con l’introduzione di una nuova linea di spartizione che delimitava le due sfere d’influenza. In quel periodo, mentre Colombo stava ancora effettuando il suo secondo viaggio, quel trattato venne da lui inteso come una limitazione ai suoi privilegi. In realtà, con il trattato di Tordesillas gli spagnoli aveva regalato ai portoghesi gran parte delle coste del Sud America.
La seconda impresa di Colombo fu la prosecuzione dell’esplorazione e della colonizzazione in occidente. Partì da Cadice nel 1493 e questa volta, dalle Canarie seguì una rotta più a sud rispetto alla prima approdando nell’isola Domenica nelle piccole Antille, dove ebbe inizio una campagna militare contro gli indigeni che vennero decimati. Con i conquistatori arrivarono anche i primi frati laici francescani ed è con loro che si ritiene ebbe inizio l’evangelizzazione latino-americana, sebbene sia probabile che ad accompagnare Colombo nel suo primo viaggio ci fosse già un sacerdote: Pedro De Arenas.
Inizia lo sfruttamento: le piantagioni
Cristoforo Colombo nel suo secondo viaggio, portò dalle isole Canarie le prime radici della canna da zucchero che piantò nelle terre della Repubblica Dominicana. Lo zucchero, prima della scoperta dell’America, era un prodotto molto ambito dagli europei; chiamato “oro bianco” veniva acquistato a caro prezzo dall’oriente. Dopo la sua fiorente crescita sulle coste Dominicane, la coltivazione dello zucchero invase le altre isole Caraibiche, il nord est del Brasile e la costa peruviana. Numerosi schiavi vennero importati dall’Africa per lavorare nelle vaste piantagioni del Nuovo Mondo che dissipavano la fertilità dei terreni, lasciandole prive del naturale humus.
La piantagione coloniale, preambolo del futuro latifondo – considerato il principale responsabile della paralisi evolutiva dell’America Latina – ebbe una fortuna transitoria, che sfumò fino a scomparire, schiacciata dalla concorrenza con altre terre o prodotti e dall’impoverimento del terreno. Un simile destino non riguardò soltanto lo zucchero; la monocultura di prodotti quali cacao, caffè, cotone, caucciù, che avevano un elevata richiesta sul mercato mondiale, diede ai paesi produttori una ricchezza effimera che si tramutò ben presto in assoluta dipendenza verso gli stati esteri, iposviluppo e miseria.
…continuano le esplorazioni
Nel 1494, una seconda colonia, Isabella, venne fondata a Hispagnola. (la precedente era stata ormai distrutta dalle lotte tra coloni e indigeni). Colombo viaggiò in seguito per alcuni mesi lungo le coste delle isole caraibiche, poi, nel 1496 ritornò in Spagna accompagnato da diversi coloni delusi, indiani fatti schiavi, polvere d’oro e manufatti.
Colombo, partì, non senza difficoltà, per un suo terzo viaggio, accompagnato da un seguito di coloni ex galeotti, dirigendosi questa volta molto più a Sud. Durante questo viaggio assistette a numerose guerre tra coloni e indiani e a discordie tra coloni stessi; terminò la sua terza spedizione con un ritorno forzato, stabilito da Francisco de Bobadilla, un governatore inviato dai reali di Spagna per sanare la situazione, che nel 1500 rispedì in patria come prigionieri Colombo e i suoi fratelli. Conclusa la carriera di amministratore coloniale, Colombo riuscì a compiere un ultimo viaggio di esplorazione nell’America centrale e sulle coste (1502-04), prima di morire due anni dopo.
Altre spedizioni, concorrenti di quelle di Colombo, anche se in parte ad esse ispirate, costeggiarono le coste del Sud America.
Alonso de Ojeda e Juan de la Cosa, poi Peralorso Nino, raggiunsero Guaiaba e Venezuela. Vincente Yanez Pinzòn navigò lungo le coste del Brasile; altri navigatori si allungarono sulle coste di Brasile Venezuela, Colombia.
