Striscioni antisemiti a Roma, sequestrate sei molotov |
Nazisti allo
stadio, tutti si domandano: come sono entrati?
|
La Roma di mister Spalletti mette in ginocchio il sorprendente Livorno sul verde prato di gioco ma c'è ben poco da gioire per i giallorossi. E' troppo imbarazzante il grigiore della Curva Sud, culla del tifo romanista. Il grigio diventa nero. Nero come le camicie nazifasciste, nero come il colore di tanti stendardi mostrati sui gradini dell'Olimpico. E ancora croci celtiche, bandiere raffiguranti Mussolini, svastiche. Terribile. Ripugnanti gli striscioni antisemiti esposti: «Lazio - Livorno, stessa iniziale, stesso forno» o «Got Mit Uns» (con pure un errore d'ortografia). Tutto questo nella domenica che conclude la settimana della memoria; nella città teatro di stragi come quella delle Fosse Ardeatine. I simboli sono rimasti lì, ben esposti per gran parte del primo e del secondo tempo, senza che le forze dell'ordine abbiano rimosso il tutto, nonostante le sollecitazioni del capitano del Livorno, Cristiano Lucarelli, e l'insofferenza di molti tifosi, di entrambi i club. Ma la partita andava sospesa? Il sottosegretario ai Beni culturali con delega allo Sport, Mario Pescante, ha affermato che avrebbe fermato l'incontro, ma il presidente della Figc, Franco Carraro, ha difeso l'operato dell'arbitro Messina: «Non spetta all'arbitro sospendere la gara. Il regolamento della Federcalcio parla chiaro, il direttore di gara prende la decisione su un'indicazione che evidentemente non ha ricevuto». Secondo i regolamenti, infatti, l'arbitro poteva fischiare la sospensione solo dopo avere ricevuto un input dalla Questura di Roma. Troppi rischi per il mantenimento dell'ordine pubblico. Scontri tra polizia e una frangia della tifoseria giallorossa erano avvenuti prima della partita fuori l'Olimpico. Con i volti coperti da passamontagna e da caschi avevano tentato di attaccare il pulman dei sostenitori livornesi lanciando sassi e bottiglie. Per fortuna la Digos aveva sequestrato poco prima 6 bottiglie molotov, nascoste sotto il ponte Duca d'Aosta, insieme ad uno striscione che, nei folli progetti, sarebbe stato esposto in curva con orgoglio. Recitava: «V'avemo bruciati vivi». Agghiacciante. Il motivo dell'aggressione - spiegano gli uomini della Digos - sarebbe da ricercare nella «vendetta» per un episodio registratosi nella partita dello scorso campionato, quando un tifoso romanista perse le falangi di una mano a causa di un petardo lanciato dai sostenitori del Livorno. I commenti su quanto accaduto sono pieni di sdegno. Se per il vicepremier Fini la politica deve rimanere fuori dagli stadi, per il sindaco Veltroni «tanto più deve stare fuori l'apologia del regime nazista che tanto orrore e morte ha portato». Il presidente della Regione Lazio, Marrazzo, ha dovuto inviare una lettere di scuse al rabbino capo Riccardo Di Segni e al presidente della comunità ebraica di Roma. «Davvero singolare la presa di posizione del vicepremier Fini che chiede che la politica sia al di fuori degli stadi. Fini fa una grande confusione e commette un errore imperdonabile: quella vista all'Olimpico non è politica, ma nazismo. Proprio di questi tempi, che si ricorda la giornata della memoria e le vittime dell'Olocausto, peggio non si poteva fare». Paolo Ferrero, della segreteria nazionale del Prc, è un fiume in piena e continua. «Piuttosto, dovrebbe prendere atto del fallimento delle politiche sue e del suo governo. Politiche rivolte esclusivamente alla repressione e che all'Olimpico hanno mostrato totale fallimento». L'A. S. Roma comunque si ribella all'immagine di club «tollerante»: «Siamo offesi da una squallida immagine. Prendiamo le distanze da qualsiasi forma di politicizzazione e di razzismo nello sport e negli stadi, ma neppure noi sappiamo come difenderci». E se per Andreotti «è dannoso parlare di quello che è successo ieri - perchè - parlandone troppo si fa il gioco di chi espone certi simboli», per i democratici occorre parlarne, invece, per ribaltare la prospettiva d'approccio al tema tifo organizzato. Sino ad ora si è visto il problema da un'angolazione di ordine pubblico, mai lo si è pensato come fenomeno sociale complesso e mutevole. Di qui la repressione e l'adozione di leggi speciali poi rilevatesi fallimentari. Fallimentare come il decreto Pisanu che ha causato uno svuotamento degli spalti, lasciando campo libero a criminali come quelli all'opera prima e durante Roma - Livorno. Le persone normali che ancora vanno allo stadio vengono viste come potenziali delinquenti, gli si sequestrano addirittura gli accendini, striscioni lunghi 9 metri entrano tranquillamente. Eppure «uno striscione del genere non entra nella biancheria intima» come sottolinea Paolo Cento, deputato dei Verdi e presidente del Roma Club Montecitorio, furioso per quanto accaduto. Claudio Pradè, direttore generale dell'A. s. Roma, incalza: «Siamo a mettere i tornelli come da decreto Pisanu, che tra l'altro ci ha fatto perdere molti spettatori, e abbiamo creato un corpo di sicurezza. Ma sui controlli non possiamo farci nulla. I controlli spettano alle forze dell'ordine». Controlli lasciati alla troppa discrezionalità del singolo poliziotto di turno. Quelli sui contenuti degli striscioni vengono elusi facilmente: basta far passare una lettera alla volta per poi «montarle» sullo striscione bianco e inoffensivo o comporlo direttamente nei bagni interni alla struttura. Stendardi e simboli entrano nello stadio con ore e giorni di anticipo rispetto al fischio d'inizio della partita. Quella che molti considerano la tifoseria più bella del mondo, storicamente di sinistra, dopo lo scioglimento del Commando Ultrà Curva Sud lentamente ha spostato il suo baricentro politico a destra. Una destra che nelle curve degli stadi fa proselitismo politico e scova linfa vitale. La campagna elettorale avviata non fa altro che inasprire gli scontri ideologici latenti. La città di Roma in particolare è teatro di vili aggressioni fasciste, tanto dentro lo stadio quanto fuori le sue strade. |