Il paradosso dei migranti: ufficialmente all’estero, ma vivono in Italia
Mezzo milione per 170 mila permessi l'odissea dei migranti davanti alle poste

 

Sono oltre mezzo milione le domande di permesso di lavoro per stranieri presentate agli uffici postali italiani. Il calcolo è presto fatto: l’ultimo decreto flussi del governo Berlusconi ha stabilito che solo 170mila migranti otterranno il permesso. Gli altri 330mila tenteranno la sorte l’anno prossimo. C’è anche chi si è divertito con i dettagli: ha diviso il numero degli uffici postali abilitati a ricevere la documentazione (6244) per il numero dei permessi disponibili e ha ottenuto un 27. Che vuol dire: ad ogni ufficio postale, a parità di condizione, c’era posto solo fino al ventisettesimo della fila. Dal ventottesimo in poi la speranza si è azzerata.

Ma ciò che emerge è un dato inconfutabile: in Italia vivono almeno 500mila irregolari con un datore di lavoro disposto a metterli in regola. Quanti saranno i clandestini in nero con un padrone meno responsabile? E quanti i clandestini senza padrone, senza lavoro? I dati, naturalmente, non sono disponibili.

Come ogni anno, la consegna dei documenti per la regolarizzazione si è trasformata in un purgatorio: moduli venduti dai bagarini persino a 400 euro, quando il governo ne aveva stampati un numero enorme, un milione e ottocentomila, completamente gratuiti; notti intere al gelo; i soliti sciacalli che si mettono in fila e poi vendono a caro prezzo il posto acquisito; risse e accoltellamenti. Il ministro dell’Interno Beppe Pisanu ha sottolineato: «L’affluenza agli uffici postali si sta svolgendo regolarmente, con code che in media non superano le 50-60 persone». A Venezia intanto si registrava la più lunga fila di stranieri, in coda già da domenica sera e che si sono attrezzati dormendo in macchina. Un gruppo di cinesi di Pordenone ha battuto anche questo record, organizzando un bivacco da venerdì notte, con tanto di sedie e vetture.

Gli unici episodi di violenza brutale si sono verificati a Bergamo e a Torino, dove due migranti hanno accoltellato altri due stranieri per conquistarsi un posto più favorevole nella fila.

Il paradosso è toccato ad un rumeno che, da solo e al buio, attendeva l’apertura dell’ufficio di Mel, paesino del bellunese. La polizia l’ha portato in questura e qui, in base alla legge Bossi-Fini, gli ha notificato l’espulsione. Ineccepibile: il trentenne era in possesso unicamente di un visto turistico scaduto. Ma è chiaro che nel resto d’Italia il governo ha chiuso entrambi gli occhi: tutti sapevano che gli stranieri intirizziti dal freddo erano clandestini e quindi passibili di espulsione.

«E’ una delle tante ipocrisie di questa legge», spiega Stefano Galieni, responsabile immigrazione del Prc. «I 500mila agli uffici postali evidentemente vivono già in Italia ma ufficialmente rispondono ad una chiamata nominativa dall’estero», come stabilisce appunto la Bossi-Fini. «Ma è chiaro», continua Galieni, «che nessuno assumerebbe in casa una badante mai vista prima. E’ naturale che la si voglia conoscere, e la si conosce solo se è già qui, irregolare». La seconda grande beffa è il sistema escogitato dal governo, a esaurimento posti: i primi 170mila rientreranno nelle quote; gli altri, giunti magari un minuto dopo, saranno esclusi. Una regola che ha costretto i migranti a fare le lunghe code la notte prima per assicurarsi uno dei primi posti. E che li ha costretti anche a darsi delle regole da giungla: compravendita delle file, scazzottate e prevaricazioni tra gruppi etnici, appelli notturni per escludere chi si assentava. «Il problema non è stato trovare il modulo, anzi. Il vero problema è consegnarlo», ammette Martin, un indiano di 35 anni da sei infermiere a Roma. Martin e i suoi compagni, in attesa la notte davanti ad un ufficio della capitale, temono che «dentro le poste già ci sono moduli consegnati».

La Protezione Civile ha distribuito loro pane, zuppe calde e coperte. Le famiglie accanto agli uffici postali si sono date da fare, scendendo con bevande e maglioni per i migranti. «E’ venuta alla luce l’Italia solidale, così lontana dall’immagine chiusa e arroccata che le politiche razziste di questo governo vorrebbero accreditare», dice Filippo Miraglia dell’Arci, che chiede di ampliare il numero di regolarizzazioni, specialmente perché le quote assegnate a ciascuna regione paiono ampiamente insufficienti. Il Veneto è la seconda regione per presenza di stranieri regolarmente residenti (270mila) dopo la Lombardia, ma il decreto flussi gli assegna appena 19.765 migranti. Le province venete sono sette: nemmeno 3mila lavoratori a provincia. Basteranno ad andare incontro alla domanda delle industrie e delle famiglie che hanno bisogno di badanti e colf, che rappresentano il 40%, da sole, della forza lavoro straniera nella regione? La Confindustria dice che a loro la quota va benone: non è mai stata così alta, e poi l’industria veneta sta vivendo un momento di crisi, non c’è grande bisogno di manodopera. «La massiccia mole delle code agli uffici postali sta ad indicare che le aziende e le famiglie fanno ricorso al lavoro nero», osserva Alessandro Sabbiucciu (Prc), assessore al Lavoro della provincia di Venezia. Sabbiucciu non crede al teorema del declino delle imprese del Nord-Est: «La crisi economica ha delle ricadute solo sui lavoratori, sempre più precari, disoccupati, cassintegrati. Le aziende intanto continuano a fare profitti illegali con gli stranieri clandestini. A loro va bene l’illegalità di questi lavoratori: gli consente di ricattare i disoccupati italiani, spingendoli ad accettare gli stipendi bassissimi che riservano ai migranti». Ecco perché, conclude, ci sono migliaia di stranieri in regola iscritti ai centri per l’Impiego del Veneto: alle ditte piace irregolare.

Un migrante filippino intervistato ieri notte a Roma spiega che, alla fine, «non resta che affidarsi alla fortuna». Lui, che vive in Italia da 22 anni e fa la fila davanti all’ufficio postale di via Marsala, accanto alla stazione Termini, dice di aver passato «quattro lunghi anni, nascosto perchè non avevo i documenti». Un suo compagno di ventura, rumeno, invoca la sanatoria. «Stare in regola con il nostro lavoro è fondamentale per la nostra tranquillità». Un connazionale che invece si trova a San Lorenzo ribadisce il concetto: «Voglio restare in Italia per un periodo limitato ma voglio farlo da regolare cittadino».

Fausto Bertinotti trova «inumane» le code dei migranti, «un’immagine di sofferenza» e «l’atto di accusa più implacabile verso le politiche del governo sull’immigrazione»: «Questi immigrati sono necessari per la vita del paese, se domani mattina si volatilizzassero centinaia di fabbriche chiuderebbero e centinaia di migliaia di famiglie non avrebbero come accudire i loro familiari».

In serata il ministro della Giustizia Roberto Castelli se l’è presa con Pisanu. Colpa sua, ha affermato, se agli sportelli delle Poste si sono presentati migranti irregolari e non i loro datori di lavoro: la responsabilità, ha detto il ministro leghista, «è di chi doveva far rispettare la Bossi-Fini», «in questo caso delle forze dell’ordine e del ministro dell’Interno». Si è chiuso un occhio, conclude Castelli, perché gli italiani sono un popolo buonista e lassista.