Per quanto riguarda l’espanzione Portoghese; Vasco de Gama arrivò in India per la via d’Oriente (1497-99). Pedro Alvares Cabral lo seguì nel 1500 quando toccò la costa Brasiliana e proseguì verso l’india.
Fra coloro che seguirono le orme di Colombo, il più celebre fu Amerigo Vespucci che navigò sia al servizio della Spagna che del Portogallo, raggiungendo l’America la prima volta alla fine del 1400.
Juan Diaz de Solis e Vincente Pinzon viaggiarono dall’Honduras fino al limite orientale del Brasile tra il 1508 e il 1509. Nel 1513 Juan Ponce de Leon percorre la Florida, mentre Balboa esplora l’oceano Pacifico. Tre anni dopo Solis raggiunge il Rio della Plata.
ancora confini…
All’inizio del XVI sec i geografi spagnoli e portoghesi identificarono un punto alla foce del Rio delle Amazzoni come punto d’intersezione della linea di Tordesillas e il continente Americano. Ma il problema dei confini e delle influenze accrebbe d’importanza tra il 1510 e 1520 quando i portoghesi cominciarono a preoccuparsi di possibili rivendicazioni spagnole sulle zone sfruttate dai portoghesi. Secondo gli spagnoli infatti, la linea di Tordesillas doveva intendersi proiettata attorno a tutto il mondo e quindi doveva trovarsi in relazione con le Isole delle Spezie controllate dai Portoghesi in estremo oriente. A sostegno dei privilegi Portoghesi in oriente, una bolla papale del 1514 suffragava invece la limitazione della linea a di Tordesillas all’emisfero Atlantico. Ma a seguito della circumnavigazione di Magellano e Juan Sebastian del Cono (1519-21) tale preoccupazione divenne più incalzante.
Il progetto di Magellano era simile a quello di Colombo, ma partiva da conoscenze geografiche maggiori. In quell’epoca era già nota l’esistenza dell’oceano Pacifico e le coste sud-orientali dell’America erano già state esplorate. Tuttavia l’estensione dell’oceano Pacifico era ancora ignota e proprio questa incertezza rese possibile l’ipotesi spagnola che le Isole delle Spezie fossero a oriente del prolungamento nell’altro emisfero della linea di Tordesillas. In quest’ottica partì la spedizione di Magellano appoggiata dal governo reale di Spagna. Salpò nel settembre del 1519, passando nel Pacifico attraverso lo stretto che prenderà il suo nome; Magellano morirà nelle Filippine nella primavera del 1521. Juan Sebastian del Cono invece proseguì il viaggio verso le isole delle spezie e da qui si diresse a sud-ovest attorno l’Africa per rientrare in Spagna tre anni dopo la partenza.
La conquista
Nel corso del XVI sec l’attenzione degli spagnoli si stava spostando dalla sola zona caraibica; stava per avere inizio l’epoca chiamata “età della conquista”, quel processo che combinava all’invasione delle terre, l’asservimento dei popoli indigeni. Erano gli anni in cui i conquistadores europei, bramosi di assicurarsi le immense ricchezze delle nuove terre, si erano lanciati all’inseguimento del mito di Eldorado (un monarca d’oro inventato dagli indigeni per allontanare gli invasori) e avevano piegato le popolazioni autoctone con la forza, la frode e le malattie come vaiolo, tifo e tetano che essi portavano con sé.
La chiesa aveva “approvato” la conquista, affidando agli spagnoli il compito di evangelizzare l’America e, per risolvere il problema di correlazione tra cristianizzazione e conquista legittima dei territori, venne stilato un documento, il Requirimento, che veniva letto agli indiani all’inizio delle battaglie per “intimidirli” e indurli a piegarsi alla Chiesa e che a livello formale “assolveva” i conquistadores dalla colpa di aver sollevato una guerra ingiusta.
