Conferenza del PRC sull'immigrazione
Documento elaborato, integrato e corretto dalla Commissione Nazionale Immigrazione.

Il partito della Rifondazione Comunista attribuisce alle questioni inerenti l'immigrazione un carattere strategico e strutturale, di conseguenza si impegna ad una forte attenzione al tema dell'immigrazione operando un salto di qualità propositiva, politica e culturale.
Non si tratta soltanto del prendere atto delle mutazioni introdotte nella società italiana dallo stabilizzarsi dei fenomeni migratori né della semplice denuncia di vecchie e nuove forme di discriminazione che sovente sfociano in vera e propria xenofobia istituzionale o meno.
Si tratta di avanzare proposte complessive tali da far emergere il nostro partito come forza capace di assumersi la responsabilità di schierarsi concretamente a fianco dei tanti e delle tante che hanno scelto il nostro paese come luogo di passaggio, che in esso hanno cercato rifugio dalla guerra economica o sociale o che hanno deciso di costruire in Italia un progetto di vita per se e per i propri affetti. L'assunzione di responsabilità deve riguardare sempre più l'agire di ogni organismo del partito, dai suoi vertici nazionali e locali, ai suoi rappresentanti nelle istituzioni, fino all'attività dei singoli circoli. Una responsabilità, che impone il superamento del tradizionale solidarismo con cui ci si è occupati in passato delle questioni connesse all'immigrazione, per approdare alla costruzione di una reale alleanza con quelli e quelle che si configurano e si esprimono oramai come nuovi soggetti politici. Si tratta di ragionare attorno a priorità che definiscono la nostra stessa identità politica, in un contesto non più riassumibile geograficamente nei limiti nazionali, ma che deve inevitabilmente tener conto di quelle che sono e saranno le definizioni istituzionali dell'Unione Europea. Da un lato la dimensione continentale, dall'altro i contesti locali e nazionali in cui il Prc deve essere portatore di istanze non mediabili che si inseriscano a pieno titolo nelle ragioni del conflitto sociale introdotte dalle politiche neoliberiste - più o meno temperate - e dalla condizione di guerra permanente.
In questo quadro, l'alleanza con le nuove soggettività migranti, che si vanno esprimendo nell'auto organizzazione, nel mondo sindacale, nell'arcipelago dell'associazionismo antirazzista e nelle realtà di movimento, deve contribuire a costruire un alternativa credibile e praticabile, tanto alle politiche manifestamente razziste dell'attuale compagine governativa, quanto alle insidiose lusinghe di un centro sinistra che già in passato ha dimostrato di essere incapace di comprendere, se non addirittura ostile ad accettare, una nuova cultura della cittadinanza e dell'inclusione.
Sul versante europeo, il nostro rifiuto per una Carta costituzionale, costruita non sull'universalità dei diritti ma sulle leggi di mercato e sui confini di Schengen, è accompagnata dalla preoccupazione che deriva dal fatto che il fenomeno delle migrazioni è affrontato solo con una visione sicuritaria e con la logica dell'Europa fortezza. D'altro canto, anche le recenti proposte per l'Europa di Romano Prodi non si distaccano molto dalle stesse logiche e, addirittura, prevedono trattamenti privilegiati per gli immigrati europei in quanto "portatori di un accentuato spirito europeo". Riteniamo dunque che la Carta scritta dai governi d'Europa debba essere rifiutata e la sua stesura vada, invece, affidata, attraverso vie democratiche, ai popoli. D'altro canto auspichiamo che, con ferma chiarezza, si possa intervenire presso il centro-sinistra perché, nel programma comune, le questioni dell'immigrazione vengano completamente riviste.
Sul versante nazionale, ferma restando la necessità di giungere all'abrogazione della Bossi-Fini e alla modifica profonda della Turco-Napolitano al fine di giungere ad una nuova legge sull'immigrazione basata sui diritti universali indivisibili, concretamente vanno affermate alcune priorità:
1) Il superamento della logica dei flussi e degli accordi bilaterali con i governi dei paesi di provenienza dei cittadini e delle cittadine migranti.Quella dei flussi è' una logica che nel decennio passato si è rivelata fallimentare, utile solo ad alimentare il traffico di esseri umani e la corruzione nei consolati e nelle ambasciate italiane all'estero. Di fatto è una logica che ha reso estremamente difficile l'ingresso legale in Italia costringendo centinaia di migliaia di persone all'irregolarità. Ne sono prova concreta le "sanatorie" a cui sono stati costretti tanto il governo precedente quanto quello attuale (le 702.000 richieste di emersione dal lavoro nero, che si stanno lentamente esaminando in questi mesi e che rendono il lavoratore o la lavoratrice oggetti di vero e proprio neoschiavismo, vanno in questa direzione). Da due anni ormai il governo consente solo limitatissimi ingressi in Italia, preferendo facilitare le aziende che ne abbisognano di manodopera più ricattabile e facilmente rispedibile al proprio paese.
