Attivo Regionale PRC, Matera - 18 febbraio 2006
Intervento di Michele Saponaro, coordinatore regionale Dipartimento Territorio
Il Programma dell'Unione è stato pubblicato qualche giorno fa: potete trovarlo anche sul sito nazionale di Rifondazione Comunista. Vi troverete anche una sua riduzione in forma di ABBECEDARIO, facile da consultare e utilizzare.
Qui, mi pare, dobbiamo sottolineare il contributo nostro al Programma. E, in particolare, il nostro contributo sul/del Mezzogiorno. Quali i temi che interessano da vicino noi lucani.
Anzitutto, dobbiamo sottolineare gli effetti della legge elettorale proporzionale: sembrano finalmente andare in crisi le pratiche di politica istituzionale che si richiamano alla personalizzazione del potere, che mirano – in realtà – a neutralizzare il suffragio universale, svuotando la rappresentanza, vanificando la democrazia. Una minoranza in nome della maggioranza ma per conto di se stessa, e solo di se stessa, detiene un potere permanente e inalienabile. Personalizzazione del potere e omologazione al centro dei competitori sono la caratteristica evidente del sistema politico basato sull'elezione di tipo maggioritario. Si è così contribuito, camuffando il voto, l'elezione, la rappresentanza, i diritti, la democrazia, a sradicare – nelle esperienze e nelle coscienze – la credibilità della politica, vanificandone il significato e con esso la speranza e l'impegno delle donne e degli uomini ad essere artefici del proprio destino.
Si riaprono, adesso, sicuramente più spazi per rispondere alla crisi della democrazia con più democrazia: e questo – per noi meridionali e comunisti – rappresenta uno spazio vero per ripensare e rilanciare la questione meridionale. Anche perché – a mio parere – è quasi certo che, nel risultato elettorale, Rifondazione Comunista risulti determinante per governare il Paese (certo lo potrebbe essere anche l'Udeur: ma si riapre una possibilità per la politica, tutta la politica!).
"Un Programma – scriveva E. Sereni ai primi anni sessanta – è in realtà un MOVIMENTO DI MASSA", che s'insinua, oggi, nelle ambiguità del Programma per torcerlo a proprio vantaggio!
Dobbiamo – perciò - darci una chiave di lettura "nostra" della vicenda del Mezzogiorno. E questa – mi pare – non possa che essere quella della PRECARIETA' (il richiamo alla proposta dei GC), che nel Mezzogiorno ha prodotto danni devastanti. La parola-guida precarietà allude sia alla perdita di fiducia nell'avvenire, sia al tipo di lavoro che il neoliberismo richiede nella sua fabbrica globale. A sua volta, la precarietà del lavoro, annunciata come forma di libertà ma rivelatasi senza opzione, produce uno stato di intermittenza e di frammentazione che aumenta il senso della precarietà stessa della vita. Ciascuna/o di noi ha la sua precarietà. Precaria è sempre la parola, precario l'ascolto, mutevoli sono le condizioni del vivere, latente è sempre anche l'Alterità. Se facciamo "della responsabilità un diritto piuttosto che un obbligo", e se (ci) educhiamo "all'imperativo planetario", potremo creare una diversa sensibilità sociale, una pratica sociale basata sull'alterità. "Noi" e "loro" dobbiamo immaginarci in un "dialogo intessuto di responsabilità" perché tutti/e noi siamo "esseri umani planetari" (Aut Aut 2002). Ciò nonostante, al momento tuttavia prevalgono precarietà del lavoro, precarietà dell'esistenza/precarietà delle culture: senso di precarietà, dal punto di vista sociale a quello culturale. Il pensiero egemone vuole invece – nell'imporre la precarietà del lavoro – la durata della sua cultura, una cultura dell'eterno presente collocata nelle "loro" certezze. Nel ridurre – se non demonizzare – qualsiasi dissenso e critica, si cerca di svuotare il senso della memoria (oblio di memorie di tragedie, memorie di ideali, di rivendicazioni, di movimenti nella mondializzazione del tempo), nel suo raccordo fra passato-presente-futuro. Con il progressivo smantellamento dello Stato di diritto, emerge sempre di più che ad alcuni non è riconosciuta neanche la dignità di esseri umani: se nell'attuale mondo siamo tutti particolarmente esposti alla precarietà, per alcuni la vita diventa un vuoto a perdere.
