Associazione Pro Ruscio Da visitare a Ruscio e nei dintorni... |
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a Ruscio Il santuario di Forma Cavaliera e nei dintorni ... Il Convento e la Chiesa di San Francesco in Monteleone La miniera di ferro di Terrargo
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Santa Maria de Equo (o del Piano) VIII - IX secolo Situata al centro della vasta Vallata formata dai depositi alluvionali del fiume Cornoe dai detriti di falda dei rilievi circostanti, la chiesa di Santa Maria del Piano e' di fondazione altomedioevale (tra l'VIII e il IX secolo) epoca in cui sono testimoniati un oratorio e numerose celle monastiche, presto trasformatisi in un priorato benedettino dipendente dalla potente Abbazia di Ferentillo, uno dei piu' importanti complessi monastici altomedioevali di tutta l'Italia centrale. Il titolo originario della Chiesa, Santa Maria de Equo, dipendeva dall'essere il centro di culto piu' rilevante dell'antico gastaldato longobardo denominato "equano", all'incirca coincidente con l'area di tutto l'attuale comune di Monteleone di Spoleto. Gia' a quell'epoca la pieve di Santa Maria doveva assolvere a piu' funzioni, non solo religiose, ma anche legate alla vita sociale delle piccole comunità campestri disseminate nella piana e sulle alture circostanti, come quella di sede di mercato e di luogo di riunione festiva delle famiglie di agricoltori sotto al portico e nel piccolo atrio che un tempo doveva precedere l'edificio di culto. La costruzione attuale e' di evidenti forme romaniche ed e', quindi, possibile farla risalire ad un periodo tra il IX e il XIII secolo: e' realizzata in cortina a filari regolari di conci ed ha un portale semplice ma elegante, mentre il portico e' certamente piu' tardo ed e' stato restaurato in anni recenti per riparare il grave dissesto in cui era caduto. L'edificio che presenta inseriti nelle mura perimetrali blocchi di pietra di antichi edifici romani - del resto, l'esistenza di insediamenti gia' in epoca romana e ancor prima etrusca in questa zona e' ben nota a tutti - e' particolarmente lungo perche', oltre alla chiesa, ingloba quanto resta della struttura altomedioevale, vale a dire un ambiente che venne sempre adibito a ricovero per eremiti. Abbiamo notizia certa che nel XIV secolo visse qui come eremita, operando anche dei prodigi, il nobile Fra Gilberto dei Tiberi, la famiglia che fin dal IX secolo aveva governato come proprio feudo Monteleone, ricevendo la consacrazione anche da Federico Barbarossa. Essi appartenevano ad un ramo dei nobili Attoni, signori di Arrone, Ferentillo e Piediluco e il loro feudo comprendeva anche Vetralla, Pienezza e Terzone ed era da loro chiamato "terra tibertesca". L'interno della chiesa e' di linee estremamente semplici come e' tipico delle pievi di campagna, e presenta un altare settecentesco dal fastoso carattere barocco, su cui erano attestati dipinti databili al 1770 circa, oggi scomparsi perche' trafugati. Alle spalle dell'altare, ad una quota piu' bassa rispetto alla navata, c'e' un piccolo ambiente rettangolare coperto da una volta a botte, che potrebbe identificarsi con l'antica cripta romanica, ricavata sotto alla stanza usata dagli eremiti come proprio alloggio: i due piani erano comunicanti fino ad alcuni decenni fa tramite una scaletta. Alcuni studiosi della Valnerina ricordano che nella chiesa era ospitata una notevole statua lignea della Madonna, risalente al XIII secolo ed assai venerata, che oggi dovrebbe trovarsi nella sacrestia di San Francesco, dove e' tornata dopo essere stata trafugata e recuperata e recuperata insieme ad altre opere d'arte. Nell'interno della chiesa e' ancor oggi possibile riconoscere, benche ridotti a poco piu' che larve, alcuni affreschi del XV secolo che intendono ricordare i Santi legati ai vari centri di culto di Ruscio e alle storie della Passione di Cristo. A sinistra dell'altare c'e' una scena con la Madonna in trono con il Bambino e ai suoi lati Santa Lucia, identificabile