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Friuli 01
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Il
Friùli (Friûl in friulano, Furlanija in sloveno, Friaul in tedesco, Friul in veneto) è una
regione storico-geografica italiana. Anticamente era conosciuta come Carnorum Regio, poi con i Longobardi come Forum Iulii (in latino). Sotto il profilo
politico-amministrativo è oggigiorno in massima parte
compresa nella regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e corrisponde
alle province di Pordenone, Udine e Gorizia. Sotto un
profilo propriamente storico, comprende anche il comune di Sappada,
attualmente in provincia di Belluno, e il Mandamento di Portogruaro (VE). Tale appartenenza, pur trovando
ampio riconoscimento nella dottrina, non è universalmente
accettata ed è, da lungo tempo, oggetto di discussione.
Capitale storica e
città più importante del Friuli è
Udine già sede, in età medievale, del
Patriarcato di Aquileia e del Parlamento della Patria del Friuli. Se si
include l'ex Mandamento di Portogruaro, centri principali oltre a
Udine, sono gli altri due capoluoghi di provincia Pordenone e Gorizia,
Portogruaro, Sacile, Codroipo, Cervignano del Friuli, Cividale del
Friuli, Gemona del Friuli, Tolmezzo.
STORIA
Le
origini e l'epoca romana
Interessata
in età protostorica dalla Cultura dei castellieri, la
regione fu popolata, sul finire del V secolo a.C., da genti di origine
celtica ed in particolare dai Carni, che introdussero, nei territori da
loro occupati ed in quelli limitrofi, nuove ed avanzate tecniche di
lavorazione del ferro e dell'argento.
Conquistato e colonizzato dai
Romani fin dal II secolo a.C., l'attuale Friuli venne profondamente
influenzato dalla civiltà latina, grazie anche alla presenza
dell'importante centro di Aquileia, quarta città d'Italia e
fra le principali dell'impero,
capitale della X Regione augustea Venetia
et Histria. La città, importante porto fluviale
sull'allora fiume Natissa e snodo dei traffici adriatici verso l'Europa
settentrionale (la così chiamata "Via Iulia Augusta") e
verso l'Illiria, doveva la sua importanza ad una posizione
strategicamente favorevole: sorgeva infatti sul mare Adriatico in
prossimità delle Alpi orientali, permettendo in tal modo a
Roma di contrastare più efficacemente le invasioni
barbariche provenienti da oriente. Il greco Strabone, geografo di
età augustea, in un passo della sua opera annota che il
porto di Aquileia, colonia romana «...fortificata a baluardo
dei barbari dell'entroterra... si raggiunge... risalendo il fiume
Natisone per sessanta stadi... e serve come emporio per i popoli
illirici stanziati lungo l'Istro». Va al
riguardo segnalato che mentre al giorno d'oggi il Natisone è
tributario dell'Isonzo, all'epoca sfociava direttamente in mare. Lo
sviluppo di altri centri oltre ad Aquileia, quali Forum Iulii
(Cividale del Friuli) e Iulium Carnicum (Zuglio)
contribuì ad assicurare alla regione un notevole benessere
economico che riuscì a mantenere, nonostante le prime
incursioni barbariche, fino agli inizi del V secolo. Negli ultimi
decenni del III secolo Aquileia divenne la sede di uno dei vescovati
più prestigiosi dell'Impero,
contendendo in Italia il secondo posto per importanza, dopo Roma, alle
capitali imperiali di Milano e, successivamente, Ravenna. Nel 381 vi si
tenne un importante concilio, presieduto dal vescovo Valeriano e voluto
da sant'Ambrogio, che aveva preferito Aquileia alla sua sede episcopale
di Milano per far condannare pubblicamente l'eresia ariana e i suoi
seguaci.
L'invasione
unna segnò la rovina della città: Aquileia,
protetta da forze esigue, venne espugnata e rasa al suolo da Attila nel
452 (in alcune fondamenta sono state ritrovate le tracce lasciate dagli
incendi). Dopo il passaggio dell'orda unna, i superstiti, che avevano
trovato rifugio nella laguna di Grado,
fecero ritorno in città, ma la trovarono completamente
distrutta. Tramontati gli antichi splendori (a sua ricostruzione,
più volte vagheggiata, non fu mai portata a compimento),
Aquileia rimase tuttavia un punto di riferimento ideale di eccezionale
importanza anche dopo il crollo dell'Impero,
grazie alla costituzione del Patriarcato (VI secolo), naturale
successore del vescovato omonimo che lo aveva preceduto e sede di una
fra le più prestigiose autorità cristiane del
tempo.
