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Giovan Battista Beretta storico ed erudito polesano del '700
Una delle fonti più
interessanti per la storia del Polesine è costituita dall'opera, ritenuta
perduta, di don Giovan Battista Beretta. Studioso infaticabile e vero cultore di
storia polesana, don Beretta ebbe nel corso ella sua esistenza scarse
soddisfazioni personali, anche se non gli mancarono autorevoli riconoscimenti di
eminenti intellettuali, quali Antonio Frizzi e Francesco Girolamo Bocchi. Con
quest'ultimo don Beretta intrattenne una fitta corrispondenza epistolare, che
oggi vale la pena di andare a rivisitare.
Don Beretta era nato a Papozze
nel 1735. Diacono nel 1757, in età matura si fregiò del titolo onorifico di
Professor humanarum litterarum, philosophiae et theologiae, come attestano i
documenti ecclesiastici all'epoca del suo trasferimento, sofferto ma tutto
sommato inutile, da Villanova Marchesana alla parrocchia di Cornacervina. Tale
"passaggio" fu fortemente voluto da don Beretta, che però immaginava foriero,
per sé e per la sua carriera di studioso, di ben altre soddisfazioni. Nel 1777
era divenuto parroco di Villanova Marchesana, ma in quel "borgo" immerso nella
campagna stava malvolentieri, perché la meta agognata, sognata, desiderata oltre
ogni dire era invece Ferrara, città in cui si vedeva a contatto diretto con quei
"dotti" della conversazione dei quali sentiva profondamente la mancanza. In
effetti, Don Beretta, oltre che essere dotato di una grafia bellissima [che si è
tentato di riprodurre nelle lettere al Bocchi], possedeva una cultura storica e
letteraria ( a quanto pare era anche autore di vari sonetti ) per quei tempi di
buon livello, come del resto si può facilmente intuire leggendo l'epistolario
che egli indirizzò a Francesco Girolamo Bocchi, al quale, in una prosa aulica e
ricca di riferimenti dotti, chiedeva insistentemente lumi e documenti per le sue
ricerche.
Don Beretta non raggiunse mai
Ferrara, perché il suo itinerario si concluse malinconicamente a Cornacervina,
ai primi di settembre del 1807. La sua opera, alla quale aveva dedicato tutto se
stesso scomparve con lui, finché, nel 1991, l'antico prete di Villanova
Marchesana ascese agli onori della cronaca erudita in un articolo di Bruno
Rigobello, che in quell'anno scoperse nell'Archivio Antico della Biblioteca di
Adria alcune lettere del Beretta indirizzate a Francesco Gerolamo Bocchi.(1)
Rigobello lamentava però la scomparsa delle opere erudite del Beretta, anche se
si diceva certo del fatto che "pur debbono esistere". In effetti B. Rigobello
aveva ragione: almeno una parte dell'opera di Giovan Battista Beretta non era
andata perduta, ma si era quasi nascosta e sedimentata nel luogo ad essa più
naturale, in una biblioteca. E non in una qualunque, ma in quella prestigiosa
di Ferrara. Sappiamo altresì da una delle lettere del Beretta a F.G. Bocchi, del
15 dicembre 1788, che egli scrisse anche una storia dei Principi Estensi,
che ebbe una benevola accoglienza anche da parte di storici del calibro di un
Baruffaldi, il quale, sulla scorta di un'altra lettera al Bocchi, del 17
febbraio del 1789, l'ultima testimonianza presente nell'Archivio Antico di
Adria, sembrava in amichevoli rapporti epistolari con Don Beretta, cui
raccomandava di riportare i propri complimenti al Bocchi per la sua opera a
stampa. Nella stessa lettera, Don Beretta assicurava il Bocchi di essere
letteralmente assediato dal Frizzi, che lo incalzava di spedirgli le nuove opere
a stampa dello stesso Bocchi. Comunque sia, ciò che all'Arciprete di Villanova
non riuscì mai, ovvero di raggiungere Ferrara, accadde per avventura a un suo
manoscritto, che venne catalogato dal famoso bibliotecario Antonelli.
Beretta Giambattista
Ferrarese Arciprete di Villanova Marchesana. Memorie varie relative a Villanova,
Corbola, Gavello e ai possedimenti dei Certosini di Ferrara oltre Po. Serie
degli Abbati [sic] di Santa Maria di Gavello. Nota dei podestà, vice podestà e
notai di Villanova. Memorie relative alla dedizione della città di Adria al
dominio veneto. Con documenti e annotazioni storiche. Manoscritto autografo del
secolo XVIII. Posto nella Costabiliana. Acquistato da F. A. Bocchi nel 1857.