Negli anni della conquista – ma, come fase iniziale, a partire dal periodo appena precedente – si andò formando un’aristocrazia coloniale che esercitava il suo potere sugli indigeni all’interno di un’istituzione detta encomienda. L’encomienda risolse ai primi coloni il problema della manodopera: gli indigeni lavoravano per i datori di lavoro spagnoli e se il loro lavoro non era volontario era imposto loro con la forza. Specialmente quando la richiesta di lavoratori si faceva più urgente, erano frequenti le incursioni degli spagnoli nei villaggi indigeni, per ridurre in schiavitù la popolazione. Gli abitanti di uno o più villaggi venivano dati in consegna ad un colono spagnolo che assumeva il ruolo di encomiendero. L’encomiendero aveva il compito di cristianizzare gli indiani che gli erano stati affidati e di prestare servizio militare; in cambio avrebbe potuto usufruire di prestazioni lavorative da parte degli indios, che venivano impiegati nella costruzione di edifici, nelle miniere e nelle attività agricole. In pratica, i nativi, considerati “vassalli” della corona, pagando il loro tributo ai regnanti, svolgevano quel lavoro manuale che i coloni non erano disposti a fare e quest’ultimi espletavano il loro dovere verso la cristianità con la conversione dei pagani. Con la sacra investitura dell’encomienda e degli encomienderos, la corona conciliava le necessità economiche con le finalità cristiane. In realtà per gli encomienderos, molto più interessati al lavoro svolto dagli indigeni che alla loro conversione, l’evangelizzazione spesso si riduceva al solo battesimo di massa. Generalmente gli spagnoli credevano che gli indiani fossero “selvaggi”, senza possibilità di redenzione, si diceva che non avessero l’anima, e questa proterva concezione “autorizzò” i soprusi commessi dagli invasori.
Gli encomienderos erano tenuti a comportarsi civilmente con i nativi e quest’ultimi dovevano impegnarsi ad abbandonare le loro “cattive abitudini” per le nuove: imparare a vestirsi, a dare valore ai soldi, a studiare e imparare la religione cattolica. Anche se gli encomienderos avevano il dovere di trattare i lavoratori delle encomienda con rispetto umano, senza poterli vendere o comprare, non vi era differenza tra gli indios delle encomiende e quelli che stavano fuori.
Isabella aveva denunciato apertamente la sua condanna per il commercio di prigionieri indigeni, ma la sua denuncia riguardava soltanto una parte degli schiavi: quelli che non avevano opposto resistenza, che non si erano macchiati di ribellione o cannibalismo. Questi indigeni, che avevano il diritto di considerarsi “liberi”, potevano essere assegnati in encomienda. In questo modo, la popolazione “libera” aveva la possibilità di scegliere volontariamente di lavorare; se ciò non avveniva, era costretta al lavoro in quanto soggetta a schiavitù.
L’encomienda è stata l’istituzione simbolo dell’oppressione del popolo nativo americano e fu costituita sulla base di quel feudalesimo che gli spagnoli stessi avevano sperimentato in patria. In realtà, l’encomienda non comprendeva la proprietà delle terra da parte dei conquistatori. I terreni restavano di proprietà india; ma di fatto, dall’encomienda in poi, i coloni si impossessarono delle terre indiane e lo sfruttamento del popolo indigeno si protrasse fino ai giorni nostri con la nascita del latifondo. Questa istituzione coloniale alterò profondamente lo stile di vita dei nativi che vennero trascinati in una spirale verso la più cupa povertà. Essi non svolsero più le attività della tradizione, ma costretti a pagare il loro tributo con il proprio lavoro, non riuscirono ad accumulare nessuna personale ricchezza, né materiale, né di conoscenza utilizzabile per il futuro.
