Le origini dell'idrovora di Volta Scirocco  

 

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Premessa

  

 

   La presente ricerca si è prefissa lo scopo di individuare le radici ormai lontane di una struttura industriale, l’idrovora di Voltascirocco, che alla metà dell’Ottocento fu il risultato dell’impegno di quanti credettero fermamente nella possibilità di migliorare attraverso di essa le condizioni idrauliche di una porzione di spazio polesano che gli osservatori dell’epoca giudicarono assolutamente compromesso nella sua capacità produttiva e abitativa: un vero e proprio “mare morto”, come ebbe a dire efficacemente Carlo Bullo nel 1870.

   L’indagine che qui si presenta si fonda interamente sui documenti reperiti nell’archivio del Consorzio Polesine Adige Canal Bianco di Rovigo, dove si trova moltissimo materiale ancora del tutto inesplorato, la cui analisi richiederebbe anni di studio e non poche settimane.

   Fra tante centinaia di carte, l’ottica che ci è parsa più ragionevole e opportuna da perseguire è stata quella di scegliere le fonti relative ai “protagonisti” di quella faticosa e dispendiosa avventura che si concretizzò nella costruzione dello “stabilimento Idroforo Bresega” in Voltascirocco. Partendo da questa premessa, abbiamo fatto emergere, attraverso i documenti notarili, gli “sponsor” dell’impresa, tra i quali spiccano i nomi dei maggiori proprietari terrieri dell’epoca, da Giovan Battista Salvagnini a Vincenzo Casalini; abbiamo individuato la ditta che costruì le macchine, lo “Stabilimento Tecnico Triestino”, e il nome del suo rappresentante, Guglielmo Strudthoff.

    Larghissimo spazio si è dato poi alle voci dei tecnici, da quella dell’ing. Nicola Pisani, collaudatore delle macchine, a quella del Direttore dei Lavori, ing. Tommaso Morandi, con le sue note preziose sui materiali costruttivi e sulle spese consorziali; per finire a quella, degna di  particolare menzione, dell’ing. Ottavio Spadon, autore del progetto dell’ “edificio idroforo”, il quale scrisse non solo una “Relazione” ricca di dati tecnici e storici, ma anche, e soprattutto, ci ha trasmesso una serie di “Tavole” di indiscutibile interesse, perché attraverso di esse è possibile farsi un’idea estremamente precisa di com’erano stati pensati in origine l’edificio delle macchine, più volte ristrutturato, la casa del macchinista ed infine il magazzino del carbone; manufatti questi ultimi intorno ai quali si prospetta un’operazione di restauro che li dovrebbe riportare all’antica condizione, anche se con funzioni del tutto difformi rispetto al passato.

  

                                                                                                  

 

 

                                                                                                            Enzo Sardellaro

 

 

 

 

L’Idrovora di Volta Scirocco, “grandiosa opera”della  bonifica meccanica del Consorzio Bresega

 

 

Acqua e canne a perdita di vista

 

 L’idrovora di Voltascirocco costituisce un manufatto di importanza notevole, e si raccomanda all’attenzione degli studiosi e degli appassionati di archeologia industriale se non altro per l’antichità. Essa infatti fu attivata nel 1877, una ventina d’anni anni dopo la ben più “ambiziosa” idrovora dell’Amolara,  progettata nel 1850, ma attivata  nel 1854-1855.

    “… Bisogna avere percorso le sponde del Canalbianco sotto Adria, quelle dell’Adigetto da Fasana, i contorni di Cavarzere e Loreo: bisogna avere percorso fino a circa dieci anni fa lo stradale da Adria a Padova per Cavarzere, Bovolenta, Pontelongo. Fino a questi due luoghi si viaggiava, meno brevi interruzioni, fra incolte lande, spopolate, orride. Le valli d’Adria… non offrivano che acqua e canne a perdita di vista; solo la barchetta del pescatore e del cannarolo e qualche miserabile abituro interrompevano tristemente quella trista monotonia; il silenzio profondo non era interrotto che dall’inamabile strido d’augelli palustri, dal fucile del cacciatore, dal tonfo di qualche remo, dall’aspro gracidare della rana, e dal molesto ronzio della zanzara e del Tafano…”. (1)

   Così, con accenti poetici ma al tempo stesso estremamente realistici, Francesco Antonio Bocchi tracciava il profilo antropico e geografico dello spazio polesano verso la metà dell’Ottocento. Subito dopo, egli  citava i nomi dei benemeriti che in quegli stessi anni avevano attivato numerose “pompe” nel tentativo, spesso vano, di asciugare il territorio: ecco allora “l’esempio del signor Benvenuti”, “seguito dal signor Pietro Salvagnini di Adria”, che attivò “ in Ca-Redetti una pompa della forza di 10 cavalli: egual macchina faceva succedere a Forcarigoli Giovanni suo fratello”. (2)  Ma, conclude, “ fosse imperfezione del lavoro, o il sistema delle pompe non riuscisse di grandi proporzioni, l’ingente spesa andò sprecata, con perdita di raccolti, e contese e liti…”. Poi, a partire dalla metà dell’Ottocento, è tutto un rinnovato fervore d’iniziative “meccaniche”. “…Passato l’oratorio del Capitello (Amolara), ecco la macchina a turbine asciugatrice della campagna vecchia, della forza di 80 cavalli, … attivata 15 marzo 1855. All’opposta riva,  quasi dirimpetto sta quella a ruota, … nella località di Piantamelon, della forza di 60 cavalli… Poco sotto, sulla riva mancina, l’altra delle valli d’Adria, in Volta Scirocco, della forza di 50 cavalli, su pertiche censuarie 36,000, dal sistema a pompa (1852) convertita a ruota, ed aumentata alla forza di 60 cavalli (1854)…”.  (3) (V. Appendice, pp. 15-17)

    Quindi, già dai primissimi anni della seconda metà dell’Ottocento, anche Voltascirocco fu coinvolta in quella stagione che non a torto è stata definita l’ “epopea” della bonifica meccanica. La “febbre” per la bonifica divorava ormai la classe dirigente polesana, costituita per la gran parte dai più facoltosi proprietari terrieri della zona, che, sulla scorta di studiosi molto influenti ( Botter, Bullo ) si diedero, anima e corpo, e investendo cospicui capitali, alla “redenzione” del territorio paludoso del Polesine.  Fu soprattutto l’ “imitazione”, secondo A. Lazzarini, “il fattore principale della diffusione” delle “idrovore a vapore” per prosciugare i terreni incolti e paludosi. Si trattava, è evidente, di “macchine idrovore” molto diverse da quelle cui oggi possiamo vedere nel Polesine: nessuna struttura in muratura, ma,  semplicemente, macchine fisse o mobili, e, all’inizio, solo trainate da cavalli. Le macchine idrovore fisse, scrive Lazzarini, avevano normalmente una potenza medio-alta, di 50-80 cavalli, come quella attivata a Voltascirocco nel 1852; oppure erano mobili, le cosiddette “locomobili”, che soppiantarono, per la loro versatilità, quelle fisse dopo la seconda metà dell’Ottocento. Esse, spiega ancora Lazzarini, “non servono soltanto all’asciugamento delle parti basse delle tenute, ma anche all’irrigazione delle risaie (prima forma di utilizzazione dei territori semipaludosi) e alla trebbiatura del riso: è proprio il carattere polifunzionale di queste macchine, derivante dalla possibilità di spostarle dove meglio servono a seconda dei periodi dell’anno e dei lavori, che ne rende utile e conveniente l’acquisto da parte delle grandi aziende risicole del basso Polesine”. (4)

    Tuttavia, nonostante l’uso massiccio delle “macchine a vapore”, fisse o mobili che fossero, l’asciugamento delle terre rimaneva spesso infruttuoso ed estremamente incerto e precario. Ricordava il Bullo, scrivendo all’altezza sei primi anni ’70 dell’800, che “ quella parte cospicua del medio Polesine che viene racchiusa fra l’Adige, l’Adigetto ed il Canale di Loreo diviso nei quattro consorzi Bresega, S. Giustina, Tartaro e Dossi Vallieri versa ora in condizioni idrauliche le più deplorabili. … Non sono più i belli e ubertosi campi del nostro Polesine, ma una triste palude, un mare morto che ci si presenta alla vista!...”. (5) Nella zona di Voltascirocco l’antico Consorzio Valli d’Adria aveva insediato  diverse “locomobili”, ma i risultati furono comunque insoddisfacenti; ed è appunto sull’onda della diffusa insoddisfazione dei proprietari terrieri che possedevano molti ettari in quei luoghi  che nacque l’idea da parte del Consorzio Bresega di costruire un’idrovora vera e propria.

   

 

Rovigo li 31 Dicembre 1873

 

   Nel 1873 l’ingegnere capo del Genio Civile Cav. Ottavio Spadon presentava al Consorzio Bresega una “Relazione”, estremamente dettagliata, sul progetto di “asciugamento artificiale meccanico”. (6) Il documento è veramente prezioso, perché ricostruisce un po’ la storia inedita delle tappe di un lungo viaggio  che si sarebbe concretizzato infine con il collaudo delle macchine “idrofore” a Voltascirocco.

    “…E’ da lungo tempo - scrive l’ingegner Spadon -  che la Società Consorziale preoccupata da un tale stato di cose pensa a redimere i suoi fondi con un sistema di bonificazione artificiale – dappoiché la naturale non sarebbe possibile – e sottrarli così ai danni gravissimi cui sono soggetti; e dal 1853 in poi parecchi piani e pareri le furono già presentati a questo fine da autorevolissime persone d’arte e di scienza…”. La “Relazione” dell’Ing. Ottavio Spadon è altresì interessante perché, oltre ai dati tecnici, offre sia pure in maniera non sistematica, una serie  di dati storici di un certo rilievo sia sul Consorzio Bresega sia sulle condizioni idrauliche del paesaggio palesano attorno agli anni ’70 dell’Ottocento.