tramite il calice simbolo del suo martirio - una chiesa di Santa Lucia si trova presso l'omonima fonte - e Sant'Antonio Abbate, e non di Padova con cui e' stato confuso nella dedica della chiesa a Ruscio di Sopra: egli porta inequivocabilmente l'abito da eremita e il bastone a forma di T. Sempre sulla stessa parete, piu' vicina all'altare incontriamo un affresco con la Resurrezione di Cristo, accompagnato dall'angelo che ne da' l'annuncio, mentre sulla parete opposta della navata e' possibile riconoscere una scena con il "Cristo in pieta'" in mezzo ai dolenti, avvero la Vergine e San Giovanni. Per completare il ciclo della Passione di Cristo, la scena della crocifissione e' stata rappresentata sulla parete di fondo del piccolo ambiente dietro l'altare: le condizioni sono drammatiche, ma la qualità che ne traspare e' notevole e punta verso la scuola di un maestro primocinquecentesco umbro, Giovanni di Pietro, detto lo Spagna, forse a caua della sua origine, attivo nello spoletino dopo essersi formato alla scuola di Pietro Perugino, il grande maestro di Raffaello. L'antica chiesa risulta oggi assai alterata nel suo valore monumentale dal notevole interramento, causato dalle piene del Corno e dall'impetuosa discesa di acque piovane dal Trivio, dei muri perimetrali, ormai visibili solo per due terzi della loro altezza originaria Prof.ssa Simona Olivetti (tratto dall'articolo pubblicato ne "La Barrozza": anno IV, numero 2) Madonna Addolorata (anticamente Madonna dei Sette Dolori) Intorno alla metà del Settecento, don Biagio Peroni, fondo' in Ruscio la chiesa e la cappellania di S. Maria dei Sette Dolori e quando mori' nel 1794 fu sepolto nella stessa chiesa. Come si legge nell'inventario datato 25 aprile 1866, i fratelli don Biagio e Gregorio istituirono l'Opera Pia Addolorata di Ruscio, legando i loro beni alla nuova chiesa in modo che ogni anno si soddisfacessero i seguenti legati: "Primo tra questi e' il mantenimento di un sacerdote cappellano colla ingiunzione della S. Messa quotidiana colla elemosina di lire 0,79 per ogni Messa e di due Settenari precedenti le due annue festività dell'Addolorata; ... i medesimi disposero che dall'assieme delle rendite si prelevasse la somma (120 lire) da impiegarsi per il mantenimento delle fabbriche della chiesa e casa annessa, per provvedere agli arredi sacri, di cera e di tutt'altro occorrente al culto ... ordinarono... (che) con gli annui sopravanzi delle rendite ... si dovesse mantenere un alunno povero del Comune di Monte Leone nel seminario vescovile della Diocesi, pagandone annualmente la "dozzena" [retta], e in mancanza di detto alunno, assegnare annualmente a una povera ed onesta zitella dello stesso comune una dote di lire 150...). Sull'altare maggiore vi era probabilmente la tela con l'Addolorata sulla quale in basso si puo' intravadere lo stemma di don Biagio con l'albero del pero. L'altra tela, recentemente posizionata sulla parete destra della navata, con la Madonna trafitta dalle sette spade e' cosi' annotata nell'antico inventario "Quadro in sacristia rappresentante le anime purganti e l'Addolorata di niun pregio, con cornice in legno...". All'epoca della fondazione della chiesa, dopo il terribile terremoto del 14 gennaio 1703 [vedi "La Barrozza" anno VI, numero 1] che distrusse diversi edifici nel territorio di Monteleone ed addirittura ne sconvolse l'idrografia, Ruscio era un modesto villaggio di campagna con 150 abitanti (,inoltre, vi era la stazione di dogana per chi varcava con mercanzie i confini tra lo stato pontificio e il regno borbonico). Una chiesa piu' antica dipendente da San Nicola era dedicata a San Lorenzo e piu' recente vi era, come tuttora, la chiesa di S. Antonio da Padova, soggetta ai conventuali francescani. Venendo all'800, una lapide sulla casa annessa alla chiesa ricorda il passaggio di Giuseppe Garibaldi a Ruscio il 19 gennaio 1849. Un'altra lapide, posta sulla facciata il 28 settembre 1919, ricorda i caduti della Grande Guerra. Nel 1930 viene fondata la confraternita