Età
medievale
Dopo il
crollo dell'Impero romano d'Occidente il Friuli entrò a far
parte del Regno di Odoacre e successivamente di quello ostrogoto di
Teodorico. La riconquista bizantina
voluta dal grande Giustiniano
(535-553) fu, per la Regione, di breve durata: nel 568 i Longobardi la
occuparono creando un importante ducato che ebbe come capitale Forum
Iulii. Il centro si impose ben presto come l'agglomerazione
urbana più importante e popolosa della Regione e, nei secoli
successivi, mutò il suo nome in quello di Cividale del
Friuli. Prima ancora di perdere definitivamente la sua denominazione
latina, la città diede a sua volta il proprio nome
all'intero territorio. Con successivi passaggi linguistici infatti, il
nome di Forum Iulii, sulla bocca delle popolazioni
friulane di allora, si trasformò in Friûl e si
estese fino ad indicare la totalità del ducato longobardo
friulano.
Il
Ducato del Friuli rivestì una funzione militare e politica
di primo piano nell'ambito del regno longobardo. Durante tutta la sua
esistenza, si configurò infatti come avamposto e barriera
contro le minacce degli Avari e degli Slavi nei confronti dell'Italia
settentrionale. Tale funzione strategica e militare fu intuita fin
dagli inizi del dominio longobardo: il ducato del Friuli fu infatti il
primo ad essere costituito in Italia e lo stesso Alboino volle
affidarlo al nobile Gisulfo, suo parente e collaboratore. Non a caso,
molti duchi del Friuli divennero anche re dei Longobardi (fra questi,
Rachis, che regnò nella prima metà dell'VIII
secolo).
A
partire dalla seconda metà del VII secolo e per buona parte
del secolo successivo, venne portato a compimento, sia in Friuli che
nel resto dell'Italia longobarda, il processo di fusione fra l'elemento
romano, o romanizzato, e quello germanico. Quest'ultimo aveva
già adottato, seguendo l'esempio dei propri sovrani, la religione cattolica mentre
il latino (e le parlate romanze che da esso derivavano) si andava
sempre più generalizzando all'interno del gruppo etnico
longobardo come idioma d'uso e di comunicazione orale, non solo come
unica lingua scritta e di cultura del tempo. In tal modo i Longobardi
poterono integrasi con le popolazioni autoctone e partecipare
attivamente allo sviluppo, anche civile e culturale, del territorio.
Longobardi del Friuli furono anche Astolfo,
successore di Rachis, prima come duca del Friuli, poi come re d'Italia,
e infine lo storico Paolo Diacono, autore della Historia
Langobardorum e professore di grammatica latina presso la
corte di Carlo Magno.
Alla
dominazione Longobarda seguì quella franca (774). I Franchi
riorganizzarono il Ducato del Friuli su base comitale e lo inserirono
nel loro Stato come parte integrante del Regnum Italiae.
Trasformato in Marca del Friuli (846) fu coinvolto, a seguito dello
smembramento dello Stato carolingio, nella lotta per il potere in
Italia (ultimi decenni del IX secolo e inizi del X), allorquando il
marchese Berengario si fece incoronare prima re d'Italia nell'888 e poi
imperatore del Sacro Romano
Impero nel 915. Nel 951 Il Friuli passò a
costituire, con gran parte dell'attuale Veneto, la Marca di Verona e
Aquileia, estesa fra le Alpi Giulie e il Lago di Garda e che aveva come
capitale la città di Verona. Nel X secolo la marca
entrò nell'orbita ottoniana e rafforzò i suoi
legami con l'Impero.
