Intervista al vicepresidente dell'associazione Gruppo Abele di Torino |
Leopoldo
Grosso: «Questa legge porterà
i consumatori ad una maggiore clandestinità»
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«La cultura che sta dietro il disegno di legge Fini è di tipo ideologico e moralistico, arrogante nei confronti della scienza». Spiega Leopoldo Grosso, vicepresidente dell'associazione Gruppo Abele di Torino. Per chi, come lui, vive da vicino i problemi delle dipendenze patologiche, l'approvazione dell'emendamento-stralcio sulle droghe è un boccone amaro da ingoiare.
Questa è una grande menzogna perché quando all'inizio della legislatura Fini parlò di questa legge, gli operatori della Consulta non furono mai coinvolti, tant'è che mi dimisi. Ero il rappresentate del Gruppo Abele alla Consulta che, in quanto tale, dovrebbe essere preventivamente ascoltata. Non a giochi chiusi. Molte altre associazioni hanno fatto la stessa scelta. Solo una parte degli operatori si è recata a Palermo e la maggior parte di essi ha dato giustizio negativo sulla legge. Sostenere il contrario è una menzogna. E' una legge elettorale, non a caso viene alla fine ella legislatura. Reca dei contenuti impresentabili per l'Europa. La prima questione più volte ribattuta e far cadere la distinzione tra cannabinoidi e l'eroina senza tener conto né delle evidenze epidemiologiche (sono circa quattro milioni i consumatori di cannabis contro 300.00 eroinomani), né delle evidenze scientifiche sui diversi effetti.
Succederà che, venendo meno la discrezionalità del giudice nel distinguere situazione per situazione e se si tratta di detenzione ad uso personale o spaccio, il magistrato viene inchiodato a dei parametri unicamente quantitativi che precludano qualsiasi valutazione personale. Si ignora che ogni situazione fa storia a se. La conseguenza è che molti consumatori di sostanze leggere o detentori di quantitativi di sostanze, che equivalgono a 5 o 6 spinelli, saranno automaticamente imputati come spacciatori con la previsione da 1 a 6 anni di carcere. Ciò significa riempire le prigioni di consumatori che nulla hanno a che fare con il mondo delinquenziale ed in cui il primo impatto con il carcere avrà conseguenze devastanti. Ricordiamo con tristezza ciò che è successo tra il '90 e il '93 quando con la legge "Craxi-Iervolino-Vassalli" - la cui restrizione è stata abrogata dal referendum del '93 - fu adottato un sistema analogo: assistemmo a tragedie famigliari fino ad alcuni suicidi all'interno delle carceri.
La nuova legge porterà persone che consumano ad una maggiore clandestinità, il che significa che per timore di essere identificati come consumatori non si rivolgeranno più ai servizi nel momento del bisogno. Ciò renderà ancora più arduo il compito degli operatori nell'entrare in contatto con le persone per fornire loro strumenti per gestire meglio la situazione.
Il primo vantaggio è quello elettorale. Si presume che l'accelerazione della repressione porti consenso alle destre. L'uso elettorale è evidente. In secondo luogo sarà placata l'ansia delle famiglie, verranno confortate illusoriamente da uno Stato che mostra i muscoli. In realtà i percorsi di cura obbligatori, nel momento in cui non incontrano la motivazione dei soggetti, sono destinati nella stragrande maggior parte dei casi ad andare incontro ad un fallimento. Quindi quello che ci si illuda possa essere uno strumento di cura esercitato contro la volontà del soggetto, diventa un boomerang che finisce per aggravare situazioni di sofferenza aggiungendovi la condanna penale. E' una decurtazione di futuro ciò che in realtà questa legge propone, non il suo contrario. Un'altra confusione ideologica su questo tema è quella tra consumo e dipendenza. In questo modo molta utenza della comunità sarà costituita da consumatori di droghe leggere invece che da coloro che ne hanno effettivamente bisogno.
Le comunità che oggi sono in crisi per la loro utenza limitata subiranno in questo modo nuovi apporti economici. C'è un aspetto della legge che consente alle organizzazioni private di rilasciare certificazione di dipendenza. Questo crea un conflitto di interessi in quanto se da un lato certificano, dall'altro accolgono le persone dipendenti in comunità. Inoltre diventerebbero esse stesse dei piccoli carceri perché è dimostrato scientificamente che una comunità terapeutica funziona solo se le persone che vi accedono sono libere ogni giorno di risceglierla. |