di Maria SS. Addolorata (che in un certo senso precorre l'attuale Pro Ruscio) e la chiesa viene mattonata con piastrelle. Nel 1938 si restaurava la facciata coprendola con eternit, ancora visibile. La chiesa, per desiderio degli abitanti e l'interessamento di don Sestilio, fu proclamata parrocchia di Ruscio, Trivio e Rescia il 18 settembre 1949. Prima della fatidica proclamazione, il pittore Emilio Mattani, per la spesa di 170mila lire, dipingeva "a finto marmo con dorature di capitelli, putti, festoni, ecc" i tre altari e tutto l'interno della chiesa. Prima dei restauri del 1949, le capriate del tetto erano coperte all'interno dalla classica "camorgata" fatta con canne, a sostenere l'intonaco a volta affrescato con una scena della fuga in Egitto. L'anno dopo la proclamazione della Parrocchia, il 17 settembre 1950, veniva inaugurato il campanile con l'orologio e la campana maggiore detta Antonina, con le offerte dei fedeli di Roma, Ruscio e America. Il 19 Settembre 1979, Ruscio e tutta la Valnerina furono colpiti da un violento terremoto che produsse gravi danni alla struttura della nostra chiesa, che fu sottoposta a un lungo restauro che ne stravolse la decorazione realizzata nel 1949. Infatti, per rendere piu' ampia la navata, si arretro' l'altare maggiore, perdendo cosi' la decorazione a finto marmo con numerosi putti che circondava la nicchia contenente la statua della Madonna Addolorata, inglobando l'antica sacrestia. Di tale fastosa decorazione rimangono i due altari laterali e le pareti della navata. La chiesa fu riaperta al culto nell'Agosto 1997. Nel corso del 2001, grazie al lascito di Maria Marcheggiani, fu restaurato l'orologio del campanile. (tratto dall'articolo pubblicato ne "La Barrozza" di Isidoro Peroni: anno II, numero 1) Nel 1812, nel periodo napoleonico, un ingegnere spoletino, Pietro Fontana, incaricato di esplorare il territorio di Monteleone nell'intento di riattivare l'industria del ferro, scopre un giacimento lignitifero presso il torrente Vorga, affluente del Corno. L'orografia del bacino lignitifero di Ruscio e' costituita dal fiume Corno che, dopo aver aggirato a sud il gruppo del Tolentino, raccoglie, il fiume Tascino proveniente dal gruppo del Teminillo; e, successivamente, sotto l'abitato di Montelone di Spoleto, riceve il fiume Vorga. E' proprio in questo territorio che, in età preistorica, veniva a crearsi un enorme lago. Trovando poi uno sfogo verso Nord, in corrispondenza del cosiddetto Ponte delle Ferriere, si svuoto', lasciando un enorme giacimento di sedimenti. Il fiume Vorga, erodendo nel corso del tempo le argille il deposito lasciato dal lago, hanno fatto affiorare uno strato di lignite. Probabilmente, anticamente, i venti devono aver fluitato la vegetazione caduta nel lago, accumulandola sui tratti di sponda sul versante nord del Vorga e specificatamente dalla base del Carpellone fino ai piedi di Monteleone. (Ing. Pariente Rassegna mineraria, Roma 1921) I primi lavori di ricerca sono stati iniziati durante la prima guerra mondiale. Sulla sponda sinistra del fiume Vorga, la potenza del banco di lignite e' di metri 4,5, mentre sulla sponda opposta e di metri 3,50. Ai piedi del Monte Trogna, in localita' Scopa Gamberi, la lignite affiora con una potenza di 7 metri. La lignite e' xiloide, bruna, schistosa, molto umida. Per permetterne lo sfruttamento fu costruita dalla Società Mineraria Umbra una strada che tuttora collega Ruscio, la fonte dell'Asola e appunto la località della miniera. Oggi, dopo la chiusura della attività di estrazione, non rimane nulla, se non due avvallamenti dove si trovavano le bocche delle gallerie. I macchinari, carrelli e rotaie furono smontati ed asportati. Questa miniera di lignite viene sfruttata dall'industria siderurgica ternana per brevi periodi, in particolare durante le due guerre mondiali. Nel 1918 la "Societa' Anonima miniere lignitifere di Ruscio" costruisce una teleferica per il trasporto della lignite a Ferentillo: da qui il trasporto veniva effettuato su