Di fronte a questo scenario, anche noi proponiamo un'etica non violenta, basata sulla percezione della precarietà della vita che inizia dalla vita precaria dell'Altro. Come abbiamo tante volte detto, il problema è quello di prendere atto delle differenze (fra uomini e donne, fra donne, fra native e migranti) e dare loro spazio, ascoltarle senza appropriarcene. La flessibilità che corregge la precarietà non è solo una teoria letteraria o sociologica, è una pratica adatta a certe situazioni. Resistere, trattenersi, reprimere si accompagnano a strategie intelligenti e inventive di esplorazione critica e creativa: "non ci capiamo completamente, ma possiamo convivere". Cito Spivak che dice, "Io voglio restaurare l'utopico. Voglio che la gente ricominci a sognare perché nei sogni iniziano le responsabilità". E se non ora, quando?
Concretamente, il sogno di un altro mondo possibile, si realizza anche sconfiggendo le forme autoritarie di personalizzazione della politica, mandando a casa Berlusconi. Ma, anche creando – attraverso la campagna di sensibilizzazione politica che per noi deve rappresentare questa campagna elettorale (e quella amministrativa della tarda primavera) – una rinnovata fiducia nelle forme di democrazia partecipata, effettivamente coinvolgente; per riconoscere bisogni e aspettative, che si trasformino – nella discussione e nel dialogo – in consapevolezza sociale e politica della precarietà e delle forme di resistenza e di creatività per guadagnarci il presente e senza compromettere il futuro.
Dobbiamo necessariamente mettere a fuoco, oggi, la condizione dei precari del lavoro: da qui ripartire per avanzare le nostre proposte. I contratti atipici si estendono, tendono a generalizzarsi e moltiplicarsi. La precarietà si massifica e penetra in tutti i luoghi. Questo processo merita un approfondimento analitico e d'inchiesta luogo per luogo, costante per chi, come, noi, vuole far discendere dall'analisi approfondita della realtà sociale progetti, metodologie e piattaforme capaci di muovere l'azione politica. Qui ci preme sottolineare come la lettura generalmente diffusa della precarietà possa essere ribaltata: la precarietà così intesa diventa, infatti, da creatrice di mille condizioni specifiche a frontiera politica ricompositiva. Le lotte dei precari – e precari non sono solo gli ex Lsu, o dei call-center, ma anche i cassintegrati, i minacciati quotidiani dalle probabili chiusure di stabilimenti e aziende - ci parlano, in primo luogo, di come il conflitto non possa prescindere dal riconoscimento delle specificità su cui individuare vertenze e su cui costruire l'autorganizzazione dei movimenti e contemporaneamente ci dicono come queste lotte ancora non comunichino e non si riconoscano tra loro.
La soluzione non è, e non può essere, ovviamente quella di abbandonare queste importanti esperienze di radicamento sociale e autorganizzazione, o di ridurre le specificità ad una, più o meno "innovativa", soggettività unificante (il "vecchio" proletariato industriale troppo spesso considerato unico portatore della trasformazione, ma anche un'indistinta moltitudine, di fatto nuova astrazione idealistica) ma piuttosto quello di trovare rivendicazioni e pratiche capaci di connetterle e quindi anche di trasformarle. Intorno al paradigma di una precarietà generalizzata ogni singola vertenza, anche la più minimalista e settoriale, diventa oggi fondamentale per dimostrare che resistere, e vincere, è possibile. Resistere alla costante erosione dei diritti sui posti di lavoro, tutt'altro che battaglia di retroguardia, è la sola strada oggi percorribile per poter domani ricominciare a pensare la vita delle persone, i suoi tempi e il suo sviluppo, come un bene necessariamente libero dai vincoli del mercato e dalle leggi del profitto. Una nuova stagione di diritti e di liberazione del lavoro potrà passare solo dalla capacità, oggi, di battere l'offensiva finale neoliberista tesa a smantellare l'intero sistema giuridico e sociale di tutela del lavoro, nato dal protagonismo secolare dei lavoratori e della lavoratrici. Se questo è vero, però, diventa cruciale e non più rinviabile la costruzione di un vasto movimento politico e sociale di opposizione alla precarietà, che rimetta al centro dell'agire politico la rivendicazione collettiva di diritti e tutele sempre