L’invasione cristiana
Se da un lato la chiesa con il suo beneplacito permise la brutale conquista dei territori americani, è anche vero che molti frati spagnoli partirono per la missione in America con un reale e sentito disegno di evangelizzazione, frutto di quell’umanesimo cristiano cresciuto in Europa al diffondersi della cultura umanista, che si proponeva il compito di “purificare” il nuovo mondo. Essi videro nelle terre americane un’umanità da modellare interamente secondo i principi cristiani e si avvicinarono agli indigeni con volonterosa fermezza. I frati scelsero di presentarsi ai nativi in maniera opposta a quella dei coloni ispanici, ossia senza violenza e con la sola arma del battesimo di massa quale immediata salvezza delle anime. Furono costruite chiese e cappelle, spesso sulle rovine degli antichi templi pagani rasi al suolo, con l’aiuto degli indios convertiti che prestavano gratuito servizio presso i frati. Si trovano sparsi per l’America numerosi esempi di queste chiese dalla struttura imponente e le mura merlate, come la chiesa francescana a Quito in Equador, o quella agostiniana di Acolman in Messico. Nel 1504 vennero istituite le prime diocesi: a Santo Domingo, Hispañola e Puerto Rico.
L’umanesimo cristiano fu formalmente esportato in America Latina con Juan de Zumarraga, seguace del pensiero erasmiano, che scrisse dei manuali sia per il clero messianico: Doctrina breve, sia per gli indiani convertiti, una sorta di catechismo chiamato Doctrina cristiana; inoltre promosse la traduzione delle sacre scritture in lingue indigene. Nel 1527 Zumarraga fu nominato primo vescovo del Messico. A Tlatelolco (città del Messico) fondò il “Collegio de Santa Cruz” dove venivano insegnati il latino, la musica, la filosofia e la retorica.
Un collaboratore di Zumarraga, Vasco de Quiroga, si dedicò alla costruzione di comunità improntate sull’Utopia di Tommaso Moro. Tuttavia, l’umanesimo cristiano ebbe vita breve. Gli scritti di Erasmo da Rotterdam furono presto condannati quando la Spagna si mise alla guida della Controriforma cattolica in Europa. Di conseguenza l’entusiasmo dei frati missionari in Messico andò affievolendosi.
Di fatto l’invasione cristiana degli europei avveniva in una terra già creatrice di una propria civiltà che purtroppo venne violata sia dal proselitismo salvifico dei frati, sia dalla censura della santa inquisizione, così come dall’avidità dei conquistadores. L’”anima” originaria delle Americhe fu schiacciata con la forza della presunzione europea e il popolo indios venne umiliato da una dominazione oppressiva e totalizzante che agiva con il preciso intento di soffocare una cultura considerata dagli invasori indegna di esistere.
interesse e morale…
Dopo la morte di Isabella (1504) Ferdinando dimostrò ancora più indulgenza verso gli encomienderos ed anzi, ricavò egli stesso dei guadagni dalle encomiende, applicando delle tasse per gli encomienderos sul numero di indios e facendo lavorare questi ultimi nelle miniere d’oro al servizio diretto della corona.
I missionari Domenicani sollevarono il “problema morale” della conquista. Tra questi, in particolar modo Bartolomè de Las Casas, un personaggio enigmatico che fu chiamato “l’apostolo degli indiani”. Las Casas, in un primo tempo fu egli stesso partecipe dello sfruttamento e della conquista. Prese parte all’occupazione di Cuba del 1512 e ne fu ricompensato con la consegna di un encomienda. Soltanto due anni dopo, cambiò totalmente la propria vita; si fece fautore di una riforma coloniale entrando nell’ordine dei domenicani e promuovendo numerosi progetti umanitari. Divenuto poi vescovo di Chapas denunciò le crudeltà che venivano perpetrate dalla Spagna in America e delegittimò la conquista in quanto sottrazione illecita dei territori di proprietà indigena. Il su pensiero si scontrò con quello diametralmente opposto di Juan Ginés de Sepùlveda che invece considerava la conquista legalizzata dalla naturale superiorità degli spagnoli e da una sorta di autorizzazione divina contenuta nei vangeli.