rotaia fino a Terni. Durante il periodo dell'ultima guerra, la miniera divenne campo di concentramento per prigionieri slavi e montenegrini, che lavorarono all'estrazione del minerale. La trasformazione energetica industriale determino' la fine delle miniere di lignite, la cui crisi, già nel 1921, era stata evidenziata dall'Ing. Fabio Carafa d'Andria, direttore delle miniere di Ruscio e Dunarobba (sito della famosa foresta fossile). A metà degli anni cinquanta la miniera fu definitivamente chiusa. adattamento a cura di Francesco Peroni (tratto dall'articolo di Osvaldo Perelli pubblicato ne "La Barrozza": anno II, numero 2) Nel comprensorio appenninico di Monteleone di Spoleto l'uso del territorio dall'età arcaica fino alla romanita' e' segnato da una fitta rete di presenze che rivelano l'importanza dell'area. Si tratta di piccoli nuclei abitati sorti in diretta connessione con le limitate risorse agricole ma che mostrano anche la loro correlazione con i castellieri [vedi quello recentemente scoperto nei pressi di Trivio in località Selva Grossa] piu' direttamente connessi alle esigenze della pastorizia. Numerose sono poi le presenze di tipo culturale, con santuari che sorgono nei punti nodali per il controllo del territorio e la gestione dell'economia della pastorizia. Vennero individuate come luoghi sacri le alture principali, quelle che offrono le piu' ampie visuali sul territorio circostante e le sorgenti poste lungo i sentieri seguiti dalle greggi. In tal modo furono posti sotto la protezione divina i movimenti dei pastori con il loro bestiamenella ricerca dei pascoli, nonche' il controllo dei flussi commerciali, verosimilmente finalizzato all'esazione dei dazi. A Forma Cavaliera, proprio in relazione ad una di queste sorgenti, oggi esaurita ma della quale resta ancora il ricordo, si sviluppo' a partire dal VI secolo a. C. un santuario, disposto su un pendio prospiciente il fosso Vorga, lungo un percorso che da Nord si dirigeva verso la piana di Leonessa. Il sito venne individuato negli anni ottanta, quando lavori di aratura profonda per la coltivazione agricola, riportarono alla luce reperti che furono raccolti dal sig. Secondo Olivieri di Monteleone. Si tratta di bronzetti schematici, anche del tipo piu' antico a lamina ritagliata, frammenti di dischi decorativi e vasellame miniaturistico in bronzo (un'ansa di situla e un sostegno di tripode), vaghi ornamenti e frammenti di balsamentari in pasta vitrea. Si sono inoltre rinvenuti vari frammenti di metallo grezzo, bronzo, (aes rude) e ferro, usati con funzione protomoneale ed alcune monete romane di eta' repubblicana. Il momento iniziale della frequentazione del santuario sembra risalire al VII secolo a.C., a giudicare dal rinvenimento di una fibula in bronzo a navicella con apofisi laterali. La frequentazione piu' antica e' documentata da frammenti ceramici di impasto buccheroide nerastro e da numerosi frammenti di grandi olle stamnoidi globulari con anse oblique, impostate nel punto di massima espansione. Queste ultime rappresentano, insieme ai prodotti ad impasto, la produzione ceramica piu' caratteristica in quest'area nel VI e V sec. a. C. e sono realizzate in una caratteristica argilla depurata, con forte aggiunta di minuti inclusi calcarei bianchi e recante spesso tracce di ingobbio rossastro in superficie. La produzione ad impasto, attestata solo in termini percentualmente ridotti, consiste soprattutto nelle consuete olle, prive di anse e con orlo estroflesso. Si segnala tuttavia la presenza di un frammento di fondo pertinenti ad un colino (forse per produzioni casearie) con fori disposti irregolarmente, eseguiti prima della cottura. La presenza di numerose olle acrome puo' essere collegata alla sorgente ma suggerisce anche la possibilità che parte delle offerte votive consistesse in derrate alimentari. Nel IV e II sec. a.C. la ceramica a vernice nera ricorre con maggiore frequenza: sono documentate le produzioni etrusche sovradipinte con motivi vegetali semplificati e numerose