più estese, per chi lavora e per chi è disoccupato, fondate sull'assunzione di un punto di vista esplicitamente di parte: quello di chi lavora per vivere contro chi vive, e prospera sul lavoro altrui. La precarietà è quindi una diga che deve essere abbattuta per liberare la forza di nuova soggettività politica. Il reddito minimo d'inserimento, la profonda riforma degli ammortizzatori sociali… ci sembrano i terreni su cui sviluppare una nuova capacità "offensiva", alternativa ai processi neoliberisti, e ricominciare a ottenere vittorie che segnino nuovi spartiacque, affermino che indietro non si può tornare. In questa chiave si può lavorare alla definizione di una piattaforma-programma di lotta. La costruzione – come si sta tentando in provincia di Matera - di un "Tavolo contro la precarietà", assume quindi un valore significativo proprio perché fondato sull'ipotesi che gran parte di questo movimento sia riconducibile a una condizione di precarietà generalizzata (quasi come se alla figura tipo dell'operaio-massa si sovrapponga e si sostituisca quella del/della precario/a-massa) in cui non solo si riconoscono coloro i quali vengono collocati stabilmente fuori dalle tradizionali regole e tutele che hanno caratterizzato il mondo del lavoro, ma più in generale un molteplice proletariato che nella precarizzazione di tutta la propria esistenza (dall'insicurezza del posto di lavoro alla distruzione dei servizi pubblici) ridisegna una particolare condizione, che vive nell'incertezza del futuro, nella precarietà materiale ed esistenziale, priva di riferimenti ideologici forti e di esperienze di lotta consolidate; atomizzata e frantumata nei mille anfratti del lavoro parcellizzato ed eterodiretto dall'impresa globalizzata; saldamente ancorata al suo tempo, figlia dei nuovi linguaggi della cultura informatizzata, ma al tempo stesso priva di risorse materiali, stretta tra i miraggi della nuova economia e l'incubo del lavoro-non lavoro quotidiano.
Questa possibilità di definizione di una piattaforma di lotta, oggi, ha un senso nuovo e trova maggiori chances di riuscita proprio col Programma dell'Unione, e particolarmente con le tre scelte di fondo che riguardano il Mezzogiorno:
- puntare più sul rafforzamento dei
beni collettivi, disponibili per tutti, che su trasferimenti ai singoli;
- puntare più su azioni che cambino strutturalmente le condizioni sociali,
ambientali, produttive che su azioni che compensino le difficoltà;
- puntare su investimenti nel Mezzogiorno che, per quantità e qualità
riducano, nel lungo periodo, la necessità di trasferimenti statali.
In questo quadro, riteniamo inutile e velleitario il progetto del Ponte sullo Stretto: per il suo rilevantissimo costo, che annullerebbe la possibilità di altre opere, e per il suo impatto economico assai limitato, per la Sicilia e la Calabria, rispetto al potenziamento dell'accessibilità marittima e aerea.
L'aumento del tasso di occupazione nel Mezzogiorno, complessivo, ma in particolare giovanile e femminile, è la strada maestra per ridurne la disgregazione sociale, per dare nuove chances di vita ai suoi cittadini, per ridurre il peso dei necessari trasferimenti a carico della collettività nazionale.
Metteremo progressivamente in atto una politica di restauro e valorizzazione del territorio e del paesaggio nel Mezzogiorno. Si interverrà in primo luogo sulle grandi emergenze: i siti inquinati e da bonificare, il territorio soggetto alle più gravi devastazioni, le emergenze dell'abusivismo, attraverso bonifiche, riqualificazioni, abbattimenti. In tempi brevi il Governo dell'Unione realizzerà una serie di interventi di grande rilevanza ed impatto. Assieme agli interventi di emergenza, saranno sostenute le politiche di Regioni ed Enti Locali volte a riqualificare questi territori. Saranno intensificate le politiche di valorizzazione economica, in maniera ambientalmente sostenibile, delle aree protette, che ormai coprono una percentuale significativa del territorio del Mezzogiorno.
Se riandiamo alla nostra iniziativa di metà novembre sul piano strategico materano e alla posizione di recente assunta sul DSR discusso alla Regione, abbiamo non solo la conferma della giustezza delle nostre posizioni politiche, ma l'esemplificazione delle iniziative possibili per l'effettivo perseguimento di quegli obiettivi.