Il 3
aprile del 1077 l'imperatore Enrico IV concesse al Patriarca Sigeardo,
per la sua fedeltà al potere imperiale, la contea del Friuli
con prerogative ducali. Si era in tal modo costituito il primo nucleo
dello Stato patriarcale di Aquileia, denominato successivamente Patrie
dal Friûl, che avrebbe esteso la propria sfera di
influenza, anche se in periodi storici diversi, su Trieste, l'Istria,
la Carinzia, la Stiria, il Cadore. Tale entità statuale si
impose ben presto come una delle più importanti e potenti
formazioni politiche dell'Italia del tempo, dotandosi, fin dal XII
secolo, anche di un Parlamento, espressione massima della
civiltà friulana sotto il profilo istituzionale. Tale
organismo prevedeva una rappresentanza assembleare anche dei comuni e
non solo dei nobili e del clero. La vita di questa grande Istituzione
si protrasse per oltre sei secoli, mantenuta persino sotto la
dominazione veneziana, anche se in parte svuotata di potere (il
Parlamento, convocato per l'ultima volta nel 1805, fu, poco
più tardi, abolito da Napoleone). Il Patriarca Marquardo di
Randeck (1365-1381) raccolse tutte le leggi emanate in precedenza nelle
Constitutiones Patriae Foriiulii, ossia la Costituzione
della Patria del Friuli. L'attuale Cividale del Friuli
sarà sede del Patriarcato di Aquileia fino al 1238, anno in
cui il Patriarca si trasferirà a Udine dove farà
costruire un superbo palazzo, per sé e per i propri
successori. Udine assumerà in tal modo sempre maggiore
importanza divenendo col tempo la capitale istituzionale del Friuli.
L'esperienza
del Patriarcato come entità statuale autonoma, seppur
vincolata al Sacro Romano Impero, si concluse nel 1420 (mentre come
entità ecclesiastica sopravviverà fino al 1751),
con l'annessione della maggior parte del Friuli alla Repubblica di
Venezia, una delle grandi potenze dell'epoca.
Età
moderna
Il
dibattito storico sul rapporto fra Venezia e i suoi territori coloniali
è tuttora aperto e ha dato luogo a valutazioni e giudizi non
univoci. Tale dibattito esula, in parte, da motivazioni propriamente
storiche per collegarsi al mito della città lagunare. Come
ha rilevato Elisabeth Crouzet-Pavan «per lungo tempo non
è stato possibile dissociare la realtà (di
Venezia) dall'immagine, straordinariamente lusinghiera e deformata [di
Venezia]...il mito politico veneziano ha per secoli distorto
l'approccio e le analisi. Almeno fino al XIX secolo, esso [il mito di
Venezia] ha pesato sulla scrittura della storia, poiché la
storia aveva come fine principale di confortare il mito». A
tale proposito è comunque necessario sottolineare che
«la quiete civile e lo stato pacifico della sua classe
dominante sarebbero stati i principi su cui si sarebbe fondato il mito
di Venezia».
D'altro
canto, la rappresentazione del dominio veneziano sul Friuli ha creato
una serie di «geremiadi antivenete sulla base di un gran
numero di pregiudizi e luoghi comuni».
Va
subito precisato che il Friuli, da nucleo centrale dello Stato
patriarcale di Aquileia si convertì in un territorio di
confine della Repubblica veneta,
a ridosso del mondo germanico, che era egemonizzato, all'epoca, dalla
potente famiglia degli Asburgo,
nella sua doppia veste di detentrice del titolo imperiale e di quello
di duchi d'Austria, cui si aggiunse, dal 1516, anche quello reale di
sovrani delle Spagne. Venezia, interessata a contenere le mire
espansionistiche sia degli Asburgo che della monarchia francese, si
trovò coinvolta, fra i primi del Cinquecento e gli inizi del
secolo successivo, in due conflitti che si combatterono anche in Friuli
e che si andarono ad aggiungere alle incursioni turche, che avevano
devastato la regione negli ultimi decenni del Quattrocento (in
particolare fra il 1472 e il 1499). Il pericolo di nuove guerre e di
ulteriori incursioni ottomane costrinsero la Serenissima a mantenere
sul territorio guarnigioni militari di una certa consistenza e quadri
amministrativi adeguati che, in parte, gravavano sulla popolazione
locale. Quest'ultima era inoltre soggetta a una pressione fiscale
sempre più onerosa. La contrazione del reddito
(particolarmente forte nel corso del XVII secolo) unitamente alla
necessità di finanziare un debito pubblico di vaste
proporzioni e in costante crescita a causa soprattutto delle esigenze
belliche, costrinsero infatti Venezia ad applicare ripetutamente una
politica fiscale gravosa (non circoscritta naturalmente al solo Friuli
ma all'intero Stato veneto)
Effetti
ben più nefasti ebbero tuttavia, sulla popolazione friulana,
le frequenti carestie, un tasso di mortalità infantile
particolarmente elevato (come nella massima parte dell'Europa del
tempo), e, soprattutto, due devastanti epidemie che non favorirono una
crescita demografica organica in età moderna. In alcuni
periodi anzi, si registrarono flessioni non irrilevanti.