coppe di produzione romana e laziale. Il rinvenimento di un utero votivo in terracotta rappresenta un preciso segnale dell'avvenuta romanizzazione della Sabina intera e del proseguire del culto del santuario nonostante il mutato quadro di riferimento politico. Nel 1998 la Soprintendenza Archeologica dell'Umbria ha avviato una ricerca sistematica nell'area del santuario, finalizzata a comprendere l'espansione dell'area archeologica e lo stato di conservazione del contesto. La ricerca effettuata ha evidenziato il persistere di una stratigrafia pertinente alle strutture del santuario, conservata sotto oltre 50 cm di terreno completamente alterato da riporti e movimenti di terra. Il contesto messo in luce dagli scavi e' preromano e cronologicamente puo' essere riferito al VI - V secolo a.C. Il complesso in origine doveva essere articolato su terrazze digradanti, sostenute da strutture di contenimento realizzate in pietrame appena sbozzato, messo in opera a secco. Dalla raccolta dei materiali di superfici provengono alcuni reperti di grande interesse. Meritano di essere ricordati alcuni bronzetti che per tipo e dimensioni, pur rientrando nella produzione schematica di area umbra meridionale, si distinguono dalle attestazioni piu' correnti e trovano confronto soprattutto nei materiali dalle stipi del santuario di Ancarano, presso Norcia, scavate nell'ottocento da Guardabassi. Un bronzetto di Marte in assalto, alto 12,5 cm, e' rappresentato secondo il consueto schema iconografico con il grande cimiero e in atto di scagliare una lancia, non conservata, un secondo esemplare analogo e' riprodotto in minori dimensioni; un terzo, infine, mostra lo scudo aderente al braccio sinistro ed e' privo di cimiero. Il rinvenimento di piccoli scudi circolari in bronzo, raccolti isolati, e' evidentemente da attribuire ad analoghe figure. Una figura femminile di offerente, rappresentata con una lunga veste liscia aderente e in atto di porgere con la mano destra una offerta votiva di piccole dimensioni, forse un frutto, rimanda nella rappresentazione dei tratti del volto e della intera figura a tipi tardo arcaici, databili intorno alla prima metà del V secolo a.C.. Accanto a questi esemplari e' ben documentata a Forma Cavaliera la produzione di piu' diffusi bronzetti schematici, con rappresentazione di oranti, maschili e femminili, e di quadrupedi. Il santuario di Forma Cavaliera, pur trovando confronti con quello di Ancarano di Norcia per quanto concerne gli ex voto attestati, per l'arco cronologico di frequentazione e per la collocazione significativa, lungo importanti percorsi viari, si differenzia tuttavia da questo per posizione topografica. Ancarano rappresenta infatti un santuario di valico e di controllo del valico, Forma Cavaliera, invece, appare in stretta relazione con l'antica sorgente e si confronta piuttosto con i santuari di pendio e di culto delle acque. Un utile riferimento puo' essere individuato nelle recenti indagini condotte sul santuario di Ercole a Corfinio (L'Aquila). Pur in un conteso culturale evidentemente diverso e documentato solo a partire dal III secolo a.C., l'area sacra mostra tuttavia una organizzazione planimetrica e toografica non dissimile da Forma Cavaliera, con sistemazione su due terrazze principali lungo un pendio e in precisa relazione con una sorgente. Tale confronto risulta ancora piu' significativo se si tiene conto di alcune indicazioni che sembrano potersi desumere dalla lettura delle fotografie aeree disponibili, nelle quali si individuano anomalie nel settore del santuario piu' verso monte, dove potrebbero indicare la presenza di strutture di un piccolo edificio. Prof.ssa Liliana Costamagna - Soprintendenza Archeologica dell'Umbria (tratto dall'articolo pubblicato ne "La Barrozza": anno VIII, numero 3) Nel territorio di Monteleone esistono alcuni giacimenti ferriferi, il piu' importante dei quali si trova alle pendici del Monte Birbone [vedi Miniera di ferro di Terrargo]: il suo sfruttamento risale al XVII secolo, al