   La storia del Consorzio Bresega è comunque antica, e si lega a quella del Consorzio di S. Giustina a cui era unito. Verso il 1814, all’indomani del ritorno degli austriaci in Polesine (1813), il Consorzio Bresega si   separò da S. Giustina, per “… liberarsi dalle acque che venivano dai fondi superiori di quel Consorzio…”. (7)

   Possediamo un importante documento d’archivio, risalente al 1814, in cui la Presidenza del Bresega si lamenta con il Consorzio di S. Giustina per il tentativo da parte di quest’ultimo di sottoporre il Bresega a oneri ritenuti del tutto ingiustificati. (V. Appendice, pp. 26-27 )

   Ritornando alla “Relazione” dell’ing. Spadon, relativa alla situazione del Consorzio alla seconda metà dell’800, egli osserva che  “… il Consorzio Bresega  comprende i terreni che si estendono da Rovigo alle Botti Barbarighe, fra l’Adigetto e gli Scoli Consorziali di Santa Giustina, Rezzinella e Ceresolo Entro questi confini la sua superficie è di Ettari 4676.96, ai quali sono da aggiungersene altri 140 d’una zona esterna, di cui si parlerà più innanzi e che la portano così ad un complesso di Ettari 4816.96…”.  Il dato di Spadon non si discosta molto da quello fornitoci dall’ing. Luigi Crocco quasi quarant’anni più tardi, nel 1915, allorché si concretizzò il “ Progetto esecutivo per la bonificazione completa del Consorzio Bresega”. (8) 

   Anche se un po’ tutti i consorti erano favorevoli al progetto di un’idrovora potente, “fatalmente”, rileva Spadon, “furono discordi le opinioni, sopra tutto rispetto al punto di collocamento della macchina idrofora; imperciocché (= “poiché” )  mentre gli uni lo proponevano a Volta Sirocco per immettere le acque in Canal Bianco, altri lo preferivano alle Botti Barbarighe per immetterle nell’Adigetto; poi taluno che propugnava questa seconda idea si rivolse alla prima…; e vi fu persino chi suggerì di istituire due Macchine, una alle Botti Barbarighe, l’altra in Volta Sirocco, quasi conciliatore dei due partiti…”. Nel frattempo però, sottolinea l’ing. Spadon, tra contrasti e “incertezze” “giunse “ il 1872 che colle sue straordinarie e dannosissime alluvioni fece sentir più che mai la necessità di prendere una risoluzione, e sollevare finalmente il Consorzio dallo stato tristissimo in cui si trova…”. La “risoluzione” finale la prese proprio lui, “onorato … dalla Presidenza con nota 7 Giugno 1873 N. 81”. Pertanto, “ valutate tutte le circostanze locali, le esigenze idrauliche e i riguardi dei condomini, [egli] venne a conchiudere doversi preferire ad ogni altro il partito di collocare [l’idrovora] in Volta Sirocco…”.  La “fretta” dell’ing. Spadon e soprattutto la scelta del sito di Voltascirocco per l’istallazione di una potente idrovora si spiegano anche alla luce di alcuni eventi collaterali sicuramente preoccupanti per i possidenti della zona di Voltascirocco, e dei quali l’ing. Spadon era  a perfetta conoscenza, come risulta dalla “Relazione”. Infatti,  nel giugno del 1873, esattamente il 21, i Consorzi padani “avevano presentato il progetto Ponzetti-Vallicelli che prevedeva la costruzione di un collettore che, assorbendo le acque di scolo dei vari Consorzi originari” andasse a “confluire nel Canalbianco”. (9) Cosa sarebbe potuto succedere alle terre contigue al Canalbianco nel caso in cui il canale non avesse potuto sostenere un così “eccessivo afflusso d’acqua” è facilmente intuibile.  D’altra parte il contrasto tra i Consorzi padani e quelli polesani era di lunga durata e le polemiche avevano attraversato tutti gli anni  ’70 dell’Ottocento. I Consorzi polesani contestavano da anni, chiedendo anche il risarcimento per i gravi danni subiti, la legittimità del Consorzi padani di “scolare in Canalbianco”, anche  se questi ultimi  erano riusciti a ottenere il parere favorevole di illustri ingegneri idraulici come il Paleocapa e infine anche  quello del Ministero dei Lavori pubblici. (10) Il risultato era stato però molto semplice, ossia che la “bonifica delle Valli Veronesi ed Ostigliesi” aveva di fatto “vanificato” nelle terre palesane il beneficio “ottenuto con l’introduzione delle idrovore”.  Le idrovore piccole o medie, fisse e mobili, avevano in pieno dimostrato tutta la loro inadeguatezza di fronte a un compito che, in prospettiva, si faceva sempre più arduo. Di qui dunque la necessità urgente di provvedere il Consorzio Bresega di un’idrovora potente, che potesse in qual modo far fronte con una certa possibilità di successo a eventuali allagamenti provocati da un’eccedente presenza di acque nel Canalbianco, la cui capacità di defluire le acque non era poi così imponente.

Infatti una delle prime e più interessanti osservazioni dell’ing. Spadon all’inizio della sua “Relazione” è puntualmente la seguente: la “posizione altimetrica del Comprensorio rispetto ai livelli del Canalbianco non permette libero scolo che quando quest’ultimo è in istato di magra”.

    Il tema dello scolo delle acque viene quindi analizzato dall’ing. Spadon con estrema accuratezza. Dopo aver ribadito di essere favorevole al “principio che s’abbia a sciegliere [sic] la località di Volta Sirocco” per l’istallazione dell’idrovora, il relatore si sofferma a lungo sulla “sistemazione dello scolo”, in quanto “essenziale oggetto da aversi in mira in una bonificazione qualunque”. Rileva che lo scolo “dividesi in due rami, interno ed esterno”. “ Relativamente allo scolo esterno – continua Spadon - dovendo la sua portata essere la medesima dell’ultimo tronco… dello scolo interno, aumentata della quantità d’acqua che cade sulla zona dei terreni stendentisi lungo la sua sponda sinistra, essa risulta di metri 2.24. Poiché le sue dimensioni corrispondono a quelle assegnate all’ultimo tronco predetto, basterà regolarlo nei primi 7 chilometri spianandone il fondo dove vi sono dossi più pronunciati, in modo che questi acquisti la pendenza di 0.03 per chilometro, e svasandolo alquanto… Insieme all’escavo dei due bracci di scolo, contempla il Progetto la regolazione delle laterali coronelle, e gli eventuali ristauri [sic] de’ manufatti che li attraversano…E’ superfluo il dire quanto questa seconda parte sia importante ed indispensabile per il buon effetto dell’asciugamento, perché a ben poco servirebbe sistemare lo scolo principale se i terreni non potessero tributarvi prontamente ed agevolmente le loro acque…”.

     Altro tema che a suo tempo aveva diviso gli animi era stato quello relativo al “corpo” strutturale dell’idrovora, perché alcuni suggerivano l’utilizzazione delle “ruote a schiaffo”, altri delle “pompe” mentre altri ancora dei “ turbini” (= le turbine) . A tutte codeste difficoltà, se ne aggiungeva un’altra, non certo indifferente. “…Aggiungasi, sottolinea Spadon, che una convenzione con [il Consorzio] Valli d’Adria obbliga que’ di Bresega a mantenere l’acqua dello scolo esterno a una determinata altezza; e ciò aggrava ancor più la condizione del Consorzio, condannandolo a rinchiudere le sue acque anche in certi momenti, in cui elevate che fossero sopra il limite stabilito dalla predetta convenzione potrebbero, se non tutte, almeno in parte, scaricarsi nel loro recipiente…”.  Dopo la disamina di tanti e così controversi pareri, infine, il relatore passa ai dettagli meccanici, rilevando che “la forza delle macchine”, per essere significativa, “dovrebbe essere di Cavalli vapore 90 e mezzo” (V. Appendice, p.20).

   Infine Spadon affronta lo spinoso problema della spesa complessiva, che egli stesso definisce “senza dubbio ragguardevole”, e che così  divide in vari capitoli:

   “… a) Per l’escavo e la sistemazione dello Scolo, £ 135.500. b) Pelle [= per le] Fabbriche compresi gli eventuali ristauri della Chiavica Emissaria, £ 159.500. c) Pella macchina, Lire 190.000. d) Per compensi di occupazione stabile in via presuntiva, £ 10.000. Sommano £ 495.000. Ed aggiungendo una somma a calcolo da tenersi a disposizione dell’Amministrazione Consorziale per opere imprevedute e spese di sorveglianza di £ 15.000, l’importo complessivo cui occorre di provvedere pell’attuazione dell’asciugamento ascende a £ 510.000…”. 

   Il documento appena analizzato è relativo al “secondo” progetto dell’Ing. Ottavio Spadon,  ossia a quello definitivo, e lo si evince dal fatto che il relatore, per riconoscendo che la spesa cui si sottoponeva il Consorzio Bresega era “senza dubbio ragguardevole”, doveva essere comunque inferiore a quella prospettata nel primo progetto. Ciò è dimostrato da ulteriori riscontri interni presenti nella “Relazione”. Infatti Spadon, verso la fine della sua analisi, osserva: “… Pensava il sottoscritto di ricavare l’abitazione del Macchinista nell’edifizio stesso delle macchine, elevando un secondo piano sopra il locale de’ cilindri. Ma anche qui poco o nulla sarebbe il risparmio, perché dovrebbensi sostenere le pareti con travi armate; e nessuna economia potrebbe farsi nell’armatura del tetto… Questa cifra [Lire 510.000] è senza dubbio ragguardevole; ma il sottoscritto confida da un lato che il sacrifizjo cui deve sobbarcarsi il Consorzio per sostenere lo spendio sia largamente compensato dalla utilità che ritrarrà dall’asciugamento; e dall’altro che non abbia ad essere superata in atto pratico, avendo procurato di nulla dimenticare di quanto era, ed è prevedibile allo scopo. Crede poi che sia sempre bene che la Società Consorziale sia edotta del vero costo della grandiosa opera che sta per imprendere, nulla di più inconsulto esservi, a parer mio, dello impegnarsi in opere simili sull’affidamento di preventivi, che illudano colla apparente loro moderazione...[e che poi] riescano insufficienti e di gran lunga inferiori alla aspettazione… Per ultimo il sottoscritto ne’ prezzi  delle ridette opere ebbe la mira di non esagerarli bensì, ma neppure di restringerli oltre i convenienti limiti, affine di lasciar campo alla speculazione degli Appaltatori…”. Nel 1874, “li 20 gennaio”, Ottavio Spadon, dopo lievi  modifiche al progetto iniziale,  presentava la Relazione  definitiva “All’Onorevole Presidenza del Consorzio Bresega”, con questa premessa:

   “ Adempiendo al mandato conferitomi da codesta Presidenza colla pregiata sua Nota 7 giugno 1873 N. 81 le  accompagno il progetto per l’asciugamento artificiale del suo Comprensorio pregandola di tenersi per scusato se le molte e gravi  mie occupazioni non mi permisero di presentarlo prima d’ora, come avrei desiderato. Ing. Ottavio Spadon”.

 

 

 

1876. Somministrazione e consegna di Macchine a Vapore. Regnando S.M. Vittorio Emanuele II per grazia di Dio e volontà della Nazione Re d’Italia

 

 Come risulta dal documento d’archivio indicato con il numero di Repertorio 14668 e con il numero di Registro 4071, si presentarono a Rovigo, l’11 aprile del 1876, di fronte al notaio Checchini dott. Giuseppe, i dirigenti del Consorzio Bresega e i rappresentanti dello Stabilimento Tecnico Triestino per la stipula della Convenzione per “ la somministrazione delle macchine a vapore per parte dello Stabilimento tecnico triestino”, (11) cosa che ovviamente sarebbe avvenuta a breve scadenza, allorché fossero stati ultimati i lavori riguardanti l’edificio delle macchine e la casa del macchinista.

