CHI VUOL DARCELA A BERE
La Coca-Cola, nuova proprietaria della Traficante rilancerebbe l’immagine delle nostre acque minerali e garantirebbe l’incremento dell’occupazione.
Il Gruppo di Rifondazione Comunista presenta oggi un disegno di legge per restituire alla Regione la titolarità del rilascio delle concessioni estrattive e per adeguare canoni concessori e royalties.
Quello dell’acqua minerale è uno dei grandi business degli ultimi anni.
Alla base c’è un prodotto, l’acqua, che è un bene demaniale, naturale.
Imbottigliato, distribuito e pubblicizzato arriva a costare dalle 500 alle 1000 volte in più rispetto all’acqua di rubinetto, che nessuno pubblicizza (nel caso della Traficante, abbiamo calcolato che costa circa 700 volte in più).
In Basilicata si producono (dati ufficiali 2003) oltre un miliardo di litri di acqua minerale imbottigliati da quattro aziende che utilizzano le sorgenti e vantano diverse etichette.
All’ingrosso, l’acqua minerale lucana costa 0,10 centesimi di euro/litro, pari a euro 113.300.000 complessive. Al dettaglio – si paga 0,27 centesimi di euro, complessivamente pari a circa 283.000.000 di euro.
Le royalties incassate dalla Regione per il 2003 ammontano appena a 305.000 euro.
Con una leggina di fine legislatura (L.R. 21/2005) – riteniamo per spianare la strada all’impresa Coca-Cola – sono state apportate modifiche al testo normativo del 1996 (L.R. 43) al fine di:
1 - ‘superare’ lo scoglio del divieto di trasferimento della concessione di sfruttamento della concessione senza l’apposita autorizzazione regionale (art. 7);
2 - trasformare ‘l’esoso’ canone annuo della concessione da lire in euro, conservandone l’effettivo importo in 5,16 per ogni ettaro oggetto del permesso;
3 - conseguire un ulteriore ricavo per la Regione, pari a 0,003 euro per litro (art. 42). Con l’art. 46-bis – così come modificato dalla LR 21/2005 – il contributo non viene più riferito all’emunto (la quantità prelevata e risultante dal contatore), ma alla quantità ‘imbottigliata’, vale a dire, inferiore di circa nove volte il prelevato. Il contributo è pari 0,00025 euro per litro.
E’ un mercato quello della minerale che gli esperti definiscono saturo (con sei imprese in Italia che controllano il 70% del business) e le nostre lucane (che non hanno mai voluto associarsi) schiacciate dal peso degli ingenti investimenti pubblicitari dei grandi gruppi. Un mercato straricco, con un costo per le aziende che utilizzano le sorgenti demaniali che può definirsi ridicolo. Lo sfruttamento delle fonti avviene con il sistema delle concessioni pubbliche, da cui lo Stato, in base a un vecchio Regio Decreto del 1927, ricava pochi spiccioli (meno di circa 500 mila euro a livello nazionale). Tanto che per molte Regioni, compresa la nostra, il ricavato è inferiore alle spese sostenute per la contabilità delle concessioni, oltre che per lo smaltimento – a carico della Regione - delle bottiglie di plastica.
Purtroppo, l’origine sotterranea dell’acqua, non garantisce per la sua purezza, stante la possibilità che agenti inquinanti, siano essi di origine industriale o agricola o dovuti alle piogge acide, penetrino nel sottosuolo con effetti devastanti.
La legislazione italiana in materia è insufficiente sotto vari profili, e inadempiente rispetto agli obblighi imposti dalla normativa europea.
In sostanza, si potrebbe acquistare acqua minerale contenente arsenico, cadmio, piombo, nitrati o idrocarburi in una quantità tale da certificare come non potabile l’acqua del rubinetto.
La legge italiana considera le acque minerali come acque medicinali, in considerazione delle sostanze disciolte che “sono dotate di particolari virtù terapeutiche”, e non impone – contravvenendo alle Direttive europee – che sulle etichette vengano specificate tutte le sostanze presenti, soprattutto quelle che costituiscono un rischio per la salute.