tempo del pontificato di Urbano VIII (Matteo Barberini, gia' vescovo di Spoleto). L'attività estrattiva e la lavorazione del ferro, avviate per interessamento del Cardinale Fausto Poli di Usigni, hanno avuto per circa un secolo un ruolo rilevante nell'economia del territorio. Il minerale estratto veniva trasportato con carri ed animali da soma nella ferriera di Ruscio. Le acque del fiume Corno, canalizzate presso il Ponte delle Ferriere, erano utilizzate per il lavaggio e la fusione del ferro. Per il trasporto del materiale ferroso dal Monte Birbone alla Flaminia (verso Roma) viene inaugurata nel 1834 una strada che, attraverso Montefranco, Ferentillo e il Salto del Cieco, unisce l'antica via consolare a Monteleone, Cascia e Norcia. Una stele eretta in prossimità di Strettura, ora semidistrutta, ricorda tale opera. In seguito all'attivazione di una ferriera a Scheggino, voluta dal Cardinal Poli per la lavorazione del ferro grezzo di Monte Birbone e di colle Ferraio presso Gavelli, viene ampliata la mulattiera di Val Casana per facilitare il trasporto del materiale ferroso a Scheggino. La storiografia locale riferisce che la cancellata del Pantheon di Roma e' stat realizzata in questa ferriera. L'importanza che il papa Urbano VIII ha attribuito allo sfruttamento delle risorse minerarie locali e' attesta da una medaglia commemorativa del 1642. Il disastroso terremoto del 1703, che devio' il corso del fiume Corno, ha causato a Monteleone l'interruzione della prima fase della produzione siderurgica avviata nella prima metà del '600. Gli onerosi costi di estrazione e trasporto del ferro, i rovinosi terremoti del 1703 e del 1730 e la funesta pestilenza del 1718 (con 105 morti a Monteleone) hanno contribuito all'inarrestabile declino dell'industria mineraria monteleonese. Verso la fine del XVIII secolo si prospetta l'ipotesi di una riattivazione dei giacimenti ferriferi del territorio di Monteleone. Nel 1788 il card. Carandini, prefetto della Sacra Congregazione del Buon Governo, promuove un'indagine tecnico-scientifica e conferisce l'incarico progettuale ed esecutivo per il ripristino dell'attività siderurgica a Monteleone a un ingegnere piemontese: questi redige il prospetto di un piano siderurgico a ciclo integrale comprendente un forno fusorio e varie fucine per la produzione di manufatti di ghisa e ferro. L'insediamento industriale viene localizzato sulla riva destra del Corno, a valle del ponte della ferriera. Nel 1791 si riaprono i cantieri di Ruscio, ove sono presenti molti "stranieri" (tecnici sabaudi, maestranze della Lombardia austriaca, operai "regnicoli"). Nel 1789, durante il breve regime repubblicano instaurato dalle truppe francesi, Scipione Breislak, Ispettore dei lavori mineralogici" della Repubblica Romana, presenta al governo di Roma una relazione geologica e tecnico-finanziaria sui giacimenti ferriferi del territorio di Monteleone e sul forno fusorio di Ruscio. Nel 1800 l'insigne ingegnere e architetto spoletino Pietro Ferrari redige un'interessante memoria documentata sulle miniere di Monteleone, sulla ferriera di Scheggino e sulla nascente metallurgia ternana. Nel 1812, nel periodo napoleonico (Spoleto diviene capoluogo del dipartimento del Trasimeno annesso all'impero francese), un altro insigne spoletino, Pietro Fontana, incaricato di esplorare il territorio di Monteleone nell'intento di riattivare l'industria del ferro, scopre un giacimento lignitifero presso il torrente Vorga, affluente del Corno. Questa miniera di lignite viene sfruttata dall'industria siderurgica ternana per brevi periodi, in particolare durante le due guerre mondiali. Nel 1918 la "Societa' Anonima miniere lignitifere di Ruscio" costruisce una teleferica per il trasporto della lignite a Ferentillo: da qui il trasporto veniva effettuato su rotaia. L'industria mineraria di Monteleone fa parte ormai della sua storia economica. La ferriera di Ruscio, inattiva da circa due secoli, e' diventata un sito di archeologia industriale. tratto da "Le miniere di Monteleone" di Ubaldo Santi, Spoleto '90 n° 2, 30 giugno 2000 Per saperne di piu': 1. articolo pubblicato ne "La Barrozza": anno II, numero 3 2. "L'impresa di Monte Leone" di Mauro Cavallini, 1999 edito cura della Associazione Archeoambiente di Monteleone (in vendita presso la sede dell'Associazione) 3. "Le miniere di ferro di Terrargo" articolo pubblicato su "la Barrozza": anno IX, numero 3 La miniera di ferro di Terrargo