D'altra
parte, fin dal terzo decennio del XVII secolo, la Repubblica Veneta
entrò in un processo di decadenza irreversibile dovuto alla
perdita di molti dei suoi mercati tradizionali, alla canalizzazione del
risparmio e di importanti risorse finanziarie in investimenti
improduttivi (soprattutto di carattere fondiario), e alla perdita di
competitività delle sue industrie e dei suoi servizi. Anche
i territori posti sotto la sovranità della Serenissima, fra
cui il Friuli, e, in linea più in generale, la
totalità degli Stati italiani e gran parte di quelli
dell'Europa mediterranea, furono colpiti da una crisi di lunga durata
che in alcuni casi si protrasse fin quasi alla metà del
Settecento.
Va
comunque riconosciuto che Venezia, nei territori da essa amministrati
(non solo quindi nel solo Friuli), cercò in ogni modo di
«limitare gli effetti più oppressivi ed
anacronistici della società feudale». La
necessità di offrire maggior protezione alle classi
più disagiate, in particolare rurali (creando nel contempo
un contrappeso alle spinte centrifughe dell'aristocrazia locale),
spinse la Serenissima a dar vita a degli organi di rappresentanza
popolare, (le cosiddette "contadinanze"), che però
«...non risolsero i problemi di fondo dei contadini, sembra
anche a causa della turbolenta nobiltà friulana».
Secondo fonti di alto profilo, invece, tali istituzioni, e,
più in generale, la politica di Venezia a favore degli
strati sociali più umili, furono coronate da successo.
In
effetti non si ebbero rivolte di particolare gravità durante
il periodo veneziano, se si eccettua una cruenta insurrezione popolare,
conosciuta come Joibe grasse 1511 (giovedì
grasso 1511) che scoppiò ad Udine il 27 febbraio
1511, in un momento estremamente difficile per la Repubblica Veneta,
all'indomani della sconfitta di Agnadello (1509) e dell'occupazione di
Gorizia da parte degli eserciti asburgici (1510). Il moto si estese ben
presto da Udine all'intero territorio friulano coinvolgendo anche le
campagne e si protrasse per tutto il 27 ed il 28 febbraio, fino a
quando, il 1º marzo, fu soffocato da Venezia, che
inviò alcune centinaia di cavalieri per sedarlo. In quei
giorni si rafforzarono i rapporti fra le classi aristocratiche venete e
quelle friulane, naturali custodi dell'ordine costituito. In seguito
(nel Cinquecento e ancor più nei due secoli successivi), il
patriziato friulano si ampliò con l'apporto di nobili veneti
e il veneto si diffuse, insieme all'italiano, fra gli strati
più alti della società friulana. Un fenomeno
analogo si produsse, a partire dal XVII secolo, anche nel Friuli
orientale sotto sovranità austriaca (dove l'italiano divenne
lingua veicolare di insegnamento nei prestigiosi Istituti gesuitici di
Gorizia, insieme al latino).
Con i
patti di Noyon ( 1516) i confini tra la Repubblica Veneta e la Contea di Gorizia e Gradisca,
vennero ridefiniti. Venezia perdeva l'alto bacino dell'Isonzo
(cioè la gastaldia di Tolmino con Plezzo ed Idria), ma
conservava il possesso di Monfalcone. L'arciduca d'Austria
incorporò nei suoi domini Marano (fino al 1543) ed una serie
di possedimenti feudali sparsi nel Friuli Occidentale.