L'immigrazione irregolare non può essere arginata se non costituendo vie permanenti di ingresso immigrazione legale incentivandone la percorrenza con la garanzia dei diritti civili, sociali e politici di cittadinanza. Queste vie legali devono essere definite tenendo conto non dei bisogni del mercato del lavoro, ma innanzitutto dei diritti universali di cui i migranti sono titolari come ogni donna e ogni uomo nel mondo.
Occorre superare la logica delle sanatorie ricorrenti che riproducono clandestinizzazione e introdurre la possibilità di ottenere la regolarizzazione di tutti gli immigrati che sono di fatto inseriti nella società italiana. Occorre prevedere la possibilità di ottenere un visto di ingresso e un permesso di soggiorno per ricerca di lavoro di durata minima annuale, superando l'ipocrisia che sia possibile l'incontro a distanza fra domanda e offerta di lavoro. Occorre prevedere e regolamentare la convertibilità, fuori quota, dei permessi di soggiorno per turismo, salute e studio in permessi di soggiorno per lavoro. Va, infine, escluso l'utilizzo dell'espulsione come strumento ordinario delle politiche migratorie, vanno riaffermate le garanzie costituzionali della libertà personale, del diritto alla difesa e del ricorso a forme di restrizione della libertà personale solo nei casi previsti dalla legge per ogni cittadino.

2) La costruzione di percorsi di inclusione che permettano l'acquisizione dei diritti di cittadinanza : politici, sociali e civili
L'Italia è rimasto uno dei pochi paesi a mantenere la condizione di ius sanguinis, per cui la parità dei diritti è garantita solo a chi ha almeno uno dei due genitori di cittadinanza italiana.
In un mondo di persone in perenne spostamento vanno pensate e realizzate nuove forme di cittadinanza, non più statiche e immutabili nel tempo, ma da conformare alle scelte soggettive e alle necessità imposte dalla globalizzazione neoliberista. La cittadinanza deve essere concessa (senza la perdita della cittadinanza di origine) a chi risiede regolarmente in Italia da cinque anni, come previsto nella proposta di legge del PRC presentata quest'anno.
Il diritto di voto si impone come inderogabile. Si possono concordare percorsi che passino attraverso la partecipazione attiva e passiva in sede locale -diritto di voto alle elezioni amministrative- ma occorre presto arrivare, attraverso il voto alle politiche, ad una inclusione reale in ogni ambito della vita pubblica nazionale. Vanno perciò superate, perché insufficienti, le forme di partecipazione che prevedano organi meramente consultivi la cui possibilità di incidere realmente sulle decisioni sia subordinata alla volontà inclusiva degli amministratori autoctoni. Il diritto di voto, comunque, non può essere riservato solo a coloro che vivono in Italia da lungo tempo (cinque, sei anni e più, come in alcune proposte del centrosinistra), tantomeno può essere condizionato dal censo, dal livello abitativo o da un documento di soggiorno rinnovabile indefinitivamente (carta di soggiorno) come nella proposta Fini, ma occorre garantire il diritto di voto a chi risiede stabilmente in Italia da tre anni, come nelle proposte della rete antirazzista prima, del movimento poi e come scritto nelle proposte di legge presentate dal partito già nel 2001.
Infine il diritto al voto deve coincidere con il diritto ad usufruire dei servizi abitativi, sociosanitari, assistenziali e di tutela che ancora garantiscono i cittadini autoctoni.
Nel quadro politico attuale, passi avanti determinanti possono essere operati nelle Regioni in cui il Prc è presente in maggioranza. L'evolversi delle competenze e dei poteri delle Regioni, la presentazione degli Statuti, la possibilità di legiferare in tal senso aprono ampi spiragli. Non si tratta soltanto di vere e proprie Leggi in materia di immigrazione ma anche di rendere concretamente equiparabili le possibilità di inserimento attraverso politiche abitative, di reddito di inserimento, di welfare che non siano a priori escludenti nei confronti dei non autoctoni. Nel rispetto delle specifiche competenze, tutti gli enti locali possono sperimentare in tal senso l'innovazione politica.
