“E’ FATTO GIORNO, SIAMO ENTRATI IN GIOCO ANCHE NOI ...”

 

In quella enorme Stazione ferroviaria di Ferrandina, deserta, appena inaugurata e già abbandonata per sempre – materiali e stile ricercati, buoni per un cimitero postmoderno o un bunker sperduto nel nulla, non si sono alzati neppure “i gridi ringhiera ringhiera: Giustizia nera, Giustizia nera”. E come poteva riuscire questo funerale imbastito per burla, oggi, al cospetto di un lutto vero?

Quelle occhiaie vuote, rifatte e ricomposte; quel ghigno di scherno che dalla valle del Basento irride tutto il territorio perché non s’abbia più neanche memoria di un luogo e di una storia di cent’anni, per ora suscita solo sconforto.

 

Forse per questo oggi non hanno potuto piangere le prefiche, neppure per burla.

Forse per questo non sono scesi a valle in massa i centocinquantamila abitanti interessati che, d’ora innanzi, dovranno arrangiarsi – ciascuno a suo modo – se vorranno avventurarsi in quel luogo deserto e inospitale, alla mercè di orari improbabili e treni aleatori.

 

Oggi c’è solo sconforto. E’ venuto a mancare un presidio importante di civiltà. Con esso, almeno per oggi, è andato smarrito il conforto, essenziale per continuare la lunga lotta di civiltà delle nostre terre.

Com’è pensabile immaginare una storia di avanzamento civile senza ferrovia, senza infrastrutture logistiche che – in un tempo medio di un’ora – ti fanno raggiungere ogni punto, ciascun comune della valle e delle sue colline, da Potenza ai centri della murgia pugliese, realizzando quella sorta di area urbana di circa duecentocinquantamila abitanti capace di competere e cooperare con le grandi città che – proprio grazie alla popolazione – ipotecano oggi quell’avanzamento?

 

“Quale spiraglio ai figli che avete fatto quando la sera si ritireranno?” Questo ci chiederanno.

Non lo chiederanno immediatamente a chi decide a Roma, a tavolino, tra i fumi degli interessi privati e pubblici in conflitto dei Lunardi o dei Berlusconi, tutti intenti a calcolare i vantaggi che verranno dal Ponte di Messina, o dall’Alta Velocità.

Non lo chiederanno a onorevoli parlamentari e regionali che non conoscono la nostra storia.

Il conto lo presenteranno a noi, noi che consentiamo tutto questo: prima la terra e i figli, oggi la speranza.

 

“Ma nei sentieri non si torna indietro” – ci ricorda ancora Rocco Scotellaro – “Altre ali fuggiranno dalle paglie della sera. L’alba è nuova, è nuova”.

Questa lotta dovrà continuare, perché abbiamo ragione. Domani, non centocinquanta come oggi saremo, ma quindicimila: in fondo, solo il dieci per cento degli interessati.

E vedrete se non si trova una via d’uscita

 

 

Matera, 20 gennaio 2006