La biga di Monteleone di Spoleto La biga fu trovata agli inizi del 1902 a Monteleone di Spoleto in località Colle del Capitano: era in una tomba a tumulo con i corpi di un uomo e di una donna e con vari oggetti di corredo tra cui due Kylinx (coppe) attiche a figure nere databili intorno al 530 a.C.. Grazie a questi due reperti e' possibile datare la biga alla seconda metà del VI secolo a.C.. Ora si trova al Metropolitan Museum af Art di New York, dove fu portata nel 1903 da mercanti fiorentini. L'eccezionalità del ritrovamento e la facilità della successiva esportazione non mancarono di accentrare l'attenzione del mondo scientifico e politico su Monteleone. Si presentarono numerose interrogazioni parlamentari e lunghe indagini giudiziarie, senza che peraltro fosse possibile recuperare il corredo trafugato. La biga e' in legno di noce interamente rivestita di lamine di bronzo dorato lavorato a sbalzo. Il timone (circa 2 metri) ha l'attacco coperto da una protome di cinghiale dalla cui bocca sembra uscire; al termine ha invece una testa di uccello rapace. Poco prima di questa il giogo per l'attacco dei due cavalli, caratterizzato da due anse nastriformi terminanti a testa di serpente. Il corpo centrale della biga e' chiuso da tre pannelli che hanno bordi arrotondati e curvilinei: il centrale e' piu' alto rispetto a quelli laterali. Le ruote, sempre in legno ricoperto di lamine bronzee, hanno nove raggi ciascuna per un diametro di cm 67. Il loro mozzo termina con una testa di leone. Questi pannelli sono decorati con scene a carattere eroico i cui personaggi sono probabilmente tratti dalla mitologia greca. Sul pannello centrale Teti consegna le armi ad Achille, sul pannello destro Achille e Memnone combattono sul corpo di Antiloco, sul pannello di sinistra Achille sale in cielo per esservi accolto come un semidio. Il carro rientra in quegli oggetti di titpo suntuario che avevano una funzione puramente rappresentativa: carri del genere erano utilizzati solamente in parate e cortei trionfali ed accompagnavano nella tomba i loro possessori, da ricercarsi sempre tra personaggi di alto rango. In occasione dell'Anno degli Etruschi fu realizzata una copia in grandezza naturale della biga, oggi visitabile nei locali sottostanti la Chiesa di San Francesco a Monteleone. Per la visita rivolgersi alla sede della Pro Loco di Monteleone. tratto dal catalogo della mostra "Gli etruschi in Valnerina" con amplia ed accurata bibliografia Il convento e la Chiesa di San Francesco in Monteleone Impossibile anche pensare di condensare in poche righe la storia del Convento e della Chiesa di San Francesco in Monteleone, per cio' si rimanda all'attenta e meticolosa opera di Don Angelo Corona, che e' possibile acquistare in loco. Basti accennare al fatto che il Convento venne fondato a partire dal 1282 - 1285 e che, nel corso dei secoli fu continuamente oggetto di modifiche ed ampliamenti, fino a una completa ristrutturazione dovuta al terremoto del 1703, evento che, come i tanti altri che seguirono fino ai nostri giorni, hanno segnato il patrimonio storico artistico della Valle. Si consiglia una visita soffermandosi in particolare, oltre che sull'impianto della Chiesa e del Convento, sul mirabile portale, sul chiostro e sulla bellissima cripta con l'affresco della Madonna della Misericordia. Per maggiori dettagli: "Convento e Chiesa di San Francesco in Monteleone" a cura di Don Angelo Corona (in vendita)
origine nome di ruscio 2/3 la pasquarella tradizioni 5/3 l'incamata tradizioni 6/3 miniere di ferro 9/3 il focone tradizioni 10/1 + spoleto.. |