Nel frattempo è necessario che il nostro partito si apra concretamente come spazio di cittadinanza sociale alternativo, che i nostri circoli costruiscano relazioni stabili con le associazioni di migranti, mettendo anche a disposizione i propri spazi.
3) La sottrazione di competenze in materia di immigrazione al Ministero dell'Interno.
L'assunto da cui partire è l'inaccettabilità del fatto che tutte le pratiche che regolarizzano e condizionano ogni momento dell'esistenza dei cittadini migranti sia priorità di questure e prefetture le quali operano con ampi e comprovati margini di discrezionalità. Non si tratta soltanto delle umilianti e defatiganti notti passate da centinaia di migliaia di persone in attesa di poter rientrare nel numero delle pratiche che gli "uffici stranieri" riescono quotidianamente ad esaminare, quanto di affermare un principio di eguaglianza sostanziale anche rispetto alle esigenze delle burocrazie. Se il cittadino italiano utilizza per tali pratiche gli sportelli comunali e municipali, lo stesso deve avvenire per chi risiede stabilmente in Italia. Va in tal senso superata la stessa logica del "permesso di soggiorno" che ha guidato e guida le politiche europee. Permesso - o peggio ancora contratto - di soggiorno presuppongono culturalmente e fattivamente una condizione di subordinazione che un partito come il nostro non può condividere.
In coerenza con la politica di difesa dello stato sociale, occorre riaffermare la centralità del ruolo degli enti locali nella predisposizione, nel coordinamento e nella gestione dei servizi rivolti ai migranti, ai richiedenti asilo e ai rifugiati. La collaborazione dell'ente locale con organizzazioni del terzo settore non può in nessun modo risolversi in una delega in bianco sulla gestione e l'erogazione di servizi che rivestono un ruolo essenziale nello sviluppo di politiche attive di cittadinanza civile e sociale.Fra gli interventi degli enti locali vanno sostenuti quelli che, superando l'approccio meramente assistenziale, mirino a garantire l'esercizio dei diritti: l'attribuzione della residenza, la garanzia del diritto alla casa, la predisposizione di servizi pubblici di orientamento e assistenza legale, gli interventi a sostegno dell'inserimento lavorativo, la costituzione di osservatori locali contro le discriminazioni.
4) Un intervento organico a tutela del lavoro migrante.
La logica che regola le politiche neoliberiste, che non ricorrono al populismo identitario, è sintetizzabile nella formula "gli immigrati ci servono". Una terminologia che connota chiaramente un utilizzo di forza lavoro a costi più bassi, meno rivendicativa, perennemente sospesa fra l'assunzione più o meno regolare e il lavoro nero. Il lavoro dipendente regolare è oggi costituito per il 125 da migranti, si va poi alle nuove forme di caporalato nell'agricoltura e nell'edilizia, agli orari di lavoro in fabbrica che non corrispondono alle reali prestazioni, fino all'utilizzo in settori e fasi di lavorazione altamente nocive. La casistica degli esempi è purtroppo infinita e varia di territorio in territorio. Vanno perciò supportate le forme di sindacalizzazione e di aggregazione che definiscano pratiche di tutela estesa e che, nel frattempo, evitino il rischio che oggi è più forte: il realizzarsi di un sistema gerarchico che veda all'ultimo gradino il migrante, precario e irregolare e al primo il lavoratore autoctono. Una scala in cui si potrebbero inserire differenziazioni di provenienza, per esempio i lavoratori dei paesi dell'est europeo che aspirano ad entrare nell'U.E. potrebbero essere privilegiati rispetto a chi arriva da altre aree del pianeta, chi è di religione cristiana rispetto ai musulmani, ecc. Una scala che potrebbe innescare un classico e incontrollabile meccanismo di "guerra fra poveri", il cui risultato sarebbe solo quello di rendere più precarie le condizioni di vita e di lavoro per tutti.Per queste ragioni diventa strategico, per una ricomposizione di classe del proletariato, autoctono e migrante, la riattualizzazione della parola d'ordine "a uguale lavoro uguale salario" per invertire verso l'alto il crescente livellamento verso il basso della condizione operaia, che il neoliberismo articola a livello globale.