   Dinnanzi dunque al “Regio Notaio” Giuseppe dott. Checchini, registriamo “da un canto” la presenza di Vincenzo Casalini, “Presidente del Consorzio di Bresega, membro del Comitato Esecutivo pella [= per la ] istituzione delle Macchine Idrofore nel Consorzio medesimo; e di Giovanni Battista Salvagnini fu Giovanni, domiciliato residente in Adria, altro membro del Comitato Esecutivo… assistiti dal loro Segretario Domenico Fabbiani, fu Giovanni, nato, domiciliato e residente a Rovigo”.

    “Dall’altro canto”, sedeva, di fronte al notaio Checchini, “ lo Stabilimento tecnico triestino a mezzo del suo Direttore Signor Guglielmo Strudthoff per mandato di procura…”. Ricorrono nel documento, come si vede, i nomi di alcuni fra gli esponenti di maggior spicco della classe dirigente polesana post-unitaria; accanto ai Casalini, notiamo i Salvagnini, potentissimi proprietari terrieri già dal 1839 con Pietro “il più grande possessore borghese del basso Polesine”. Gli Strudthoff di Trieste erano invece tra i maggiori industriali produttori di macchine idrovore insieme con i milanesi Schlegel, i Neville di Venezia, i Benech di Torino e gli Ansaldo di Genova. Non meno rinomata era poi la ditta Giacomo Zangirolami di Adria, costruttrice di macchine “idrofore” che furono presentate con notevole successo alla mostra provinciale di Rovigo del 27 novembre del 1877. Lo Zangirolami  espose alla mostra “turbine a pompa idrovora”, “tre locomobili”, una “intelaiatura per ruota idrofora e turbine” e una “ruota idrofora a schiaffo”. (12)

    L’atto pubblico rogato dal notaio Cecchini è  di tutto rilievo perché offre informazioni estremamente dettagliate circa  gli oneri del Consorzio e quelli dello stabilimento triestino.   “…Come risulta dal verbale di seconda convocazione – osserva il documento notarile -  dell’assemblea generale del Consorzio Bresega del giorno 24 febbraio 1874… venne approvato  il progetto 31 dicembre 1873 del Cav. Ottaviano Spadon Ing. Capo del locale Regio Ufficio del Genio Civile pella istituzione di una Macchina Idrofora pel artificiale asciugamento del Consorzio, e venne nominato un Comitato Esecutivo … collo [= con lo] speciale incarico di provvedersi pei mezzi necessari all’istituzione, cioè all’acquisto e collocamento della detta Macchina”. Quindi si stabiliscono le rispettive pertinenze.  Da un lato il Consorzio si cautela sul perfetto funzionamento delle macchine idrovore, “ in maniera che la consegna delle macchine dovrà ritenersi avvenuta in sequela soltanto del loro collaudo, restando spettante ogni rischio a tutto carico della Ditta fornitrice”. “La ditta deve inoltre tenersi obbligata ad impiegare nella costruzione delle macchine a vapore i materiali della migliore qualità” e la mano d’opera “sia la più diligente ed esperta, nonché di apprestarvi tutti quei miglioramenti che gli studi… di tal fatte esperienze hanno suggeriti per ottenere la sua prima regolarità di azione e di effetto utile colla minor possibile dispersione di forze e consumi e di combustibile”. Inoltre, il Consorzio Bresega si assicura che “ le dette macchine saranno costruite a sistema orizzontale” con “relativa pompa d’aria e pompa di alimentazione…Tutti i pezzi componenti le macchine a vapore dovranno essere…eseguiti con materiale il più opportuno …”. Altro punto importante relativo alla “somministrazione delle macchine” al Consorzio Bresega: “ Lo stesso Stabilimento Tecnico Triestino dovrà altresì fornire due (2) ruote idrofore, ognuna del diametro esterno di metri 12 (dodici) e della larghezza di metri 7…”.  Dal canto proprio il Consorzio Bresega fornisce ogni assicurazione circa “ tutti i lavori in muratura pei fabbricati necessari al collocamento … delle Macchine Idrofore”, nonché delle “fondazioni” e di “ogni opera di muratura”.

 

 

1877. Un  “ grande e straordinario provvedimento”

Regnando

S. M. Vittorio Emanuele II per grazia di Dio e volontà della Nazione Re d’Italia

 

 

     

   Il 5 giugno del 1877, si presentarono a Rovigo, di fronte al notaio Odoardo Pignolo, Carlo Bisinotto, Procuratore dei Conti Papadopoli; Vincenzo Casalini, Giovan Battista Salvagnini, Luigi Mazzarotto per conto del Consorzio Bresega;  Marino Giuseppe e Domenico Gabbiani come testimoni. Il documento manoscritto, redatto in una grafia chiarissima, costituisce una fonte della massima importanza perché ripercorre le varie fasi che portarono alla costruzione dell’idrovora di Voltascirocco, che, all’altezza della stesura del documento in esame,  ovvero al 5 giugno 1877, “era già stata ultimata”, e le cui fondamenta erano state gettate su un sito ove prima sorgeva una casa molto modesta, fatta “parte in muratura e parte in canna”, come afferma l’ “Istrumento” del notaio Odoardo Pignolo. (13)

   Il Contratto è altresì interessante perché getta ampi squarci di luce sui protagonisti di quell’ormai antica “compravendita”, avvenuta tra i maggiori esponenti del Consorzio Bresega e i Conti Papadopoli. Fra i convenuti di fronte al notaio Pignolo spicca il nome di Carlo Bisinotto, “procuratore dei Conti Papadopoli”. Carlo, “fattore con il fratello Giovanni dei Papadopoli”, si mise “ in evidenza per le apprezzate modifiche apportate ad alcune macchine agricole”. Dello stesso Bisinotto “ è il brevetto, premiato con medaglia d’oro all’Esposizione Provinciale di Rovigo del 1877, di un aratro polivomere mosso da macchina a vapore, introdotto nelle tenute di Rettinella, Smergoncino e Mazzorno.  Bisinotto fu altresì autore di un’opera pubblicata nel 1882 ( Monografia agraria del Distretto di Adria e Ariano in Polesine ), “l’unica monografia agraria sul Polesine pervenutaci”. (14)

   “ In Rovigo questo giorno 5 (cinque) Giugno 1877 (milleottocentosettantasette).

      Sino dall’Aprile 1876 il Consorzio di Bresega venuto nella determinazione di attivare una Macchina Idrofora pell’asciugamento artificiale dei Bassi Fondi del proprio Circondario, nominava un Comitato Esecutivo nelle persone degli Onorevoli Sig.ri Vincenzo Casalini fu Luigi Presidente Consorziale, Cav. Giovan Battista Salvagnini fu Giovanni, e Luigi Mazzarotto fu Pietro nella rappresentanza del Conte Giovanni Grimani, possidenti Consorziati, coll’incarico di rappresentare il Consorzio in tutto ciò che poteva concernere quel grande e straordinario provvedimento.

   L’Onorevole Comitato Esecutivo riportava dai Nobili Conti Nicolò ed Angelo Papadopoli sin da quel momento la promessa di cedere al Consorzio la quantità di superficie che fosse stata necessaria sì pel collocamento di quel Meccanismo Idroforico che pella sistemazione ed escavo del relativo tronco di Scolo nella Determinata località della Volta Scillocco [sic] salvo il compenso che a lavoro compiuto sarebbe stato liquidato dall’Ingegnere preposto alla esecuzione del Progetto 31 Dicembre 1873 dell’Ingegnere Capo Cav. Ottavio Spadon, Progetto adottato dal Consorzio di Bresega.

   Il lavoro di collocamento e di attivazione della Macchina Idrofora è già portato a suo compimento, e il Sig.re Dottor Tommaso Cav. Morandi ha ben anche liquidato sino dal 10 Marzo 1877 il compenso dovuto alli Nobili Cav.ri Papadopoli in base della superficie a loro spoglio occupata in danno della possessione denominata Schiappetta; liquidazione che approvata anche dal R.[egio]  Ingegnere Capo Sig. Spadon, venne accettata senza eccezione dai Nobili Conti Papadopoli.

   Tutto ciò premesso ad opportuna notizia e norma, sono oggi comparsi personalmente alla presenza di me Notajo e degli assunti Testimonj noti ed idonei:

    il Sig. Carlo Bisinotto del fu Giovan Battista quale agente e procuratore speciale delli Nobili Cav. Nicolò Papadopoli, Deputato al Parlamento Nazionale, e Conte Angelo Dottor Papadopoli del fu Conte Giovanni, nati e domiciliati in Venezia, giusta il Mandato 8 Maggio 1877 in Atti del Notajo Veneto Dottor Giacomo Davì, debitamente legalizzato e che in originale resta allegato al presente Istrumento, e--------------------------------

   Nella rappresentanza del Consorzio di Bresega l’Onorevole suo Presidente Sig. Vincenzo Casalini, del fu Luigi nato e domiciliato in Rovigo; ----------------- l’Onorevole Sig. Luigi Mazzarotto del fu Pietro nato e domiciliato in Rovigo, rappresentante il Conte Giovanni Grimani e tutti e tre componenti il Comitato esecutivo eletto dal Consorzio di Bresega pel fine sopra indicato; persone tutte da me Notaro [sic] conosciute e perfettamente idonee, le quali nella rispettiva loro qualità e rappresentanza mi hanno liberamente e concordemente rogato di ricevere nei miei protocolli la presente Stipulazione.

   I Comparenti intendono e vogliono che la premessa Narrazione debba formar parte integrante del presente Istrumento.-----------------

   Gli stessi Comparenti hanno approvato ed approvano la liquidazione 10 Marzo 1877 operata dall’Ingegnere Consorziale Dottor Tommaso Morandi la quale viene pure inserita al presente Istrumento.----------------------------

   Il Sig. Carlo Bisinotto fu Giovan Battista di Treviso, quale Agente e  speciale procuratore dei Nobili Fratelli Cav. Nicolò ed Angelo Papadopoli ha ceduto  ed alienato come cede ed in perpetuo aliena al Consorzio di Bresega, e per esso agli Onorevoli suoi Rappresentanti la casa posta in Volta Scillocco [sic] marcata al Mappale N. 3356 costruita parte in muro e parte in canna sulla possessione detta Schiappetta da ogni lato circoscritta dalle ragioni dei Nob. Cav. Papadopoli, la qual casa figura allibrata nelle Mappe R. Comune Censuario di Adria al numero suddetto.

