Oltrepò, vita santa

Il brano riportato di seguito è stato tratto dall'articolo che comparve nel dicembre 1945 nel volume "Anche l'Italia ha vinto", numero speciale della rivista Mercurio.

Il 7 di agosto 1945 è un caro ricordo di vita partigiana, quel giorno abbiamo disfatto e decimato brigate e divisioni, memoranda vittoria. Quel giorno si è stabilito che fra di noi, del pavese, non ci sia posto né carta per i mille e mille dell'ultima ora.
Così certe formazioni di città e di pianura, venute in fame e numerose all'ora delle sfilate, sono state rastrellate d'amore e d'accordo, a tavolino, nome per nome. In provincia non ci saranno che 2000 certificati di partigiani, e 1000 da patrioti (i caduti sono trecentotrentadue). Per esempio, una divisione di pianura che vantava 800 armati, avrà cinquanta certificati.
Ma fra tanto sperare e parlare di certificati anzianità benemerenze, dico che nessun foglio di carta spessa e nessuna patacca valgono il ricordo della nostra bella vitaccia lassù, partigiani di questa umile Italia.

Quando saremo a Varzi
nella caserma alpina
ti scriverò biondina
la vita del partigian.

La vita del partigiano
si l'è una vita santa
s' mangia, s' bev, as canta
pensieri non ce n'è.

Pensieri ce n'è uno solo
l'è quel della morosa
che gli altri fanno sposa
e mi fo il partigian.

Con la faccia sull'asfalto
Dunque, questa canzone è nata un anno fa, d'agosto, nell'Oltrepò pavese, quando là, su per le montagne che guardano Varzi, e vedono il grande mare di terra bianca e verde fino alle Alpi, vivevano tre brigate, e non avevano avuto neanche un lancio.
Eravamo tre brigate, eravamo mille armati, eravamo padroni di una zona libera fatta di sette valli, di ventidue comuni, di cinquantamila abitanti; ma il magazzino armi e munizioni era ancora sulla via Emilia, ogni arma un agguato, così tanti ragazzi, come Armando, Bianchi e Walter, sono morti con la faccia sull'asfalto. Non avevamo avuto neanche un lancio.
Da Pometo capitale della Matteotti, da Zavattarello garibaldino, dal vecchio bel Romagnese tutto ribelle, scendevano a sera i gialli camion partigiani della Wehrmacht verso gli agguati al Po e lungo la via Emilia.
Ecco Alfredo il moro col cappello alpino, ed ecco, col berretto da SS, Fusco, che quasi ogni notte si guadagna una uniforme, e Maino senza cappello conte Luchino da Verme garibaldino.
Ed ecco il padre dei garibaldini pavesi, è quel pallido ragazzo sui vent'anni, col braccio al collo in una fascia rossa: si chiama Americano, ed è italiano, studente, comunista.
Quello in piedi che ride senza denti, porta scritto con filo d'oro sulla camicia rossa "Caramba dominatore dei falsi profeti", ma una sera le brigate nere lo prenderanno vestito da prete in una osteria di Casteggio, e andrà al muro come spia.
Ragazzi morti, ragazzi vivi, ormai sembra un sogno, ma chi ricorda quelle sere piene di fisarmoniche, sten, ragazze, buoi squartati, polente, automobili, camicie rosse, mele cotte, scabbia, pidocchi, messaggi speciali, sangue di Giuda, sigarette tedesche, cioccolato americano, cappelli alla garibaldina, ex prigionieri inglesi, capisce perché certi ragazzi, che in montagna hanno combattuto per la libertà, oggi sono quasi prigionieri di quel sogno.
Verso l'alba si sentivano i motori, e allora, per esempio a Romagnese, la gente correva al vecchio muro del castello, dal muro guardava lontano come dal ponte di una nave.
Ecco alla svolta il '34 della Sesta Brigata, cantano, c'è il bandierone delle nottate d'oro, questa volta sono sacchi, saranno sacchi di zucchero, ecco anche un camion giallo che deve essere l'ultima preda; si vede ruzzolare una forma di parmigiano, ci sono quattro tedeschi, quello è un ufficiale della repubblica. Il comandante della Sap corre a far suonare a festa il campanone; il comandante che si chiama don Alberto Picchi, parroco del paese.

© Italo Pietra ("Edoardo")


Tratto da Il coraggio del NO
Figure e fatti della Resistenza nella Provincia di Pavia
Editrice Amministrazione Provinciale di Pavia
Stampato nel mese di marzo 1981
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