Non va comunque dimenticato che ogni equiparazione fra lavoratori autoctoni e migranti è oggi resa impossibile dall'imposizione ai lavoratori migranti del "contratto di soggiorno", che li lega in un rapporto neoschiavistico al datore di lavoro.
In attesa della regolarizzazione a regime, resta, infine, il nodo della tutela dei lavoratori irregolari: occorre che i sindacati assumano la tutela di tutti i lavoratori, senza distinzioni .
5) Una legislazione organica per il diritto d'asilo conforme all'art.10 della Costituzione.
C'è una inconciliabilità sostanziale fra il dettato costituzionale estremamente esplicito in materia, gli articoli 31 e 32 della Bossi-Fini e l'assenza di una legge apposita che tuteli realmente chi chiede asilo nel nostro paese. Già dal luglio del 2001, il nostro partito ha presentato una proposta di legge che si ispira alla Costituzione. Al tempo della guerra permanente l'urgenza di una legge specifica si impone, una legge che non può accettare l'esistenza dei centri d'identificazione per richiedenti asilo, vere e proprie galere in cui si è rinchiusi in attesa del responso della commissione competente. Una legge che deve intervenire nel metodo e nel merito con cui vengono accettate o respinte le domande di asilo, nella composizione degli organi chiamati a decidere e che deve allargare il campo delle ragioni per cui si può dover fuggire dal proprio paese facendo propri i cambiamenti continui, le ragioni di conflitto, le complessità dinamiche di cui l'instabilità economica e sociale dei tre quarti del pianeta è protagonista.
6) Un attenzione particolare rivolta alla "questione di genere".
L'immigrazione femminile, in aumento rappresenta un elemento importante di cambiamento.
Una parte consistente della presenza femminile è dovuta ai ricongiungimenti familiari e quindi allo stabilizzarsi di un progetto di vita a lungo termine che comporta anche l'aumento della presenza di minori. Tale progetto è reso difficile dalle innumerevoli difficoltà ad aver garantita una reale parità nell'acceso ai servizi sociali, con poche eccezioni come l'inserimento dei minori nei circuiti scolastici ed il pronto soccorso medico. Se, invece, la donna migrante giunge in Italia per ragioni di lavoro, subisce spesso maggiori disagi dell'uomo. Sicuramente grave è la situazione per le innumerevoli "badanti" "colf" "domestiche" ecc. che spesso vivono in condizione di totale invisibilità, sottomesse ad orari di lavoro impensabili, prive di qualsiasi tutela reale. La loro presenza in Italia è, ancor più che per gli uomini, subordinata al posto di lavoro, alla disponibilità delle famiglie che accudiscono. Scarse le possibilità di emancipazione e di miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, assenti o quasi gli spazi di socialità, e di sindacalizzazione, con un contratto che annualmente determina la possibilità di restare in Italia.
Una politica sociale mirata deve essere obiettivo, in tal senso del nostro partito.
Da non dimenticare infine la brutalità delle condizioni di vita delle tante ragazze messe sulla strada.
Al di là di ogni giudizio morale si tratta di intervenire su un fenomeno che coinvolge organizzazioni criminali italiane e straniere, consolati e una diffusa "clientela nostrana". La semplice applicazione dell'art 18 della legge 40 è solo un primo passo, spesso scarsamente applicato. Le recenti proposte di legge in materia, di forte impronta reazionaria, e tese a considerare la "prostituta" come rea, vanno attaccate sia culturalmente che politicamente, vanno invece pensate politiche di assistenza e sostegno tali da consentire una scelta libera e consapevole.
7) I diritti dei rom
In Italia sia i rom italiani che i rom stranieri condividono lo stesso destino di discriminazione e razzismo, anche se ad essere più colpiti sono, ovviamente, i rom stranieri. Per invertire la tendenza occorre il riconoscimento per legge dei rom come minoranza da tutelare, così come occorre applicare le normative europee che richiedono le aree di transito in ogni comune e la legge n.337/68 relativa ai plateali per giostre e spettacoli. Va eliminata la logica dei campi, che non appartiene alla cultura rom, ma che è stata loro imposta. I campi costituiscono una vera e propria struttura di separazione e ghettizzazione: al di là delle condizioni di vita spesso pessime, realizzano una barriera culturale che discrimina e radicalizza pregiudizi. Vanno pertanto favorite forme di sperimentazione urbanistica la cui progettualità stessa sia condivisa. Vanno,infine, pensati percorsi di cittadinanza, prevedendo anche forme di reddito minimo di inserimento collegato a percorsi formativi per i più giovani.