4°. Lo stesso Sig. Carlo Bisinotto, agendo come sopra, ha venduto e in perpetuo alienato al Consorzio Bresega e per esso all’Onorevole suo Comitato esecutivo, l’appezzamento della possessione Schiappetta, rappresentato dal relativo Tipo B pella quantità superficiale di Metri quadrati 6859, pagina “a” del Mappale N. 3358 circoscritto a ponente dello Scolo Bresega, a mezzodì della Strada Comunale detta Argine di Canal Bianco pegli altri lati della restante porzione B del detto Mappale N. 3358…”.

   A conclusione di questa lunga disamina del documento notarile, si riportano, sempre dallo stesso, alcuni cifre interessanti, relative al valore in Lire delle terre cedute dai Conti Papadopoli al Consorzio di Bresega, e successivamente trasmesse “per norma dell’Ufficio Censuario dall’Ingegnere Civile Sig. Dottor Morandi…:

Mappale N. 3356 Pertiche Censuarie 0.22 Rendita Lire 1.40

   “           “   3357       “            “         0.57      “          “   4.50

In totale Pertiche Censuarie 0.79. Rendita Lire 5.90 alla Ditta Consorzio di Bresega.

In quanto all’appezzamento della possessione Schiappetta seguirà la voltura a Ditta Consorzio di Bresega del Mappale N. 3358 a , Pertiche Censuarie 6.06 e Rendita Lire 32.72,- ed il Mappale N. 3358 B, Pertiche Censuarie 3.14  e Rendita Lire 16.96 rimarrà alla Ditta dei Cav. Papadopoli.-------

   Giusta la presente liquidazione 10 Maggio 1877, il corrispettivo della detta casa al Mappale N.3356, resta stabilito nella somma di Lire 3000 /tremilla/[sic] e quello dell’appezzamento di terreno ceduto al Consorzio nella somma di Lire 3429.50 / tremillaquattrocentoventinove e Centesimi cinquanta/. In totale Lire 6429.50 / seimille quattrocento venti nove e Centesimi cinquanta/ somma che il Sig. Carlo Bisinotto dichiara di avere ricevuta per conto dei Nobili suoi Mandanti Cav. Nicolò ed Angelo  Papadopoli…”.

 

 

Adria. Lunedì 19 Febbraio 1877

ore 12:00, collaudo delle macchine

 

      Lunedì 19 febbraio 1877 l’idrovora di Voltascirocco ricevette la “visita di collaudo” dell’Ingegnere Meccanico di Venezia Nicola Pisani, la cui opera era stata richiesta “ in seguito a lettera d’invito 10 febbraio 1877 del Comitato per le Macchine del Consorzio Bresega”. (15)  Le macchine dell’idrovora entrarono in funzione, per la prima volta, esattamente alle ore 12.00 del 19 febbraio 1877.  La Relazione dell’ingegnere collaudatore Pisani fu davvero accuratissima, e per la sua perizia ricevette una parcella di tutto rispetto: 225 Lire dell’epoca. £ 45 per “ spese di viaggio da Venezia in Adria con  pernottazione e ritorno”; £ 50 per “ occupazione di due giornate 18. 19 Febbrajo; £ 120 per “occupazione al tavolo per calcolazioni ed estesa della relazione di collaudo”; £ 10 per “spese in carta bollata e copia”, per un “tolale £ 225”. Si tratta di un documento manoscritto davvero d’eccezione, perché ci fa vedere da vicino non solo com’era fatta, ma anche come funzionava un’ “idrofora” verso la fine dell’Ottocento. Per l’eccezionalità della fonte d’archivio,  la daremo pressoché per intero in Appendice, dove gli addetti ai lavori troveranno materiali di sicuro interesse, perché la relazione tecnica dell’ingegner Pisani fu infatti estremamente precisa,  irta di dati tecnici e di una serie consistente di calcoli. Riporto qui sotto, invece, la prima parte, quella più    discorsiva della Relazione,  ove l’ing. Pisani narra  il momento epocale dell’avvio delle macchine:

 

   “…Alla presenza dei Signori Ing. Capo della Provincia di Rovigo Cav. Ottavio Spadon. Ing. Del Consorzio Bresega Sig. Tommaso Morandi. Quale rappresentante del Comitato per  le macchine del Consorzio Bresega il Sig. Luigi Mazzarotto. Quale rappresentante dello Stabilimento Tecnico Triestino Sig. Enrico Foster.

   

   Alle ore 12 del giorno 19 Febbrajo 1877 feci mettere in movimento le macchine.

 

L’acqua del Consorzio era a zero, esternamente a M. 0,30 sopra, per cui vi era la sola prevalenza di 0,30 e con sì piccola prevalenza nulla si poteva fare.

   Feci quindi chiudere le porte sul Canalbianco, abbassando le due saracinesche in modo che restassero distanti dalla platea M. 0,20 per poter produrre una prevalenza artificiale, e lavorando con la sola ruota più bassa, con la sola pressione di due At.[mosfere] in caldaja, ed un solo decimo di introduzione ho ottenuto un innalzamento esterno di M. 1,20 ed un abbassamento interno di 0,10 per cui una prevalenza di M. 1,30. Tale esperimento però non fu che preliminare, e sarei a dimostrare  che il metodo adottato corrispondeva perfettamente, e che le macchine avevano più forza del necessario. Allora principiai il primo esperimento, feci  abbassare le saracinesche in modo che restassero  distanti dalla soglia solo 0,08, feci ridurre la pressione in caldaja ad At. 2 ¾ e feci mettere in movimento le macchine lavorando sempre colla sola ruota più bassa, la quale aveva già tutte le palle [sic] (= “pale” ) immerse nell’acqua. In pochi minuti l’acqua nel bacino esterno s’innalzò a 0,42 sopra la massima piena del Canalbianco, arrivando fino ai sottarchi della chiavica, e quasi a livello degli argini interni per cui fu forza fermare le macchine per non far nascere qualche disordine, forse nelle saracinesche, per l’enorme pressione. Tale risultato ho potuto ottenere con la pressione di At. 2 ¾ in caldaja e con meno di due decimi d’introduzione. L’acqua interna essendosi abbassata 0,10 e l’esterna essendosi innalzata a 2,45 si poté raggiungere una prevalenza artificiale di M. 2,55. Allora vedendo che tale lavoro per le macchine, era un vero giuocatolo [sic], ho voluto lavorare con tutte e due le ruote, e principiai il secondo esperimento. Feci portare la pressione in caldaja ad oltre 3 At., e feci mettere in movimento le macchine lavorando con tutte e due le ruote. Pochi momenti dopo però il bacino era piano, l’acqua si era innalzata come prima fino ai sottarchi, per cui per lo stesso motivo ho dovuto far fermare le macchine, pienamente convinto che sarebbero state capaci d’innalzare l’acqua per un altro metro se lo avessi voluto, e se le altre condizioni lo avessero permesso. Tale enorme lavoro fu ottenuto con la pressione di tre At. In caldaja, e tre decimi circa d’introduzione. Da questi soli fatti si può dedurre la conseguenza che il Costruttore fece due macchine di una forza più grande di quella che la società gli aveva ordinato…”.

   Nonostante l’ing. Pisani dichiarasse le macchine pressoché perfette, e quindi invitasse il Consorzio Bresega a saldare ogni conto con lo Stabilimento Triestino, qualche polemica sulla loro efficienza nacque nei mesi successivi, allorché corse voce che alcuni pezzi delle macchine non fossero del tutto nuovi. Il Consorzio Bresega scrisse quindi a Strudthoff a Trieste per avere ulteriori chiarimenti al proposito. Nell’archivio del Consorzio è contenuta una lettera di Strudthoff, dai toni piuttosto accesi, datata 21  luglio del 1877, e spedita al suo rappresentante in Adria Enrico Foster, che tre giorni prima, il 18 di luglio, aveva informato Studthoff di quanto si andava vociferando circa la qualità delle macchine. Strudthoff definisce un “maligno” e un perfetto “imbecille” un non meglio identificato sig. Forhonot [?], accusato a suo dire di fomentare uno scontento che era del tutto privo di fondamento. Si riportano qui alcune parti della lettera, scritta con una grafia in qualche caso pressoché illeggibile e ortografia molto “personalizzata”, cosa di cui comunque Strudthoff va assolto se non altro per il cognome:

 

“ Trieste, 21 Luglio 1877

 

Caro Foster

  

                 a suo tempo presi notizia del contenuto della lettera allo stabilimento nonche [sic] (= nonché) la tua  del 18 corrente. Quanto alla insinuazione del maligno ed imbecile [sic] di Forhonot che le assi impiegate per le macchine di Bresega derivano da un’altra macchina a vapore ciò lo san tutti e di queste cose non occorre di fare mistero perché un asse di ferro è sempre nuovo... Pezzi di ferro delle dimensioni come quelle assi non sono mai vecchi ma il ferro è sempre nuovo quando corrisponde alle dimensioni volute, non è come un capelo [sic] (= cappello), capoto [sic] (= cappotto) oppure stivali che quando sono addoperati [sic] qualche tempo non si possono paragonare alli nuovi, insomma ogni giorno se ne sente qualcheduna di belle.

   Ho ricevuto oggi dalla Presidenza di Bresega una gentilissima lettera in proposito delle assi e non tarderò a rispondere in un pajo di giorni … Le assi sono di esuberanti dimensioni e perfetto materiale e qualunque perizia dovrà constatare questo fatto ed  il obligo [sic] dello stabilimento si conferma nel dare macchine di buona qualità di materiale e di corrispondenti dimensioni acciò che possano regolarmente funzionare senza guasti e rotture, ciò che è esuberantemente adempiuto nelle macchine di Bresega… [e] quando possa aversi l’occasione di adoperare assi già esperimentate si preferisce sempre alli nuovi che qualche volta possono avere delli difetti interni che non si possono vedere, ma che col esercizio della macchina di dimostrano e poi seguono le rotture, ciò che non sarà davvero mai il caso delle assi di Bresega perché assi più perfette di quelle non si può desiderare e soltanto un maligno e nello stesso tempo un imbecille come F. credeva di farsi un merito sull’osservare punti difetosi [sic] delle macchine… Le macchine di Bresega sono di buona qualità di materiale e dimensioni corrispondenti al lavoro che devono fare, questo è il nostro obligo [sic] e nulla di più…” (16)

 

 

 

 

 

 

 

Le “Tavole” d’Archivio dell’Ingegner Ottavio Spadon

 

 

      Sotto il profilo strettamente architettonico l’idrovora di Campagna Vecchia Inferiore (Amolara) è stilisticamente più raffinata di quella di Volta Scirocco, che pure, a osservare con attenzione l’antico progetto dell’ing. Spadon, possedeva una sua alta dignità stilistica.

