Pubblicate le conclusioni
della Commissione bicamerale d'inchiesta parlamentare
I «fondati timori» sui
rifiuti tossici
Posizioni divergenti sulle
dichiarazioni del boss pentito
Hanno paura che i rifiuti ci siano, hanno
riscontrato una elevata incidenza di fenomeni tumorali nella zona
interessata e consigliano di videosorvegliare le vie d'accesso alle regione.
Scrivono che il «timore che la terra lucana sia stata una realtà oggetto,
nel corso degli ultimi anni, di un'attività di sversamento di rifiuti
pericolosi, e in particolar modo, di rifiuti radioattivi, costituisce fonte
di elevata preoccupazione». E scrivono anche che il «il timore - purtroppo -
è fondato».
In un documento ufficiale c'è tutta la preoccupazione del parlamento
italiano per i cento fusti che sarebbero stati interrati a Costa della
Cretagna - per conto dello Stato - da uomini di una potente cosca reggina:
la famiglia Iamonte di Melito Porto Salvo. L'aveva svelato un ex
collaboratore di giustizia di Bovalino. Le sue dichiarazioni sono state
utili - a livello probatorio - nei processi per omicidio sulla strage di
Sant'Ilario dello Ionio. Il suo memoriale, poi, ha permesso agli
investigatori di ritrovare una nave affondata sulla costa jonica calabrese.
Ma in Basilicata il Corpo forestale non ha ancora trovato niente.
«Credo - spiega Pino Giove, comandante provinciale di Matera del Corpo
forestale - che i componenti della commissione abbiano maturato questa
certezza in base alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia. Noi
stiamo ancora lavorando e peraltro siamo vincolati al segreto istruttorio.
In ogni caso se ci fossero stati elementi preoccupanti avremmo provveduto a
informare le autorità competenti».
Non un fusto è ancora saltato fuori a Costa della Cretagna. Ma nel documento
finale della commissione d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti ricorre la parola
«preoccupazione». Il 22 giugno dello scorso anno alcuni componenti della
commissione presieduta dal forzista Paolo Russo hanno portato a termine una
missione in terra di Lucania per valutare le dichiarazioni del pentito.
Nella Prefettura del capoluogo di regione i parlamentari hanno ascoltato i
vertici degli enti locali, delle forze di polizia e il magistrato della
procura antimafia Felicia Genovese, incaricata dell'indagine sulla strana
scomparsa di barre di plutonio dal centro Itrec di Rotondella.
Alla Trisaia un tempo si riciclavano le barre di combustibile usate delle
centrali nucleari e dove ancora oggi si trovano scorie radioattive d'ogni
genere. In quell'occasione sono stati sentiti anche i dirigenti del Centro
ex Enea (oggi Sogin) di Rotondella e i rappresentanti delle associazioni
ambientaliste. Il pentito - nel memoriale consegnato alla direzione
nazionale antimafia - parlava di 600 fusti, contenenti rifiuti radioattivi,
smaltiti dallo Stato tra la Somalia e la Basilicata con la complicità di
servizi segreti, faccendieri, politici e mafiosi. Ma in Basilicata su
"strani" movimenti al centro Itrec già si stava indagando. I magistrati
antimafia hanno spiegato alla commissione bicamerale che c'è un fascicolo
aperto sin dal 1999. L'ipotesi è che dal centro Itrec sia uscito
illegalmente materiale nucleare: non solo scorie dirette in Somalia, ma
anche plutonio destinato all'Iraq di Saddam Hussein. L'inchiesta partì
quando ai magistrati fu consegnata una bolla di accompagnamento che rivelava
che su di un camion uscito dall'Enea c'era anche del plutonio. Dalle
indagini è emersa una gestione poco trasparente delle scorie e la
possibilità che del materiale sia uscito illegalmente. Circostanze che erano
già emerse alla metà degli anni Novanta nel corso di un'indagine del
sostituto procuratore materano Nicola Maria Pace, poi trasferito a Trieste.
Le dichiarazioni del pentito, insomma, sono ancora da approfondire. Ma il
monito della Commissione è: «monitorare e reprimere le attività criminali
connesse al ciclo dei rifiuti». Così come è necessario un maggior ricorso
alla raccolta differenziata, «attestata - si legge nel documento conclusivo
- su percentuali che possiamo definire basse se non mortificanti». Questo
scrivono. In realtà dicono che di concreto ancora non c'è nulla. Tutto è
legato al rinvenimento dei fusti. Lo stesso sopraluogo effettuato dal
pentito non ha ancora consentito di individuare esattamente la zona
dell'interramento perché a distanza di 17 anni i luoghi sono profondamente
cambiati. «La nostra relazione - spiega Tommaso Sodano che in commissione
rappresenta Rifondazione comunista - si basa su un'analisi induttiva. Per
mettere davvero la parola fine sulla vicenda è necessario che vengano
rinvenuti i fusti, ma la zona è molto ampia ed è come cercare un ago in un
pagliaio». E aggiunge: «I traffici ormai sono stati accertati come dimostra
anche il filone d'indagine sulla Somalia e sulla morte della giornalista
Ilaria Alpi». E il pentito?
«Le indagini aperte dalla procura di Paola hanno trovato riscontri per cui è
ipotizzabile che lui abbia detto la verità», sostiene Sodano. Non è della
stessa opinione Donato Piglionica, alla camera in quota Ds. «Nel luogo
indicato - sostiene - sembra proprio che non ci sia niente». Le rilevazioni
magnometriche, infatti, non hanno segnalato la presenza di materiale ferroso
o radioattivo. «E Il fatto che a largo di Cetraro, in Calabria - aggiunge il
parlamentare - sia stata individuata una delle navi che, secondo il
racconto, sarebbero state volontariamente affondate, non lascia presupporre
che le dichiarazioni siano tutte veritiere». Il livello d'attenzione deve
comunque rimanere alto. «In commissione abbiamo sentito il pentito - dice
Piglionica - e a me è sembrato uno che ne spara anche grosse.
Sull'affidabilità del soggetto ho qualche perplessità, soprattutto quando
sostiene che dietro il traffico dei rifiuti ci sarebbe addirittura Bin Laden».
Ma una verità è comunque emersa: «Il dato di fatto incontrovertibile - dice
Piglionica - è che il traffico con la Somalia c'è stato. Che la Alpi stesse
seguendo questa pista è quasi acclarato, anche se è ancora da dimostrare che
la morte della giornalista sia legata alla sua inchiesta. Per quanto
riguarda la Basilicata l'unico dato certo in nostro possesso è che
all'interno della Trisaia qualcosa di poco chiaro c'è stato». Le
dichiarazioni del pentito potrebbero non essere tutte vere? Alle spalle
potrebbe esserci una manovra occulta, forse per distogliere l'attenzione da
qualcos'altro? E Piglionica conclude, quasi a giustificare il mancato
rinvenimento dei fusti: «I reati ormai sono prescritti».