Las Casas scrisse anche diversi trattati in cui venivano descritte le torture subite dai nativi da parte dei coloni; si disse che fu il rappresentante della “vera coscienza spagnola”.
Tuttavia la sua posizione non fu esente da critiche. La più importante è quella che riguarda la sua accettazione della schiavitù della popolazione nera, utilizzata come manodopera schiava al posto degli indiani.
Ferdinando rispose al problema emanando le leggi di Burgos (1512-13) un codice che regolava le relazioni fra indiani e spagnoli. Ma nonostante la stesura delle leggi che imponevano agli encomienderos comportamenti corretti e ribadivano il loro compito evangelico, non esisteva nessun modo per farle osservare.
Nonostante l’impegno dei frati missionari, la conversione degli indiani nella maggioranza dei casi non fu mai totale. La religione cattolica cominciò a coesistere accanto alle pregresse religioni pagane che con difficoltà venivano estirpate dal substrato culturale. Ad ulteriore impedimento alla cristianizzazione si collocò il contrasto tra chiesa ed encomienda; i frati contestavano i maltrattamenti subiti dagli indiani da parte dei coloni e quest’ultimi consideravano la chiesa una minaccia per l’attività dell’encomienda. D’altra parte, la corona stessa riteneva entrambe le istituzioni (chiesa e encomienda) un pericolo per la monarchia.
Ferdinando, se con le leggi di Burgos riavvicina l’encomienda allo spirito cristiano per rabbonire le critiche dei domenicani, tramite le bolle papali del 1501 e 1508 e l’istituzione del Patronato di Real si era assicurato il potere di nomina delle cariche ecclesiastiche nelle colonie. Tuttavia, il Patronato di Real, se da un lato stabiliva una certa egemonia dello stato sulla chiesa, dall’altro consentiva anche una forte intrusione ecclesiastica negli affari politici.
…commercio, guerra e religione
Nel 1503 in Castiglia, a Città di Siviglia, venne fondata la Casa de contractation (Casa del commercio) quale centro amministrativo per il commercio coloniale. La Casa era alleata alla Lega mercantile di Siviglia (Consulado). Grazie alla Casa, i mercanti di Siviglia possedevano una via commerciale esclusiva, mentre tutti gli altri commercianti, spagnoli e stranieri, dovevano trattare con la Lega.
Il monopolio dei mercanti di Siviglia, in particolar modo dei metalli preziosi, per un certo periodo di tempo, fece diventare Siviglia una delle città più fiorenti del mondo. L’improvvisa ricchezza indusse i governanti a tentare nuove imprese belliche per affermare il cattolicesimo in Europa. Le guerre produssero al paese perdite superiori alle entrate.
Nel 1516 salì al trono il nipote di Ferdinando, Carlo I. Figlio di Filippo il Bello (Arciduca d’Austria, figlio di Massimiliano I d’Asburgo e Maria di Borgogna) e Giovanna la Pazza (Regina di Castiglia, figlia di Isabella di Castiglia e Ferdinando di Aragona), Carlo venne educato nel clima fiammingo dell’umanesimo cristiano e alla morte del nonno (1516), Ferdinando d’Aragona, ereditò i regni di Aragona, Napoli e Sicilia e in nome della madre, divenne anche governatore generale di Castiglia. Alla morte del nonno Massimiliano I (1519) ereditò assieme al fratello Ferdinando i domini degli Asburgo e si propose come candidato alla corona del Sacro Romano Impero. Eletto imperatore come Carlo V, egli diventava il sovrano più potente d’Europa. Il suo dominio si estendeva dalla Castiglia, alle colonie americane, dall’Aragona, con la Sicilia e Napoli, alla Borgogna e infine agli stati asburgici. Il suo era l’impero sul quale “non tramontava mai il sole”.
Carlo V appoggiò la causa di Las Casas che auspicava la totale abolizione dell’encomienda.