   Ambedue poterono intanto contare su una committenza (Consorzio di Campagna Vecchia Inferiore e Consorzio Bresega) piuttosto facoltosa, tra cui compaiono i nomi di possidenti quali i  Salvagnini, i Casellato e i Papadopoli, i Casalini. La cosa non fu di secondaria importanza per gli esiti finali, che videro concretizzarsi manufatti estremamente “culti”, che s’inserivano entro la tradizione stilistica delle ville o delle corti di campagna che comunque si rifacevano a tipologie classicheggianti, particolarmente predilette dalle classi nobiliari e alto-borghesi.

   La presenza, nell’idrovora dell’Amolara, del classico frontone centrale e l’ariosa struttura laterale dell’edificio a tre piani, con una triplice serie di finestrelle e finestre, ne fanno un manufatto davvero grandioso, che ebbe a sollevare a suo tempo le perplessità del Botter, che  ne criticò l’impianto faraonico, osservando che “metà del fabbricato eccede l’esigenza del fabbisogno dei meccanismi”. (17)

   Le “Tavole” approntate dall’ing. Spadon, bellissime per nitidezza di disegno e per colori, ci sono pervenute perfettamente conservate nell’Archivio del Consorzio Polesine Adige Canal Bianco di Rovigo,  e  risultano ottime sotto ogni profilo.(18) Il progetto dell’ing. Spadon fu improntato a una sobrietà superiore rispetto a quello pensato per l’idrovora dell’Amolara, e, più spartanamente, si concretizzò in un manufatto essenziale e soprattutto funzionale alle necessità pratiche, anche se non si può certamente negare al progetto, come si diceva, una ben evidente eleganza stilistica. Le fondamenta furono studiate con  estrema cura, e per tutti i dettagli tecnici si vedano le considerazioni di Spadon riportate più sotto.

   L’edificio dello “stabilimento idroforo”, che fu edificato ove sorgevano prima “due casolari di muro e canna” (V. Appendice, Prospetto delle spese, punto 4), si presenta  massiccio alla vista. La sezione frontale del progetto mostra un’ampia porta centrale con arco a tutto sesto cui si accede dopo quattro scalini. A destra e a sinistra della porta si stagliano tre ampie arcate nelle quali si inquadrano tre finestre rinforzate da  inferriate. Un ben rilevato cornicione  separa il corpo inferiore dell’edificio dal tetto. L’aspetto esterno, effettivamente, dà un’impressione di forte solidità e, proprio per tale caratteristica, sembra rifarsi al tipo di “casa fortezza”, un tipo di “villa rurale” ben descritto da Luigi Lugaresi.  Tale tipologia costruttiva prevedeva, scrive Lugaresi, “… le abitazioni dei lavoratori e i magazzini-stalle arroccati a lato della casa padronale aperta, con un muro che delimitava il giardino”. (19) Il raccordo con la strada era poi “sbarrato da un grande cancello”. E’ possibile che l’ing. Spadon si sia ispirato a una simile tipologia, poiché egli progettò la casa del macchinista e il magazzino del carbone discosti dal corpo dello “stabilimento idroforo”, separando poi i manufatti dalla strada con un grande cancello. I riferimenti classici dell’idrovora di Voltascirocco potrebbero sembrare meno evidenti rispetto a quelli dell’Amolara, dove il frontone costituisce un rimando intuitivo all’architettura classica, però il progetto dell’ ’ing. Spadon, con quel susseguirsi di arcate, ha voluto concettualmente rifarsi a quei manufatti dell’ingegneria idraulica romana che maggiormente avevano a che fare con l’acqua e il suo controllo, ossia agli acquedotti, millenarie strutture che ancora oggi resistono all’usura del tempo.   All’idrovora di Volta Scirocco manca purtroppo un elemento tipico, ben visibile però nella “Tavola XI”: l’alta ciminiera, il “fumajuolo”, alta ben 40 metri, e che testimonia “il primo originario impianto a vapore per l’azionamento delle idrovore”. (20) La ciminiera di Volta Scirocco è stata probabilmente, e, purtroppo, abbattuta sia per l’impiego di nuove tecnologie  sia, forse, per l’intrinseca pericolosità di una struttura ormai instabile per vita secolare.    La casa del Macchinista e il magazzino per il carbone conobbero, secondo Spadon, una vicenda meno “dispendiosa” rispetto alla struttura dell’idrovora, “ non esigendo queste Fabbriche fondazioni profonde”. La prima – spiega -  si compone d’un corridoio d’ingresso, di quattro stanze al pian terreno, e di altrettante nel superiore, divise anch’esse da un corridoio in corrispondenza al predetto. Il secondo di un solo ambiente proporzionato alla quantità di carbone che dev’esservi depositata…”.

    Ma vediamo ora in modo più organico come l’ing. Spadon spiegò nella “Relazione” le ragioni costruttive degli edifici, con ampi riferimenti alle “Tavole”.

   “… Le Fabbriche indispensabili per l’attuazione dell’asciugamento consistono nei locali per la macchina, pelle [= per le] caldaje, nel relativo fumajuolo [= ciminiera], nella gora pella ruota, e nella Chiavica di scarico da chiudersi quando la macchina è in azione, ma  aprirsi tutte le volte che lo scolo può naturalmente recapitare in Canal Bianco. Né meno necessarie sono quelle a destinarsi ad abitazione del macchinista ed a magazzino di deposito del carbone. Il sottoscritto preferì di tener divise queste diverse Fabbriche anziché unirle in un sol corpo; e ciò [per grandezza] … e grossezza dei muri e per evitare squilibri nelle masse.

   I relativi disegni allegati al progetto – spiega ancora Spadon – dimostrano la loro ubicazione, disposizione e struttura. In quanto all’edifizio della macchina, che forma un assieme colla gora della ruota e colla chiavica di scarico, e che è il più importante, esso componesi di un solo piano diviso in tre locali, uno pei cilindri, l’altro per le caldaje, ed il terzo per uso di officina. Esplorata la natura del fondo su cui dev’essere basato, e visto che questo componesi di strati di torba misti ad argilla i quali probabilmente si spingeranno anche più sotto al piano di fondazione, trovo opportuno di formare una platea generale di muro sopra un telajo o graticolato di travi bene connessi e circuito da una palafitta di travi a contatto, per impedire le laterali espansioni del fondo sottoposto. Questa platea generale è inoltre necessaria in un edifizio destinato a sopportare pesi ragguardevoli… Come si scorge dai disegni predetti le masse murali relativamente alle dimensioni dell’edifizio sono di una certa entità; ma d’altronde sono inevitabili; e tutto lo studio del sottoscritto dovette limitarsi ad escludere ogni superfluità, massima questa che non trascurò neppure rispetto alle altre parti ed accessorj dell’edifizio. Potrebbe forse apparire men che necessario approfondare [sic] (= mandare a fondo ) le fondazioni del locale delle macchine al piano stesso cui necessariamente conviene spingere quelle della gora e della chiavica di scarico. Ma oltre a che verrebbe a mancare, se così non si facesse, quella uniforme stabilità che si ricerca, è duopo (= necessario) riflettere che converrebbe sempre coprire con antipetti  di muro le porzioni dell’edifizio che cadono entro il bacino dello scolo; ed appoggiare poi le fondazioni predette ad una robusta e profonda palificazione. Nessun vantaggio vi sarebbe da una minor spesa, e forse si spenderebbe di più senza la piena sicurezza  di rendere irremovibile, come si esige l’appostamento della macchina.

   Meno importante e dispendiosa è la costruzione della Casa del Macchinista e del Magazzino del carbone, non esigendo queste Fabbriche fondazioni profonde. La prima   si compone d’un corridoio d’ingresso, di quattro stanze al pian terreno, e di altrettante nel superiore, divise anch’esse da un corridoio in corrispondenza al predetto. Il secondo di un solo ambiente proporzionato alla quantità di carbone che dev’esservi depositata…”.

   Le strutture dei fabbricati adiacenti l’edificio della sala macchine presentano oggi una soglia di vetustà che si può definire indubbiamente “critica”: i materiali utilizzati a metà Ottocento ( di cui riportiamo qualche documento in Appendice, pp. 31-35 ) dai mattoni in cotto ai coppi, dalle travi alle capriate in legno, mostrano  i segni inequivocabili del trascorrere del tempo.

   L’ipotesi di lavoro punterebbe quindi a un risanamento conservativo e a un ripristino estetico sia della casa del macchinista sia del magazzino, nonché, ovviamente, a un loro “riuso” funzionale. In tal senso si prospetterebbero varie destinazioni finali: una sala mostre, un eventuale ostello per stages studenteschi, una piscina e un centro ippico per attività ricreative, e, infine, si penserebbe anche a un percorso fluviale di collegamento con l’idrovora dell’Amolara.

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Appendice

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tabella delle “macchine a vapore” attivate in Provincia di Rovigo alla metà dell’800. Nel 1852, secondo quanto afferma F. A. Bocchi, Il Polesine di Rovigo, op. cit., p. 155, ne era attiva una nella zona di Voltascirocco con il “sistema a pompa”. (Vedi alcuni esempi più sotto). La tabella è in Archeologia industriale del Veneto, op. cit., p. 146. La macchina posta a Voltascirocco è al n. 9 della tabella, e fu attivata dal Consorzio Valli d’Adria. Una tabella simile la si può vedere in L. Lugaresi, La prima meccanizzazione in Polesine. Idrovore e macchine agricole, in La campagna a Vapore, Rovigo, Minelliana, 1990, p. 145.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tipica “macchina a vapore” delle campagne palesane, in La campagna a vapore, cit., p. 136.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Esempio di “pompa trasportabile”, della prima metà dell’800. L’immagine in L. Contegiacomo, La meccanizzazione…, cit., p. 234.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Esempio di pompa a trazione animale, Ivi, p. 234.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La Prima pagina della “Relazione” dell’ing. Ottavio Spadon.

 

Tavola XI ( Ottavio Spadon ) “ Camino dello stabilimento idroforo di Bresega”

 

 

La “ forza  della macchina”  idrovora secondo l’ “esperienza”

dell’ing. Ottavio Spadon

 

   “… Dal fin qui detto raccogliesi dunque che la quantità d’acqua da espellersi per mantenere asciutto il Consorzio sarà di M. cubi 2.24 per minuto secondo. Per stabilire la forza della macchina destinata a versarla in Canal Bianco il sottoscritto partì da una considerazione pratica, avvalorata dalla esperienza ormai avutasi negli altri Consorzi del Basso Polesine, ed è; che per assicurare l’asciugamento non basta tener conto delle altezze medie di quel recipiente, ma conviene assolutamente [conto delle piogge per il] motivo già noto che queste ultime d’ordinario si presentano nelle stagioni in cui occorre maggiormante che il Consorzio sia asciutto, nella Primavera cioè e nell’Autunno; e se al loro verificarsi non s’abbia una macchina di tanta forza da poterle superare, può l’asciugamento essere seriamente compromesso. Un esempio recente lo diede il 1872; e tutti conoscono le difficoltà che incontrarono i Consorzi predetti per asciugarsi. E’ ben vero che impiegando una macchina corrispondente a siffatte prevalenze massime, astrazion fatta dalla spesa di primo acquisto ed impianto, si incontrerà qualche maggior dispendio d’andamento, quando essa lavorerà sotto prevalenze minori. Il vantaggio però è tale da compensare esuberantemente siffatta lieve passività, e questa a sua volta è indennizzata da risparmi ottenibili nella manutenzione  della macchina, non soggetta agli sconcerti derivanti dagli sforzi straordinari cui sarebbe sottoposta se non fosse atta… e dalla economia che può farsi sul combustibile utilizzando l’espansione ne’ cilindri.

