Alle donne e alle compagne che hanno desiderio di riprendersi la parola

 

Alcuni giorni fa la Società Filosofica di Matera ha promosso un convegno sul tema dei diritti civili e politici delle donne in una democrazia giusta. Nel ringraziare per l’attenzione posta vorrei pubblicare alcune riflessioni che l’invito rivoltomi a dare un personale contributo ha stimolato, in un attualità che registra un virulento attacco proprio ad una serie di diritti faticosamente conquistati negli anni 70 e 80 e frutto delle lotte dei movimenti femministi accanto ad un pesante silenzio ed una pericolosa abitudine alla rinuncia, delle donne, che ha caratterizzato gli anni successivi.

Il 14 gennaio si terrà a Milano una importante manifestazione nazionale che ha come tema conduttore proprio la necessità di ‘uscire dal silenzio e di aprire una nuova stagione di lotte che ci veda ancora protagoniste di un movimento di liberazione che deve ritrovare oggi la sua autonomia ed autorevolezza di analisi e proposta politica.

Sono queste ragioni sufficienti per esprimere pubblicamente la volontà di dare il proprio contributo affinché anche in Basilicata le donne si riprendano la parola o, nel caso l’avessero, la facciano sentire. Forte!

Il bisogno non rinviabile di una nuova convivenza globale, aggiunge urgenza e ritrova tutta la sua necessità in un’epoca segnata profondamente da un regime di odio e di paura che sembra coinvolgere l’intera umanità. La guerra nei Balcani in Afghanistan e in Iraq, le guerre dimenticate del continente africano e quelle ancora più sconosciute di tanti angoli di questo mondo, gli attacchi terroristici, sono l’unico elemento globalizzante dei nostri tempi, che segnano il diffondersi della ‘guerra di civiltà ’ che scandisce i rapporti fra gli stati e fra le persone.

La frammentarietà del movimento femminista ed il silenzio delle donne non riesce oggi a far percepire i nessi e i collegamenti tra la soggettività femminile e il governo del mondo.

E’ necessario che la voce libera e matura delle donne parli nelle Istituzioni, a tutti i livelli, che ne protocollano una presenza tuttora marginale e quindi poco incisiva e determinante, proprio laddove si definiscono le norme della convivenza.

E se la guerra è diventata strumento di governo del mondo, sono un suo prodotto le politiche repressive nei confronti dei migranti (penso all’impatto sulle badanti o sullo sfruttamento della prostituzione o alle espulsioni di massa e disumane di tanti disperati), le scelte punitive e senza speranza che si prospettano in merito alla complessità della questione delle droghe, alla ostilità nei confronti dell’ elementare riconoscimento di cittadinanza e diritti civili delle coppie e dei singoli gay o lesbiche fino alle violenze che infieriscono sui corpi delle donne.

Da qui la necessità di pratiche di convivenza civile e di rispetto delle diversità che invece sappiano pensare ed esercitare nuovi modi di governare, laici e partecipati. Nuovi modi di avere cura delle le comunità, dei territori e dell’ambiente, di politiche di welfare che sappiano rispondere ai molteplici bisogni dei nostri giorni, a cominciare dalle nuove povertà, della globalizzazione dei diritti e della solidarietà, di indifferibili e nuovi modelli di cooperazione tra i nord e i sud del mondo, del diritto a ricercare “la felicità”.

In una parola, cara alla tradizione femminista, del diritto “all’autodeterminazione” delle donne e degli uomini, dei popoli e degli Stati Sovrani.

Il governo pacifico del mondo non può prescindere dal dialogo tra gli infinti punti di vista che uomini e donne, in luoghi e generazioni diverse esprimono, a cominciare dal pensiero critico della differenza sessuale delle donne stesse.

Per queste ragioni le politiche che esaltano ed ancora una volta assegnano alle donne i compiti della maternità e della cura della famiglia hanno il sapore molesto del patriarcato e di un ritorno ad un buio passato mai completamente risolto. In troppe parti del mondo quel buio è la quotidianità. In Italia, l’attacco di forze reazionarie e conservatrici - sostenute da un pezzo del mondo cattolico- e culminato nella scorsa campagna referendaria sulla procreazione assistita, segna pesantemente la storia del movimento di liberazione delle donne poichè anteponendo, per la prima volta nella giurisprudenza internazionale, i presunti diritti dell’ovulo fecondato a quelli della donna le nega la titolarità ed il diritto di desiderare e scegliere come e quando accogliere o non accogliere , nel proprio corpo, la maternità.