La caduta delle grandi civiltà precolombiane
Nel 1519 Hernán Cortés e il suo esercito entrarono a Tenochtitlan, la capitale azteca fondata nel XIV sec sul suolo in cui oggi sorge Città del Messico.
Circa quindici anni prima dell’arrivo degli spagnoli, lo stato militare azteco al comando dell’imperatore Montezuma II, aveva ottenuto il completo asservimento dei popoli vicini. Cortés dopo lo sbarco sulle coste del Messico, si diresse verso il centro dell’impero e durante questo percorso non gli fu difficile stringere alleanza con le popolazioni appena vinte, alleanze che gli permisero di vincere le prime battaglie contro gli aztechi e di piegare ai propri scopi l’imperatore Montezuma. Gli spagnoli restarono nel paese indisturbati fino al 1520 quando, nella notte ricordata col nome di noche triste, un insurrezione della plebe azteca riuscì a mettere in fuga gli invasori. Tenochtitlan ridiventò possesso degli autoctoni, mentre gli spagnoli sconfitti si rifugiano con i loro alleati indiani nei pressi di Tlaxcala. Tuttavia, la libertà ritrovata fu breve; l’anno successivo Cortes riuscì a conquistare definitivamente la roccaforte azteca, battendone l’esercito comandato da Cuauhtemoc, genero di Montezuma.
Dopo il 1519 e l’invasione dell’Impero Azteco, inizia l’evangelizzazione vera e propria con lo sbarco dei missionari Domenicani, Agostiniani e Francescani che inizieranno la loro predicazioni affiancati da interpreti.
Nel 1520 mentre Cortes assoggettava nuove popolazioni in Messico, il governo decretò la fine dell’istituzione dell’encomienda. Ma l’ordine non venne obbedito. L’encomienda fu portata nel Messico e successivamente avrebbe seguito i conquistadores nelle loro espugnazioni. Lo sfruttamento delle masse da parte degli spagnoli era facilitato dal fatto che nelle società Azteche e Inca era già in uso. I capi indiani contrattavano con gli encomienderos che in prima persona avevano pochi contatti con gli altri indios. L’encomienda si sviluppò apertamente nelle colonie e Cortes divenne il più grande encomiendero d’America. L’aristocrazia coloniale che andava formandosi, tentò di rendere l’encomienda un possedimento ereditario; la corona si occupò della questione della successione dell’encomienda negli anni ’30 e ’40, assillata dal timore di perdere il proprio potere sul nascente gruppo sociale colonico.
Nel 1542-43 per regolare l’organizzazione delle encomiende e i rapporti tra encomiendero e lavoratori autoctoni, vennero promulgate le Nuove Leggi che esprimevano in termini di politica umanitaria quello che in realtà era la lotta per riaffermare il potere regio. Le Nuove Leggi erano molto più rigide e meno ambigue delle precedenti leggi di Burgos e suscitarono subito venti di ribellione. In Perù, dove la guerra civile non si era mai interrotta, scoppiò una grande rivolta. Mentre in Messico, le leggi, considerate inapplicabili, non vennero nemmeno emanate.
A metà del XVI secolo ebbero inizio una serie di decreti restrittivi che cominciarono ad intaccare la relazione tra lavoratore e encomienderos. In seguito la corona stabilì le norme sulla trasmissione in eredità dell’encomienda. Verso la fine del secolo l’istituzione della encomienda cominciò a declinare. Il progressivo disfacimento dell’encomienda non fu legato soltanto ai decreti regi, ma soprattutto all’andamento demografico della popolazione india. Gli encomenderos dovevano la loro fortuna al possesso di grandi quantità di lavoratori indigeni; dopo la conquista le folti masse indigene decrebbero progressivamente. I decessi erano da attribuirsi sia alle crudeltà perpetrate dagli encomenderos, sia alle malattie importate dall’Europa che per i nativi, privi di immunità specifica per tali infezioni, avevano assunto le caratteristiche di epidemie.
La conquista dei territori aztechi da parte di Cortes fu imitata da molti conquistador che vennero in seguito.