   L’altezza massima del Canal Bianco si avverò appunto nell’Autunno del 1872; ed al sito della Chiavica Emissaria di Bresega salì a Metri 1.26 sopra il Capo-Stabile più volte ricordato nel corso della presente Relazione. Ora dovendo il pelo dello scolo trovarsi al sito della Macchina, per quanto si è già dimostrato, Metri 1.77 sotto il Capo-Stabile medesimo, ne viene che la prevalenza da vincersi sarà di Metri 3.03, e quindi teoricamente la forza della macchina, capace di espellere a quest’altezza Metri Cubi 2.24 al minuto secondo, e altrimenti Metri Cubi 134.40 al minuto primo, dovrebbe essere di Cavalli Vapore 90 ½. Se non che in pratica fa d’uopo (= è necessario ) aumentare almeno di un quarto per ogni metro di prevalenza sopra il primo metro d’altezza il numero de’ Cavalli per sopperire alle resistenze che crescono in un rapporto maggiore delle semplici altezze e devesi inoltre computare prudentemente … la riduzione dall’effetto teorico al pratico della macchina. La sua forza si ridurrà dunque a cifra rotonda a cavalli vapore 160 all’albero del volante. Ad onta delle premesse considerazioni potrebbe per avventura apparire esagerata la forza di questa macchina a chi si fermasse a confrontarla con quelle dei vicini Consorzi, e particolarmente del Consorzio Dossi Vallieri eguale presso a poco in superficie al Consorzio Bresega. Ma indipendentemente dal fatto che le loro macchine furono istituite quando non era ancora attivata la sistemazione delle Valli Grandi Ostigliesi e Veronesi, e le aperture del Bosaro e la conseguente discesa delle acque di Tartaro e Canal bianco Superiore erano men frequenti e meno prolungate, né le piene in Canal Bianco inferiore giungevano a tale altezza, cui salirono oggidì, giova ricordare  che la macchina appunto di Dossi Vallieri, [era] in origine a 90 cavalli circa… [ma in seguito si modificarono] il diametro de’ cilindri e la pressione nelle caldaje, e le si diede così una forza quasi dupla della predetta; ma queste stesse modificazioni non furono sufficienti, essendosi dovuto nel 1864 ingrandire una delle ruote idrofore, e portarla dal diametro di Metri 8 a quello di Metri 10.50; e che malgrado tutto ciò, e malgrado continui e pericolosi sforzi e considerevole consumo di combustibile, il Consorzio nel 1872 soffrì notevoli danni, onde si stanno progettando nuove e più efficaci riforme e provvedimenti… Stando …a questi fatti si verrebbe quasi a conchiudere (= concludere ) che la progettata forza della nostra macchina sia piuttosto inferiore che superiore ai bisogni del Consorzio; ma invero a parere del sottoscritto essa è la minima che si possa assegnarle; e nell’attenersi a questo minimo non gli sfuggì che il costruttore, qualunque ei (= egli ) sia, vorrà senza dubbio, come si suole, abbondare in potenza meccanica, anziché star ligio al preciso numero dei cavalli di forza che gli verranno commessi (= commissionati )…”…  La ruota poi… di ferro con N. 30 palette leggermente incurvate a doppio plesso inclinate ad angolo di 45°, chiuse ai lati, e con ingranaggio al circolo massimo, alla metà cioè del lato estremo delle medesime, deve avere senza eccezione il diametro di metri 12 e la larghezza di metri 2 per poter corrispondere alla calcolatas prevalenza massima a cui può occorrere di elevare l’acqua. Benché su questo tipo siano modellate la Fabbriche, sulle quali si passerà ora a parlare, resta bene inteso in facoltà della Società …[interpellare i] Costruttori che crederà meglio opportuni, fermi i dati suesposti in quanto alla forza della macchina ed al diametro della ruota; e qualora i loro Progetti recassero con sé qualche modificazione utile ed accettabile in confronto della proposta, che obbligasse a variare di conformità parte dell’edifizio; ciò potrà farsi facilmente in atto pratico, e ritiensi altresì senza notevoli differenze di spesa…”.

 

Dalla  “Descrizione” del Collaudo della Macchine “Idrofore” dell’Ing. Civile Nicola Pisani

Adria, 19 Febbrajo1877, Ore 12

 

 

“1°) Le caldaje sono quattro con due bollitori interni e due focolari per una. I bollitori comunicano col corpo della caldaja a mezzo di tre tubi Galloway. Le caldaje portano le due valvole com’è prescritto, una mobile a mano e l’altra simile, ma chiusa in custodia. Portano le prese di vapore, gl’indicatori pel livello della acqua, in un tubo che serve ad alimentarle tutte. I prodotti della combustione vengono raccolti in un fumajuolo col solito metodo.

2°. Le macchine sono due accoppiate, orizontali [sic], con espansione variabile a mano e condensazione, e portano il regolatore di Buss. Le macchine si trovano nel piano terreno, le condense, le pompe di alimentazione e i tubi relativi di aspirazione, condensazione, e condotta, nel piano sotterranea, sotto alle macchine stesse, e quindi le pompe di condensazione e quelle di alimentazione riescono verticali, e vengono mosse da una leva angolare attaccata al gambo del pistone nel suo asse di articolazione con la Biella. Le bielle agiscono sulle manovelle dell’asse motore, che porta un volante, e quattro rocchetti, che ingranano negli ingranaggi esterni delle due ruote. Le macchine sono provvedute a) di un manometro che indica la pressione del vapore quando entra nelle cassette di distribuzione, e che corrisponde ai quattro che sono sulle caldaje, b) di due manometri indicatori del vuoto e che mostrano facilmente ad ogni istante se le condensefunzionino regolarmente, c) di due regolatori la quantità d’acqua che si pirmette [sic] alle condense di aspirare, potendo così dare più o meno acqua alle condense a norma della quantità del vapore che si deve  condensare, secondo il lavoro più o meno grande fatto dalle macchine, d) due regolatori la quantità d’acqua che va ad alimentare le caldaje, potendo così mandare più o meno acqua ed anche niente, e) finalmente due rubinetti che servono ad aprire le pompe di alimentazione, nonché tutti i rubinetti per scaricare i cilindri, e le cassette della distribuzione.

   Tutto ciò trovasi ottimamente disposto sotto mano del macchinista che può fare ogni possibile e necessaria manovra, restando sempre fermo al suo posto nel mezzo delle macchine,f) una forte pompa indipendente, separata dalle macchine, e mossa dal vapore, così detto “piccolo cavallo”, serve ad alimentare le caldaje indipendentemente dalle pompe di alimentazione delle macchine.

3°) Le ruote idrofore sono due, così dette a schiaffo, del solito sistema, con due ingranaggi esterni per una, e chiusa ai lati con lamiera di ferro, e le palle sono in palandola di larice. Una di esse è montata un metro più alta dell’altra nell’intendimento che debba lavorare quando il Consorzio è pieno di acqua, e la più bassa quando il consorzio è in via di asciugamento, e con tutte due ogni qual volta vi sia la possibilità e la necessità di far presto. Le principali dimensioni, e gli elementi necessari al calcolo della forza delle macchine sono le seguenti.

 

 

 

Caldaje N. 4 con due bollitori interni

Diametro dei corpi………………  M.2.00

Lunghezza…………………………”  6.40

Diametro dei bollitori……………      0.75

Lunghezza………………………       6,40

Superficie vaporizzante…………… 42,00

               Fumajuolo………………M.  40,00

Sezione inferiore

Lati 1,4 * 1,4 = 1,96

Sezione superiore

Lati 1,0 * 1,0 = 1,00

 

 

Macchine N. 2

Diametro dei cilindri M. 0,76

Corsa dei pistoni,  1,50

N. di giri dell’asse,  32

Pressione in caldaja, At[mosfere] 4,5 essendo state provate ad At. 9.

Introduzione del vapore per 1/10 * 2/10 * 3/10 * 4/10 * 5/10 della corsa del pistone mediante semplicissimo e chiarissimo sistema, e per tutta la corsa anche volendo, per cui si può usare l’introduzione del vapore per qualunque quantità desiderabile.

Ruote N. 2

Diametro………………..M. 12

Larghezza delle palle………  2

Altezza delle corone……….. 2

Numero delle palle, 36

Giri delle ruote al minuto primo 2 ½

Diametro dei rocchetti motori che ingranano sugli ingranaggi esterni delle ruote N. 0,90

 

Condizioni meccaniche del contratto

 

   Nel contratto 11 aprile 1876 fatto fra la Società e il costruttore è convenuto:

1°) che le macchine siano capaci di dare una forza di 180 cavalli lavorando con la pressione in caldaja di At. 4 e con una introduzione 1/3.

2°) Che il consumo del carbone non oltrepassi K 2,5 per ora e per cavallo.

3°) Che le due ruote debbano avere il diametro di M. 12 e la larghezza di M. 2.

4°) Che queste ruote debbano con facilità vincere una prevalenza massima di M. 3,03 come può essere necessario nelle grandi piene del Canalbianco.

5°) Che la forza delle macchine sia verificata col freno nel caso di contestazione. Io però, quale Ing. Collaudatore, visto che il costruttore ha adempiuto a tutti gli altri obblighi assunti dal contratto, che la Società non ha alcun reclamo da avvanzare [sic], visto che a colpo d’occhio si può esser certi che anche la condizione della forza delle macchine sia stata esuberantemente adempiuta dal Costruttore, e che non può sorgere contestazione alcuna sulla loro forza, e visto d’altronde che l’applicazione del freno sarebbe operazione costosa, difficile, ed affatto inutile, ho creduto prescindere dall’uso di esso e limitarmi a dimostrare col calcolo, e col risultato pratico, che la Società aveva ricevuto dal fornitore due macchine capaci di una forza anche più grande di quella che essa aveva ordinato nelle sopra espresse condizioni. Di ciò quindi pienamente convinto principiai a fare i due seguenti esperimenti che diedero splendidissimi risultati…

… Per fare il calcolo delle macchine userò la solita formula

 

A= K/75 . p s v ( 1 + Coef. P/p – q/p )

Nella quale

 

A è la forza in cavalli che si ricerca; K il Coef. di riduzione variabile secondo la qualità delle macchine. P la pressione in caldaja in K sopra il c ‘° q ° ; p la pressione del vapore alla fine della corsa in K sopra il c° q°; q la contropressione nel condensatore, o nei tubi di scarico pure in K per c° q°; v la velocità del pistone in metri per 1”; s la superficie del pistone in c q. Per questa formula si vede che col variare di P e p possiamo avere una serie indefinita di valori della forza delle macchine. Ma essendo che per condizione di contratto le macchine devono avere la forza di Cavalli 180 alle condizioni di 4 At. In caldaja ed 1/5=2/10 d’introduzione, così prima di tutto calcolerò le macchine con questi elementi per vedere se corrispondano alle condizioni volute.