Che sia un grande affare per le grandi imprese lo si ricava - ancor in queste settimane - dal rilevamento della Traficante da parte della Coca-Cola (35 milioni di euro il prezzo pagato per il passaggio di titolarità dell’azienda), che contribuisce attivamente al processo di forte concentrazione del settore.
Eppure, la migliore acqua da bere non si trova necessariamente in una bottiglia. Se vogliamo bere acqua pura dobbiamo porre maggiori sforzi nel proteggere fiumi, laghi e falde idriche, e poi investire in modo che tale acqua arrivi in modo sicuro al consumatore attraverso i rubinetti. E non è certamente migliore solamente perché costa 700 volte più di un litro di acqua potabile. Il successo di mercato delle acque minerali è scandaloso: un fenomeno di sfruttamento a fine di lucro di un bene demaniale pubblico, che avviene col beneplacito formale ed esplicito delle autorità pubbliche, com’è il caso della Regione Basilicata che ha addirittura peggiorato – con una leggina di fine legislatura nel 2005 – il prezzo già ridicolo della concessione e stabilendo che le royalty siano calcolate sull’imbottigliato anziché sull’emunto. Che fine fanno le altre centinaia e centinaia di migliaia di litri estratti?.
Ma, a questo punto della mercificazione dell’acqua attraverso il potente stimolo della pubblicizzazione delle ‘miracolose’ acque minerali, bisogna fare i conti con una domanda che si fanno finanzieri e consumatori: perché impedire di vendere e acquistare l’acqua potabile come qualsiasi altra merce? Che differenza c’è tra l’acqua minerale e l’acqua potabile?
Attirata dagli alti livelli di profitto e da allettanti promesse future del business acqua, un’impresa come Coca-Cola entra prepotentemente nel settore, introducendo – tra l’altro - un nuovo tipo di “acqua da bere”, l’acqua “purificata” – ricavata dall’acqua d’acquedotto demineralizzata e declorizzata.
E così, il legislatore sta autorizzando anche in Italia la vendita in bottiglia dell’acqua di rubinetto.
L’acqua, il più fondamentale dei beni pubblici, la res pubblica nel senso pieno, nel business diventa l’oro blu del futuro, il petrolio del 2000, equivalente quasi alla metà dell’economia legata al petrolio.
Ciò che ha decretato il successo della minerale e del recente ingresso nel settore della Coca-Cola, sicuramente dipende dalla crescente sfiducia degli italiani nell’acqua del rubinetto, ma è legato soprattutto all’abile strategia di comunicazione e all’infinità di risorse investite nella pubblicità. In grado di comprare il favore e il silenzio di troppi.
La Basilicata – e questo è un fatto riconosciuto da tutti – ha una buona acqua potabile e potrebbe gestire pubblicisticamente anche le sue acque minerali. Perché un simile regalo alla Coca-Cola?
Possibile che i Comuni della zona del Vulture, associandosi non trovino la convenienza dell’intrapresa? E che la regione – che pure l’ha previsto nella sua legge del 1996 – non trovi utile un investimento per la rilevazione e l’ammodernamento degli impianti e la loro gestione pubblicistica?
Si è ancora in tempo per bloccare la conclusione della vendita della Traficante alla Coca-Cola.
Il nostro partito – con l’interrogazione della nostra consigliera Emilia Simonetti – ha chiesto di restituire in testa alla regione e alla mano pubblica la gestione di una così delicata e importante risorsa, e per garantire veramente adeguati livelli occupazionali e uno sfruttamento non selvaggio delle riserve idriche. Al Presidente della Giunta Regionale chiede, infine quali interventi intende adottare per tutelare il territorio e gli attuali livelli occupazionali in tutta l’area del Vulture nel settore delle acque minerali.
Ancora, per iniziativa del nostro partito, proprio oggi è stato presentato un disegno di legge per restituire alla Regione la titolarità del rilascio delle concessioni estrattive e per adeguare canoni concessori e royalties a valori decenti e minimamente significativi.
23 febbraio 2006
Il Gruppo consiliare del PRC
Il Dipartimento regionale Territorio del PRC