La presa delle terre Maya (nelle regioni del Guatemala), proprio per le diverse caratteristiche di questo popolo, richiese più tempo. L’assenza di un centro di primaria importanza come era stata Tenochtitlan per gli aztechi, fu la difesa migliore per il popolo Maya. Gli eserciti spagnoli, riuscirono ad ottenere il controllo della regione soltanto dopo dieci anni di avvicendate lotte (1524). Si dice che tutto il sangue degli indios ammazzati da Pedro Alvarado (luogotenente di Cortes) in Guatemala creò un fiume: l’Olimtepeque.
Sulle altura delle Ande la società più organizzata di tutta l’America, la civiltà Quechua (Inca), viveva proprio in quel periodo una profonda crisi interna che la rese più vulnerabile alla conquista spagnola. Francisco Pizarro tentò per tre volte di raggiungere il Perù. Ci riuscì la terza volta quando arrivò a Cuczo, la capitale dello stato Inca. Pizarro in Perù trattò separatamente e in segreto con entrambe le fazioni rivali all’interno del paese, riuscendo ad ottenere ricchezze e potere. Dopo il 1533, in seguito a vari disordini sorti tra i seguaci di Pizarro e quelli di un secondo conquistador, Diego Almagro per la spartizione degli averi, esplose una vera e propria guerra civile tra le varie fazioni spagnole che cercavano di accaparrarsi l’aiuto dei vari gruppi indiani. Queste lotte resero possibile la sopravvivenza di una parte di Inca che continuò a mantenere la propria esistenza in una perduta regione delle Ande. La guerra tra stato Inca e governo spagnolo fu lunga e logorante; ebbe termine con l’uccisione dell’ultimo discendente dei re Inca: Tupac Amaru.
La civiltà indigena della Colombia (civiltà Chibcha) attirò a sua volta molti conquistador tra i quali il più famoso fu Ponzalo Jiminez de Quesada.
Gli spagnoli entrarono anche nel territorio del Rio de la Plata dove verso la fine del 1530 fondarono la città di Buenos Aires.
In Paraguay eserciti spagnoli combatterono a fianco degli indios Guaranì contro i Guaiacurù e altri popoli indigeni. In questa zona gli spagnoli conquistarono il ruolo di capi indigeni e grazie a matrimoni misti poligami diedero vita ad una popolazione di sangue misto, i mestizos.
Continua lo sfruttamento: le miniere d’oro e d’argento
Le terre scoperte dagli spagnoli abbondavano di metalli preziosi e gli esploratori europei si lanciarono fin da subito sui tesori che già gli indigeni avevano accumulato. Cortés di impossessò delle ricchezze di Montezuma, mentre Pizarro riuscì ad ottenere molto oro e argento dall’Inca Hatahualpa. Poi cominciarono i lavori nelle cave, l’estrazione e quindi l’esportazione dei preziosi.
Se all’inizio era l’oro il metallo più esportato, dopo la scoperta, tra il 1545 e il 1558, delle miniere d’argento di Potosí, in Bolivia e quelle di Zacatecas e Guanajuato nel Messico, il metallo giallo fu soppiantato dall’argento.
Potosí, venne definita dall’Imperatore Carlo V, Villa Imperial. A metà del XVII sec l’argento era il minerale maggiormente diffuso dall’America spagnola.
A differenza degli spagnoli, i portoghesi in Brasile credettero di essere in un paese privo di metalli preziosi; gli aborigeni non conoscevano i metalli e i conquistatori dovettero cercarli da soli. Ben presto venne individuata la zona di Minas Gerais, dove si trovava la maggior quantità d’oro fino ad allora scoperta. L’estrazione dell’oro coinvolse anche un grandissimo numero di schiavi importati dall’Africa.