   Quindi nella formula generale sostituendo i valori particolari derivati dai dati avremo

A= 0,55/75. 0,8. 4183.1,6 ( 1+ 4/0,8 – 0,16/0,8 )

A=  0,0073.0,8.4183.1,6 ( 1 + Coef. 5 – 0,2 )

A= 0,0073.0,8.4183.1,6 ( 1 + 1,6 – 0,2 )

A= 0,0073.0,8.4183.16.24

A= 93,6 e quindi per le due macchine

2 A = 187 Cavalli.

   Visto copsì che le macchine possono dare una forza di cavalli 187 lavorando alle condizioni volute dal contratto, vediamo quali forze possono dare lavorando a condizioni superiori ed inferiori cioè con 4 At., ed introduzione ½ = 5/10

A= 0,0073.2.4183.1,6 ( 1+ Coef. 4/2 – 0,16/2 )

A= 0,0073.2.4183.1,6 ( 1 + 0,69 – 0,08 )

A=  97,71.1,618

A= 158 e quindi per le due macchine

2 A = 316 Cavalli.

   Le condizioni però più ordinarie nelle quali le macchine lavorano saranno con At. 3 ed introduzione 2/10 3/10 4/10 5/10 sostituendo nella formula i diversi valori avremo

2/10 A= 0,0073.0,6.4183.1,6 ( 1+ Coef. 3/0,6 – 0,16/0,6 )

3/10 A= 0,0073.0,9.4183.1,6 ( 1+ Coef. 3/0,4 – 0,16/0,9 )

4/10 A= 0,0073.1,2.4183.1,6 ( 1+ Coef. 3/1,2 – 0,16/1.2 )

5/10 A= 0,0073.1,5.4183.1,6 ( 1+ Coef. 3/1,5 – 0,16/1.5 )

 

2/10 A = 48,84.0,6 ( 1 + 1,61 – 0,25 )

3/10 A = 48,84.0,9 ( 1 + 1,18 – 0,16 )

4/10 A = 48,84.1,2 ( 1 + 0,92 – 0,12 )

5/10 A = 48,84.1,5 ( 1 + 0,69 – 0,10 )

 

2/10 A = 48,84.0,6.2,36 = Li 70

3/10 A = 48,84.0,9.2,02 = Li 88

4/10 A = 48,84.1,2.1,80 = Li 105

5/10 A = 48,84.1,5.1,54 = Li 117

   E quindi le due macchine con la pressione in caldaja di 3 At. E con la introduzione di

2/10 danno la forza di 140 Cavalli

3/10   “             “          176    “

4/10   “             “          210    “

5/10   “             “          234    “

   Si vede quindi con quale esuberanza di forza il costruttore abbia costruito le macchine. Ricercando ora quale sia stata la resistenza superata dalle macchine nel primo esperimento fatto con una sola ruota più bassa, mentre l’acqua interna era a zero, le corone tutte immerse, e la prevalenza 2,50, avremo che per ogni giro la ruota innalzava un volume d’acqua espresso da

2.2.30.0,65= 78 m cubi

E quindi in 1 primo, 78.2,5= 195 per cui la resistenza utile trovasi espressa da 195/60.2,5= 8125 dinami cioè Cavalli 8125/75= 108. Ed essendo che le macchine lavorano con pressione in caldaja 2.3/4  introduzione meno di 2/10, ed a questa resistenza utile aggiungendo le passive della ruota, vediamo corrispondere esattamente alla forza sviluppata dalle macchine come si trovano calcolate. Nel secondo esperimento nel quale lavorano le due ruote assieme, e considerando che la ruota seconda essendo postata un metro più alta della prima prendeva la metà di acqua si aveva un volume espresso da

M cubi 78.39=117 per ogni giro, e quindi in 1 primo 117.2,5= 292,5 e così la resistenza utile trovavasi espressa  da 292,5/60.2,5= 12165 dinami e cioè Cavalli 12165/35= 162 e le macchine lavoravano con una pressione in caldaja At. 3 ed introduzione inferiore a 3/10 e se a questa resistenza utile aggiungeremo le passive delle due ruote vedremo l’esatta corrispondenza alla forza sviluppata dalle macchine come si trovano calcolate, e tali corrispondenze dimostrano anche l’esattezza del calcolo.

    Ora però vi sarebbe da dimostrare adempiuta per parte del Costruttore anche la seconda esigenza del contratto cioè, che le macchine non consumano più di K 2,5 di carbone e per cavallo e per ora. Questo fatto quantunque si possa ritenere esistente per l’ottima costruzione delle macchine e per la regolarità dei diagrammi che diedero, pure ora non è possibile dimostrarlo praticamente. Per ciò fare conviene che il Canalbianco si trovi a una altezza costante in modo da poter lavorare per qualche giorno con una prevalenza di circa due metri e dopo che le macchine saranno messe nello                stato necessario di uniforme lavoro pesare il carbone che avranno consumato per alcune ore di seguito senza che sieno [sic] avvenute variazioni sul loro andamento. Allora calcolata esattamente la forza da esse sviluppata in quelle condizioni, basterà dividere il peso in Ki del carbone consumato in un’ora per il numero dei Cavalli, e si avrà il consumo unitario ricercato.

   Dopo tutto ciò, se la società non intendesse farsi una qualche riserva riguardante il consumo del carbone non ancora dimostrato, io ritengo le macchine perfettamente collaudabili non solo, ma anche dichiaro che il costruttore ha dato molto di più di quanto si era obbligato, e quindi la società può saldare ogni conto ancora pendente, a termini di contratto.

 

                                                                                 L’Ing. Collaudatore

                                                                                 Nicola  Pisani

                                                                                 Ingegnere Meccanico

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La prima pagina della Relazione sul collaudo delle macchine idrovore dell’ing. Nicola Pisani

 

Alla Presidenza del Consorzio di S. Giustina

27 novembre 1814                                                                         La Presidenza Bresega

 

    L’avviso 4 ottobre ultimo scorso sulla Presidenza Generale del Consorzio del Ritratto [sic] (= “retratto”) (1) di S. Giustina,  a tutti li possessori di Beni fondi dalla Bova Badia sino alle Botti Barbarighe pel pagamento d’un campatici di 88 corone in due rate diviso, la prima scaduta col mese suddetto, l’altra maturerà entro l’andante novembre, richiamò sin d’allora la Presidenza del Consorzio Bresega superiore ed inferiore, [essendo] stata riprestinata [sic] ne’ suoi stessi antichi diritti dal provvido Decreto dell’Eccelso G. G. ( = Governatorato Generale ) 16 gennaio decorso a fare li seguenti riflessi.

   La Presidenza di S. Giustina col ridetto suo avviso avrebbe ella mai inteso di aggravare anche i conferenti del separato Consorzio di Bresega superiore al punto delle Botti Barbarighe?

   Sarebbe egli giusto, che il Consorzio di Bresega nello stato attuale delle cose concorresse alle spese incombenti ai fondi del comprensorio di S. Giustina?

   Quantunque la Presidenza di Bresega non si potesse persuadere tale essere stata l’intenzione della Presidenza di S. Giustina mal grado [sic] le generali espressioni usate in desso avviso che tutti colpirono i campi indistintamente dalla Bova Badia sino alle Botti Barbarighe, ciò null’ostante le fu forza convincersene dietro le rimostranze e le querelle [sic] de’ suoi amministratori i quali rilevarono dal Revisore Consorziale di S. Giustina in Rovigo che pur troppo anche essi vi sono compresi.”

   Il documento continua osservando che il Consorzio Bresega non avrebbe rivolto

   “… i suoi rispettosi giusti reclami all’Eccelso G.G., se avesse potuto ravvisare, che la stessa Presidenza di S. Giustina non fosse per accogliere favorevolmente, ed approvare le ragioni sue ond’esserne esonerata.

   Il nessun uso che dalla Bresega si fa dello scolo di S. Giustina, l’abbandono dell’anteriore tronco denominato Bresega Vecchia, e la premenzione del medesimo come inoperoso, e frustraneo allo smaltimento delle acque di Bresega, resa pur’anche necessaria dai maggiori danni che a sé ne deriverebbero altrimenti dalle acque del Ceresolo più elevate di quelle di Bresega, gli aggravj cui la Bresega ella sola deve portare nel mantenimento in separato dello scolo fatto con enorme dispendio nell’anno 1785 denominato Bresega Nuova per pesi particolari ai quali dessa è annualmente soggetta, son queste le ragioni, oltre a molte altre che si omettono per brevità e che già note sono alla Presidenza di S. Giustina le quali trovarono efficacemente l’esenzione della Bresega dalle spese credute necessarie. Ben’essere [sic] (= benessere ) sui fondi del Comprensorio di S. Giustina. E invano si cercherebbe d’informare con allegare l’invalsa consuetudine in contrario, di cui si abbusò [sic] specialmente in un tempo che si è creduto di confondere e ammalgamare [sic] gli interessi tutti che imposti tra loro dei diversi consorzi, disordine al quale la prelodata autorità  dell’Eccelso G.G. pose rimedio, richiamando in vigore gli antichi separato comprensori.”

    Il documento si conclude quindi con l’invito al Consorzio di S. Giustina a tener conto dei “plausibili motivi” che inducono il Consorzio Bresega a rifiutare i nuovi oneri previsti con l’ “avviso” del 1814 e pertanto “ … voglia disporre a far sì che resti liverato [sic] (= liberato) dal nuovo gettito il Consorzio della Bresega che l’attuale Presidenza della medesima soprasiedono ancora dal reclamare.

   Se poi si volesse a tutto costo aggravare, indescussamente (= indiscutibilmente) condotti dal dover loro, protestano che senza ulterior ritardo invoccheranno [sic] la Giustizia dell’Eccelso G.G.

   La Presidenza di S. Giustina si compiacerà di un qualche pronto riscontro e riconoscere in questo contegno un novello attestato di quella stima, che gli attuali Presidenti della Bresega si preggiano [sic] di protestare e innalzar lagnanze”.

Giuseppe Salvagnini Angelo…? G. De Rossi

(1) “Ritratto” (termine raro) o “retratto” significa terra paludosa bonificata e recuperata all’agricoltura. 

