ESCLUSIVO
TRAFFICO DI RIFIUTI: INCHIESTA DEI MAGISTRATI LUCANI


DA MATERA A BAGHDAD

La Direzione distrettuale antimafia della Procura di Potenza sta indagando su un sospetto traffico di plutonio dall’Italia verso l’Irak tra gli anni ’80 e ’90.

Matera-Baghdad, sola andata; ovvero, quella strana rotta lungo la quale, sul finire degli anni Ottanta, un bel po’ di plutonio avrebbe lasciato l’Italia diretto ad armare il Paese "proibito" per eccellenza degli ultimi due decenni: l’Irak di Saddam Hussein. Una rotta dalle possibili tappe intermedie africane, ove smaltire illegalmente scorie e rifiuti radioattivi, altrimenti non trattabili, in Italia o in Europa, se non a costi proibitivi.

Questa l’ipotesi investigativa su cui sta indagando la Direzione distrettuale antimafia della Procura di Potenza. Il procuratore capo Giuseppe Galante e il sostituto Felicia Genovese stanno ricomponendo un puzzle quanto mai inquietante: la centrale di ricerca nucleare Trisaia della Rotondella avrebbe acquisito e trasferito in Irak plutonio e altro materiale nucleare utilizzabile a scopo bellico, facendo nel frattempo sparire scorie radioattive che non dovevano essere trovate nella centrale dell’Enea.

L’inchiesta ha radici lontane. Gli indizi, le testimonianze, i riscontri raccolti hanno già riempito numerosi faldoni.

Le persone iscritte nel registro degli indagati sono fin qui dieci. E il traguardo finale è prossimo: le indagini devono infatti concludersi entro il 2005. La recente pubblicazione di un memoriale scritto da un ex boss della ’ndrangheta ha acceso i riflettori sul lavoro dei pm lucani. L’ex capo mafioso, in particolare, ha raccontato due spedizioni di fusti (1.500 in tutto), pieni di sostanze radioattive, seppelliti in Somalia nel 1987 e nel 1993. Ha altresì rivelato che 100 bidoni sarebbero stati sepolti in Basilicata, nel territorio fra Pisticci e Ferrandina. Secondo il pentito, tutto il materiale sarebbe stato prelevato dalla centrale Enea di Rotondella.

L’indagine alla quale si legano le dichiarazioni dell’ex boss getta radici in un’inchiesta precedente, condotta fra il 1995 e il 1997 da Nicola Maria Pace (si veda al riguardo il n. 23/2005 di Famiglia Cristiana). Già allora erano emersi diversi filoni, molti dei quali rimasti incompleti a causa del trasferimento di Pace alla guida della Procura della Repubblica di Trieste. Alcune di quelle piste hanno dato vita al fascicolo 1.180/99 relativo a traffici di materiale bellico nucleare e di scorie radioattive, nonché al coinvolgimento della criminalità organizzata calabrese. I magistrati Galante e Genovese hanno affidato le indagini ai nuclei di polizia giudiziaria dei Carabinieri e del Corpo forestale dello Stato di Matera.

Quest’ultimo, in particolar modo, è la memoria storica dell’indagine, perché il suo comandante, Giuseppe Giove, collaborava già con Pace. Ed è proprio nella seconda metà degli anni Novanta che vengono trovati rifiuti tossici all’interno di alcuni pozzi per l’estrazione di gas nel Materano, senza peraltro ottenere al processo una condanna per i presunti responsabili dello smaltimento illecito. Era stato quel rinvenimento a far temere che i pozzi (profondi 1.500-2.000 metri) potessero essere stati utilizzati anche per smaltire scorie nucleari. Ed è ancora la squadra investigativa di Pace che appura le "anomalie" contabili della Trisaia nella registrazione del materiale radioattivo e raccoglie le testimonianze sulla disinvolta gestione dei camion che entravano e uscivano dalla centrale. 

Trasferito il giudice Pace, le indagini hanno una pausa. Ma una fotocopia rimette in moto nel 1999 la squadra degli investigatori della Forestale.

Due testimoni consegnano agli inquirenti una bolla d’accompagnamento dalla quale risulta che nel carico di un camion c’era plutonio, materiale a uso esclusivamente bellico che alla Trisaia non sarebbe dovuto entrare. Alcuni informatori confermano la movimentazione sospetta di materiale, ma aggiungono un elemento importante: su quelle losche vicende s’allunga l’ombra della criminalità organizzata. Perciò parte la segnalazione all’Antimafia di Potenza e nasce il fascicolo 1.180/99.

I sospetti convergono su Baghdad

Arrivano le prime conferme, grazie anche a interessanti intercettazioni. Negli ultimi due anni, la Procura di Potenza ottiene importanti dichiarazioni dal personale di vigilanza della Trisaia e da "fonti" interne al centro. La gestione del materiale radioattivo si conferma tutt'altro che trasparente; e si rafforza l’ipotesi che possano essere uscite scorie non contabilizzate. Circa la destinazione finale del plutonio, i sospetti convergono su Baghdad. Intanto, dalle intercettazioni fioriscono altre indagini, come quella che porta pochi giorni fa all’arresto – per brogli elettorali e per corruzione – di 14 persone, fra cui il sindaco di Scanzano Mario Altieri.

Quanto all’ex boss della ’ndrangheta, è dal 2003 che mette a verbale le sue dichiarazioni, prima ai magistrati della Procura nazionale antimafia, poi a quelli di Potenza. Solo di recente, tuttavia, l’ex boss ha indicato – senza peraltro offrire elementi precisi – il sito (le "Coste della Cretagna", nei pressi del torrente Vella) dove avrebbe seppellito 100 fusti radioattivi. Molti lavorano per vagliare l’attendibilità delle sue dichiarazioni. La zona verrà perlustrata palmo a palmo con i mezzi tecnologici più sofisticati.

Ma intanto dovrà essere chiarito un punto. I magistrati lucani hanno appurato che verso la fine dell’estate 2003 l’ex boss (all’epoca detenuto) è rimasto per una manciata di giorni nello stesso carcere del Piemonte in cui si trovava un’altra delle fonti informative che hanno denunciato i trasferimenti segreti di materiale radioattivo dalla Trisaia. Un testimone che ha una lunga storia nel settore dei traffici internazionali di rifiuti, già implicato nel cosiddetto "Progetto Urano" organizzato tra gli anni Ottanta e Novanta. I due si sono parlati? Il recente memoriale – che ha aggiunto ulteriori elementi – può esserne stato "inquinato"? Nelle prossime settimane la risposta: se l’ex boss contribuirà all’individuazione e al recupero dei 100 fusti fugherà ogni dubbio.

Barbara Carazzolo, Alberto Chiara e Luciano Scalettari