…confini, guerre e organizzazione
A seguito dei nuovi viaggi, si conquistò la cognizione geografica delle relazioni esistenti tra America e le altre masse continentali e queste conoscenze esacerbarono le questioni territoriali di Spagna e Portogallo. Nel 1524 il trattato di Victoria concordava per un incontro tra esperti al fine di fissare una linea di demarcazione transoceanica. Tale riunione, che avvenne a Badajoz, si concluse senza aver raggiunto un accordo.
Nel 1529 Carlo V, in difficoltà finanziarie a causa della guerra con la Francia, decise di rinunciare alle sue pretese sulle territoriali, in cambio di 350.000 ducati. Carlo V si era indebitato con numerosi banchieri nazionali e stranieri, così che una parte sempre più ingente delle entrate reali veniva immediatamente utilizzata per colmare i debiti. Da questo momento in poi, inizierà a farsi evidente il fallimento dell’economia spagnola.
Fin dall’inizio, le Indie furono considerate proprietà della corona di Castiglia. Nel regno di Castiglia la monarchia esercitava con facilità la giurisdizione regia, in quanto il Consiglio di Castiglia era poco influente sull’amministrazione, a differenza invece dell’Aragona, in cui le decisioni più importanti dovevano avere l’approvazione dia del re che delle cortes. Le strutture amministrative americane, in stretto rapporto con il Consiglio di Castiglia, si svilupparono sotto l’autorità della corona. Nacque il Consiglio delle Indie, che come il Consiglio di Castiglia era direttamente subordinato al sovrano. Esso si occupava della legislazione, fungeva da tribunale e attribuiva le cariche religiose e civili. Il Consiglio delle Indie fu fino al XVII sec l’istituzione governativa più importante che si ebbe in America.
Tra i delegati della corona che amministravano le colonie, occupavano la posizione di maggior prestigio i vicerè che erano a loro volta affiancati da organi consultivi detti audiencias.
Inizialmente l’America era divisa in due vicereami:
il vicereame del Messico (Nuova Spagna) istituito il 1535 con capitale a Città del Messico
il vicereame del Perù (Nuova Castiglia) costituito nel 1542 con capitale Lima.
I vicereami erano divisi in varie audiencias ad essi subordinate. Le audiencias erano a loro volta divise in zone ancora più piccole, la cui giurisdizione era presieduta da diversi funzionari: Alcades Majores, Corregidores, Gobernadores; il governo centrale intendeva assicurarsi del corretto svolgimento delle mansioni da parte dei funzionari, mediante l’invio di ispettori (visitadores).
Verso il 1550, il commercio di lana, seta, manufatti e agricoltura era in seria difficoltà. Il governo imperiale, tentò di recuperare le perdite con l’imposizione di tasse alle colonie. Venne imposto il Dazio Doganale (almojarifazgo) e numerose altre imposte; ma la regolarità della riscossione di tali imposte era corrotta dal peculato e illeciti di ogni tipo. Ciò che alla fine arrivava nelle casse della corona, non era altro che il residuo lasciato dai funzionari governativi.
L’imperialismo politico spagnolo fu caratterizzato da una sistematica disobbedienza alle leggi.
Nel corso del XVII sec, la produzione spagnola è insufficiente per le richieste coloniali e il monopolio dei metalli preziosi è mantenuto solo a livello formale. La presenza degli stranieri era ormai cosa comune: le flotte erano in mano ai commercianti inglesi, olandesi e francesi che spesso introducevano in Spagna le proprie merci, spacciandole per merci spagnole da esportare in America.
cattolicesimo americano…
Intorno alla fine del 1500 arrivano in America i Gesuiti; con loro fa il suo ingresso a Lima e a Città del Messico l’Inquisizione. Tuttavia accanto a questo tipo di attività e istituzioni religiose, emerge anche un cattolicesimo “popolare”, più vicino a quell’”anima” nativa non ancora morta. Il cattolicesimo indigeno insubordinato alle leggi del cattolicesimo europeo, dà vita ad Opere Pie, ospedali, associazioni e quilombos, villaggi di schiavi neri liberati.