La prima pagina della lettera di protesta inviata dal Consorzio Bresega al Consorzio di S. Giustina, datata 27 novembre 1814

 

 

L’Atto pubblico rogato dal notaio Giuseppe Cecchini nel 1876 sulla “somministrazione delle macchine a vapore del Consorzio Bresega”.

 

La prima pagina del “Contratto di compravendita Regnando S.M. Vittorio Emanuele II”, del 5 giugno 1877.

 

 

 

 

La parte iniziale della lettera di Guglielmo Strudthoff a Enrico Foster, datata 21 luglio 1877

 

 

 

 

“Materiali” e “spese” per la costruzione dell’idrovora di Voltascirocco

 

 

   Fra le numerose carte del Direttore dei lavori, ing. Tommaso Morandi, si sono trascelti alcuni documenti molto interessanti, relativi ai materiali usati per la costruzione dell’idrovora,  alle ditte che li fornirono, e alle spese sostenute dal Consorzio. Cominciamo con il “Materiale consegnato alla Presidenza Bresega” dalla Ditta Costante Turolla di Bottrighe nel 1876 (Cfr. Archivio del Consorzio di Bonifica Polesine Adige Canal Bianco di Rovigo, Busta 8, Fascicolo delle carte del Direttore dei lavori, ing. T. Morandi):

 

“ Pieroni      Migliaia 610000 a £ 23    Impegnate               £ 14030

  Coppi              “          34000 a £ 23                                   £  1242

  Tavelle            “          46500 a £ 12                                   £    558

  Calce         quintali       3126 a £ 3:10                                £  9693.36

  Pietre piccole               6000  a £ 12                                          72

                                                                                            ………….

                                                         £  25 595. 36

 

Saldo ricevuto dal Sig. Vicenzo [sic] Casalini £ 3000

Saldo ricevuto dal Sig. G.B. Salvagnini  £ 19159 £ 24159

                                                                                  …….

                1436.36

Detratte le £ 164.36

… aveva a saldo                                                        164.36

                                                                                   ……..

                                                                                  1272:00

Bottrighe Li 7 Settembre 1876   Costante Turolla

 

La fattura della Ditta Costante Turolla

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dal Numero dei “Pietroni forniti al Consorzio dello scolo Bresega”

 

 

 

 

 

 

Dal Prospetto dei Pagamenti a varie ditte per  “somministrazione” di materiali

 

 

3. Alla Ditta Turolla Costante a) Per somministrazione di laterizi e calce come risulta dalla liquidazione 10 Decembre [sic] 1876_____________£ 26266:98; b) Per somministrazione laterizi e calce come risulta dalla liquidazione 19 Febbrajo 1877___________________£ 1678:04 [totale] 27944:99.

 

  1. Alla Ditta Fratelli Papadopoli e per essi al Sig. Carlo Bisinotto, a) Per somministrazione pietre cotte, come risulta dalla liquidazione 10 Decembre [sic] 1876________________16850:00; b) Per ulteriore somministrazione pietre cotte giusto la liquidazione 19 Febbrajo 1877___________£807:00, c) Per cessione di due casolari di muro e canna; per occupazione temporanea e stabile di fondo, come risulta dalla liquidazione 10 Marzo 1877___________£6428:50, [totale] 23800:00.
  2. Alla Ditta Luigi Sacchetto. a) Per tutti i lavori eseguiti dietro autorizzazione del Comitato Esecutivo dei quali dettagliatamente fa cenno la liquidazione 19 Febbrajo 1877_________£ 83781:95; b) Per somministrazione lastre di vetro applicate alle diverse invetriate della casa e stabilimento giusta la liquidazione 19 Febbrajo 1877____________£ 180; c) Per somministrazione legna e formazione della cinta dell’area destinata pel deposito materiali________________£ 80.[Totale] £ 84011:75. Complessive £ 152980:19.
  3. Alla Ditta Passerella Giovanni. a) Per somministrazione metri cubi 140:68 sasso di Battaglia giusta liquidazione 16 settembre 1876____________£ 194?:38.b) Per trasporto del legname acquistato da Cadorin a Venezia come da Rapporto N. 1784_____________£ 680; c) Per trasporto di legnameb e pietre reffrattarie [sic], acquistate da Manzoni a Venezia, come da rapporto N. 1777_________________£ 200 [totale] £ 2821:38.
  4. Per giornate N. 175 e ½  di tagliapietre per lavori inerenti alla montatura della macchina in base al rapporto 6 Gennajo 1877 N. 1802_____________£ 87750
  5. Alla Ditta Ortetti Stefano pella costruzione del parafulmine, ferramenta ecc. come da liquidazione 10 settembre 1876_________________£ 485.
  6. Alla Ditta Fioravanti Sebastiano per somministrazione si tutta la ferramenta occorsa nelle fabbriche come da fattura 4 Febbrajo 1877________________£ 3150
  7. A Tortello Fausto per scarico delle barche di legname e pietre reffrattarie [sic] come da liquidazione 10 settembre 1876__________£ 140. A riportarsi £ 16045:07.

 

 

 

 

 

Il Prospetto dei pagamenti dell’ing. T. Morandi, Direttore dei lavori.

 

 

 

 

 

 

 

Note

 

1) F. A. Bocchi, Il Polesine di Rovigo, Ristampa anastatica dell’ediz. Milanese del 1861, Sala Bolognese, Forni, 1975, pp. 17-18.861, Sala Bolognese, Forni, 1975, mpa anasri di modernizzazione, in N.

 

2) F. A. Bocchi, Il Polesine…, op. cit., p. 18.

 

3) F.A. Bocchi, Il Polesine…, op. cit., p. 155.

 

4) A. Lazzarini, L’agricoltura polesana a cavallo di secolo: fattori di modernizzazione, in N. Badaloni, G. Piva e il socialismo padano-veneto, a c. di G. Berti, Rovigo, Minelliana, 1997, pp. 31-44.

 

5) C. Bullo, Sulla radicale bonificazione della parte di Polesine posta fra l’Adige e l’Adigetto, e di porzione del territorio di Loreo, Cenni dell’ing. C. Bullo, Tipografia di A. Brotto, Chioggia, 1870, p. 5.

 

6) Archivio del Consorzio di Bonifica Polesine Adige Canal Bianco di Rovigo, Relazione sul Progetto di asciugamento artificiale meccanico del Consorzio Bresega, Busta 7.

 

7) C. Bullo, Sulla radicale bonificazione…, op. cit., p. 25. Il consorzio di S. Giustina risale alla prima metà del ‘500. Sulla storia del Consorzio cfr. M. Costantini, Il retratto di S. Giustina, in Uomini, terra e acque, Rovigo, Minelliana, 1990, pp. 121-130. B. Rigobello rileva che “… nel comprensorio [di S. Giustina] era anche il bacino di Bresega con un proprio scoladore; separatosi da S. Giustina, nel 1817 esso divenne consorzio autonomo…”. Cfr. B. Rigobello, Consorzi e retratti nel Polesine in età estense e veneziana, in Uomini, terra…, cit., pp. 112-113. La data del 1817 è discordante con quella del documento riportato in Appendice,  che fa risalire l’autonomia del Consorzio Bresega intorno al 1814.

 

8) Alla data del 15 gennaio 1915, secondo la relazione dell’ing. Luigi Crocco, il consorzio Bresega contava una superficie di  ettari 4900.000. 

Archivio del Consorzio di Bonifica Polesine Adige Canal Bianco di RovigoProgetto esecutivo per la bonificazione completa del Consorzio Bresega. Busta 9, pp. 1-3. Il progetto è dell’ing. Luigi Crocco, datato 15 gennaio 1915. In esso l’ing. Crocco  osserva che il progetto consiste “ … nella ripartizione del sollevamento delle acque in due salti, l’uno nella località chiamata Botti Barbarighe, l’altro nella località detta Volta Scirocco, presso lo sbocco dello scolo consorziale nel Canalbianco e nella seguente installazione di 3 ( tre) apparecchi idrovori sussidiari che saranno denominati… di Val Pilota, di Pontepassetto e di Ca’ Grimani. La superficie [conta] ettari 4900.000. Scola essa al presente tuta direttamente nell’unico cavo consorziale denominato Bresega… e termina nella Chiavica di sbocco nel Canalbianco nella località detta Volta Scirocco…”.

 

 

9) L. Contegiacomo, La meccanizzazione nei consorzi padani e polesani dal vapore alla elettrificazione, in La bonifica tra Canalbianco e Po, vicende del Consorzio Padano-polesano, Rovigo, Minelliana, 2002, p. 229, nota 52.

 

10) C. Garbellini, La bonificazione polesana dell’800 nelle leggi sulle acque e sui consorzi, in La bonifica tra Canalbianco…, cit., p. 180.

 

11) Archivio del Consorzio di Bonifica Polesine Adige Canal Bianco di Rovigo, Busta 7. Atto pubblico in data 11 Aprile 1876 Rogato dal Notaio Checchini Dott. Giuseppe da cui risulta La Convenzione pella Somministrazione delle Macchine a Vapore del Consorzio Bresega per parte dello Stabilimento Tecnico Triestino.

 

12) L. Contegiacomo, La meccanizzazione…, cit., p. 221 e p. 229, nota 49.

 

 

13) Archivio del Consorzio di Bonifica Polesine Adige Canal Bianco di Rovigo, Busta 7. Contratto di compravendita Regnando S. M. Vittorio Emanuele II per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’Italia. Copia del N. 51/1100 di Rep.° (= Repertorio) e N. 1921 del Reg.° Gen.e (= Registro Generale).

 

14) L. Contegiacomo, La meccanizzazione…, cit., p. 222, nota 6.

 

15) Archivio del Consorzio di Bonifica Polesine Adige Canal Bianco di Rovigo, Busta 8. Collaudo delle Macchine del Consorzio Bresega. [Di seguito, scritto a matita] Anno 1877 (19 Febbraio ).

 

16) Archivio del Consorzio di Bonifica Polesine Adige Canal Bianco di Rovigo, Busta 8.

 

17 Cfr. B. Rigobello, M. Cavriani, Lo sviluppo degli impianti idrovori nel Polesine e Veneto orientale, in Archeologia industriale del Veneto, Silvana, 1989, p.120.

 

18) Tutte le Tavole sono in Archivio del Consorzio di Bonifica Polesine Adige Canal Bianco di Rovigo, Busta 7.

 

19) L. Lugaresi, Una identificazione perfetta: “Transpadana ferrarese” e “Bonifica Bentivoglio” nei secoli XVI-XVIII, in La bonifica tra Canalbianco e Po, op. cit., p. 154.

 

20) B. Rigobello, L’idrovora di Campagna Vecchia Inferiore (Rovigo), in Archeologia industriale del Veneto, op. cit., p. 108.

 

 

 

 

 


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