Nel
1593 la Serenissima volle rafforzare i propri confini orientali e
decise di costruire in Friuli, a ridosso dei domini d'Austria, una
poderosa fortezza, capolavoro dell'architettura militare del tempo:
Palma (oggi Palmanova). Gli Asburgo protestarono vivacemente, temendo
che Venezia se ne potesse servire come base avanzata per occupare la
contea di Gorizia. In effetti fra il 1615 ed il 1617 la Repubblica
veneta e l'Austria si affrontarono di nuovo militarmente nel Friuli
orientale per il possesso della fortezza di Gradisca d'Isonzo. La
cosiddetta guerra di Gradisca si concluse con il ritorno allo status
quo precedente.
Tornati
in possesso del Friuli orientale gli Asburgo ne conservarono il
controllo fino ad età napoleonica, mentre il Friuli
occidentale e centrale rimase veneziano fino al 1797, anno del trattato di Campoformido,
mediante il quale tale territorio venne ceduto dalla Francia
all'Austria, che lo perse per un breve periodo in cui fece parte del Regno italico, dal 1805
fino alla Restaurazione (ma parte del Friuli orientale, con Gorizia, fu
distaccata nel 1809 e inserita nelle Province illiriche appena
costituite).
Età
contemporanea
Nel
1815, il Congresso di Vienna sancì la definitiva unione di
Veneto e Friuli con la Lombardia austriaca, venendosi in tal modo a
costituire il Regno Lombardo-Veneto. Una ventina d'anni più
tardi, il Mandamento di Portogruaro, da sempre friulano per storia,
cultura, geografia e a lungo anche per lingua, fu scorporato per
volontà austriaca dalla Provincia del Friuli (parte
integrante, come già si è detto, del Regno
Lombardo-Veneto austriaco) e assegnato alla Provincia di Venezia (1838).
Il
Friuli centrale (attuale provincia di Udine) e il Friuli occidentale
(attuale provincia di Pordenone) furono annessi all'Italia nel 1866
assieme al Veneto subito dopo la terza guerra di indipendenza, mentre
il Friuli orientale (la cosiddetta Contea
di Gorizia e Gradisca) rimase soggetto all'Austria fino al
termine della prima guerra mondiale.
Durante
la prima guerra mondiale il Friuli, che all'epoca si trovava diviso tra
Regno d'Italia e Austria-Ungheria
(Provincia di Udine per il Regno d'Italia; una parte
della Contea di Gorizia e
Gradisca per l'Impero d'Austria-Ungheria), fu teatro delle
operazioni belliche, che ebbero conseguenze gravose per la popolazione
civile, soprattutto dopo la disastrosa rotta di Caporetto.
Durante
il periodo del fascismo il Friuli dovette subire un processo di
assimilazione etnica, di cui furono vittime soprattutto la popolazione
slovena e quella tedesca. Forte fu anche la pressione sulla
comunità friulana, che il fascismo tentò di usare
in funzione anti-slava. L'assimilazione comportava anche la proibizione
dell'uso delle lingue slovena, tedesca e friulana. Seguendo una
politica educativa di chiaro stampo nazionalista, venne posto in essere
in Friuli come nel resto dell'Italia un tentativo di imporre
l’italianità anche attraverso la violenza sui
bambini, sottoposti a punizioni corporali se sorpresi a parlare nella
loro madrelingua friulana.
A
partire dal mese di giugno del 1940 il Friuli fu coinvolto, come il
resto d'Italia, nella seconda guerra mondiale e ne seguì le
sorti.
Al
termine della seconda guerra mondiale si propose il problema della
definizione dei confini tra la Jugoslavia e l'Italia, che riguardava
anche la fascia orientale del Friuli, da Tarvisio a Monfalcone.
Nel
1947, dieci mesi dopo la firma del Trattato
di pace di Parigi (1947), nella costituzione italiana fu
creata la regione Friuli-Venezia Giulia, a statuto speciale. Tale
scelta creò delle fortissime frizioni all'interno della
stessa opinione pubblica friulana, che compresero pure un attentato
dinamitardo contro il deputato friulano Tiziano Tessitori, che aveva
proposto l'autonomia regionale del Friuli-Venezia Giulia, tanto che
l'Assemblea costituente votò in seguito la X disposizione
transitoria della Costituzione, che sospese l'autonomia regionale ferma
restando la tutela delle minoranze linguistiche.
Nel
secondo dopoguerra la regione è stato sconvolta da due
eventi naturali particolarmente tragici: il disastro del Vajont (1963)
e il terremoto del Friuli (1976).
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