E’ evidente il tentativo prevaricatore e disonesto di relegare, così la donna , al compito di “contenitore” e di mera funzione riproduttiva in una rinnovata affermazione della incontrastata potenza fecondante della sessualità maschile.

Sancendo inoltre che i diritti di un ovulo fecondato possono essere usati contro la donna si disconosce penosamente che solo la scelta gioiosa e l’ amore di una donna possono trasformare l’ovulo stesso in embrione e poi in una futura e voluta neonata o neonato. Neonata/o che secondo il nostro codice civile acquisisce diritti e personalità giuridica al momento della nascita ma che può essere oggetto di tenerezza e fantasia anche quando è “solamente un desiderato grumo di cellule”.

Tutto questo è possibile solo se il corpo e la mente di una donna sono in armonia.

Lo scontro aperto nelle scorse settimane sulla 194 è quindi l’esito naturale di una politica nazionale e di destra che nega tutto ciò, in una visione dogmatica, chiusa ed antipluralista dello stato regolato da norme e precetti confessionali e non già legittimo e laico e quindi rispettoso delle istanze, delle convinzioni, delle pluralità di una società sempre più aperta e multiculturale. Lo Stato laico per tutte e tutte e tutti.

Nella stessa direzione e lo stesso linguaggio parlano la legge finanziaria 2006 (compreso il ridicolo bonus per i nuovi nati a scapito di servizi reali e programmi di politica sociale collettiva), la legge Moratti (che tra gli altri guasti depotenzia la scuola pubblica per l’infanzia, stravolge la scuola superiore e privatizza la ricerca) sino alla legge 30 (legge Biagi)che introducendo circa 40 forme di contratto rende strutturale la precarietà e trasforma il lavoro in “merce”, per cui la lavoratrice o il lavoratore perdono ogni forma di tutela e di diritto.

Quel precariato, che esige di essere sempre a disposizione dei tempi e dei modi dell’impresa, ma soprattutto che espropria della possibilità di progettare il futuro alle giovani generazioni, costringendole all’incertezza perenne e alla condizione di bersaglio e di ricatto, ma anche di più facile esposizione alle note ed odiose molestie sessuali di cui sono vittime tante lavoratrici.

I miseri numeri e la qualità relativi all’ occupazione, e a quella femminile in particolare, sono noti, per cui certamente gli effetti di questa legge sulla vita delle donne sono più che evidenti.

Vorrei concludere facendo riferimento ad una interessante indagine condotta da un quotidiano nazionale, Liberazione, che ha per titolo “Maschi perché uccidete le donne?”, che a mio giudizio offre spunti interessanti e riflessioni inedite per una discussione aperta e stimolante sul tema dei diritti e della democrazia giusta.

Gli uomini uccidono le donne che amano o che dicono di amare.

La prima causa di morte delle donne tra i 16 e i 44 anni nel mondo, ma anche in Europa, è provocata dai loro compagni, mariti, fratelli, amanti, ecc.. A pagare sono persone di colore diverso, di classe diversa, di cultura, religione o ruolo diverso.

Sono uguali perché donne e perché vittime.

I maschi violentano e uccidono soprattutto in famiglia, ma anche fuori per strada, volendo così impedire alle donne di uscire e di essere libere.

Alla domanda posta, gli uomini hanno dato risposte sfuggenti, deludenti, perché hanno omesso un aspetto importante, quello di parlare di sé.

Molte di noi hanno appreso proprio con il femminismo l’importanza della ricerca, dell’autocritica e dell’autocoscienza e forse quando gli uomini capiranno che è proprio partendo da sé che si costruisce il cambiamento radicale della società, non solo sarà possibile costruire un mondo dove le donne non saranno più uccise, ma soprattutto sarà possibile costruire un mondo dove potranno convivere pacificamente le soggettività, le differenze, le più diverse culture.

 

Ferrandina, 3 gennaio 2006

 

Rosa Rivelli

Componente del Comitato Politico Regionale del Partito della Rifondazione Comunista