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8) Immigrazione: risorsa culturale
Compressi fra cronaca nera e solidarismo, si rimuovono totalmente le forme di arricchimento culturale di cui le migrazioni sono, da sempre, portatrici. L'integrazione, invece, è spesso praticata in un unico senso: è lo straniero che deve adeguarsi alla nostra cultura, rimuovendo ogni propria specificità.
Vanno invece costruiti, soprattutto a partire dalla scuola e dalle realtà locali, momenti di reciproca conoscenza e incontro che non si risolvano in superficiale folklore. Esiste ormai in Italia, e ci sono già state esperienze positive in tal senso, un tessuto associativo che pratica la multiculturalità con una propria collaudata competenza. In questo tessuto il nostro partito deve essere coinvolto in maniera più attiva che in passato.
Nel partito dovrebbe radicarsi una visione policulturale, una concezione che veda ogni cultura come un sistema in continuo divenire, caratterizzato da contaminazioni e complementarietà, apporti e rimandi, mai rigido e determinato una volta per tutte.
9) Chiusura dei Cpt
Una posizione già presa, non solo da Rifondazione, ma da tutto il movimento, è quella della irriformabilità di queste strutture volute dalla legge 40 (Turco- Napolitano).
Cinque anni di esperienza dimostrano che oltre ad essere illegittimi, in quanto sanciscono la detenzione amministrativa, non sono umanizzabili. Favoriscono il business della privatizzazione delle assistenze, costano alla collettività, sono teatro continuo di tentativi di fuga o di atti di autolesionismo che a volte portano chi teme il rimpatrio a tentare il suicidio. E' comprovato che in alcuni Cpt si attua un controllo farmacologico, cosicché all'orrore della detenzione illegale si aggiunge quello manicomiale.Ogni azione tesa a ottenere la chiusura dei CPT e a impedirne l'apertura di nuovi, a svelarne le condizioni di vita, a boicottarne quotidianamente e con ogni mezzo l'esistenza va fatta propria dal nostro partito. In questo campo l'azione dei compagni impegnati negli enti locali può essere incisiva, soprattutto se determinata a non farsi condizionare dalle alleanze su principi irrinunciabili per i comunisti.
10) Lotta all'intolleranza, alla xenofobia, al razzismo.Si tratta di essere al fianco delle associazioni dei migranti e del movimento nella lotta ad ogni forma di xenofobia, di discriminazione e di razzismo, si tratta di costruire insieme degli Osservatori diffusi sul territorio per monitorare e denunciare le forme di intolleranza e di xenofobia, ma si tratta altresì di combattere i comportamenti, consci o inconsci, che possono manifestarsi anche fra noi. I nostri circoli e le nostre federazioni non sempre sono accoglienti per i migranti, spesso non c'è la disponibilità a pensare i circoli e le federazioni come case dei popoli, in cui culture, linguaggi e prassi politiche possano incontrarsi e reciprocamente arricchirsi. Talvolta è diffusa una visione molto localistica, con dirigenti tradizionalmente legati ad una idea di partito chiuso, autoreferenziale, maldisposto non solo alle innovazioni, ma persino alle modalità politiche dei giovani , delle donne e, ovviamente, dei migranti. Tutto questo va superato presto: avremo tutti da guadagnarci.
In conclusione, mentre auspichiamo che i punti sopraelencati entrino a far parte del patrimonio politico del partito, chiediamo che il partito stesso si impegni a tenerli ben presenti in occasione di accordi di programma ed alleanze future, siano esse di tipo locale, nazionale o europee. Inoltre, facendo proprie le indicazioni emerse dal FSE di Parigi e riprendendo le decisioni del nostro ultimo CPN, riguardo la necessità di coinvolgere le istanze di movimento nella discussione dei futuri programmi di coalizione, riteniamo che, nel discutere di programmi, andranno sostenuti soprattutto i seguenti principi:
- Abolizione della Bossi-Fini e revisione dell'intero testo di legge sull'immigrazione;
- Superamento della logica dei flussi;
- Cittadinanza di residenza;
- Diritto di voto;
- Chiusura dei CPT,
- Legge per i rifugiati.
Si tratta di principi di libertà, di uguaglianza e di solidarietà di classe che segnano il nostro essere comunisti.

Leggi l'approfondimento: "I migranti, un grande ponte verso la democrazia"

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