Antonelli vergò di sua mano sul
Manoscritto le seguenti parole:
Di quest'opera e di queste
memorie parla il Frizzi nelle sue "Memorie".
Acquistato, secondo la nota citata, dal Bocchi nel
1857, il manoscritto concluse il suo errabondo itinerario nella Biblioteca
Ariostea, dove lo individuai, seguendo le indicazioni del Frizzi. Il quale,
venendo a discorrere intorno alla fastosa cerimonia voluta dal Duca Borso per la
fondazione della Certosa di Ferrara, e riportando alcune notizie su Villanova
Marchesana, volle ringraziare " il dotto e cariss. amico... D. Gio. Battista
Beretti (sic), che ivi era Arciprete". (2) Poiché il Frizzi asserì di essere in
rapporti di strettissima amicizia con il "dotto" arciprete, si suppone che
l'errore del cognome (Beretti anziché Beretta) fosse stato dovuto
a un disgraziato errore di stampa, in quanto esso suonerebbe per lo meno
irriguardoso nei confronti di un uomo che ci ha lasciato testimonianze tanto
interessanti sul Polesine medievale e moderno. Il manoscritto, che misura 10*16,
con copertina in cartone duro di colore marron scuro, non presenta numerazione
di pagine, ma solo i classici "riporti". Adottando, arbitrariamente certo, una
numerazione moderna, si conterebbero 60 pagine, senza la copertina. La grafia
corsiva, molto bella e chiara, è di mano del Beretta.
Si stralciano dal manoscritto
alcune lettere dei Marchesi e Duchi estensi ai loro podestà polesani ( Parte I,
pp. 1-4); la storia di Villanova Marchesana (Parte VI, pp. 51-55); la
"Donazione del Duca Borso alli Padri Certosini di Ferrara" ( Parte III, pp.
20-25).
Si riportano infine tutte le
lettere che Don Beretta scrisse a F. G. Bocchi presenti nell'Archivio Antico di
Adria (Busta 358. Fasc. 2c. Cfr. B. Rigobello, Dall'Epistolario di F.G.
Bocchi. Lettere di Giovanni Battista Beretta, in Note d'Archivio, n°
5, maggio 1991, pp. 21-23). La prima lettera, del 24 aprile 1787, porta sul
margine in alto a sinistra la seguente segnatura: 223 (41), sulla destra, sul
margine in alto il numero 30. La seconda lettera, del 7 maggio 1787, riporta in
alto a sinistra la segnatura 224 (42), in alto a destra il numero 33. La terza
lettera, del 15 dicembre 1788, porta in alto a sinistra la segnatura 225 (43) e
a destra in alto il numero 47. L'ultima, del 17 febbraio del 1789, riporta in
alto a sinistra la segn. 226 (44), in alto a destra il num. 53.
Lettere dei
marchesi estensi ai propri podestà polesani
I podestà al servizio degli Estensi non
erano uomini di particolare autorità nei piccoli borghi di campagna. Lo
testimoniano i salari, davvero esigui. A Villanova Marchesana, secondo le
ricerche di G. Folin, i podestà, nel 1547, e nel 1507, ricevevano un salario di
sole 10 Lire. Cfr. G. Folin, Note sugli officiali negli stati italiani del
'400. In Annali della Scuola Normale superiore di Pisa, s. IV, 1977,
pp. 94-154.
Lettera del Marchese
Azzo/
al Podestà delle
Papozze./
Azzo per Dio grazia d’Este, e d’Ancona/
Marchese, della città de Ferrara, de Modena/
e de Arezo (sic) Sig[no].r generale, al Podestà
nostro/
delle Papozze, salutem. Comettemo a tì qual=/
mente respondi, e faci rispondere alli Nobili/
de Quirini, de meleghe, et altri frutti delle terre/
poste nel fondo delle Papozze intromesse, et /
sequestrate apresso de te a requisition de Pietro/
Notario dei Grossi, non obstante dicta seque= /
stratione, et intromissione, et non
obstante /
la tenuta tolta per dicto Pietro, la qual te= /
nuta cassammo. Salvo ogni nostra ragione/
se trovessemo avere in ipse terre./
Dat[um] in Ferrara adì XI Agosto
dell’anno del/ *
Signore 1304./
*[Le stanghette
indicano gli a capo del manoscritto]
Si
tratta di Azzo VIII (m. nel 1308). Nella lettera Azzo ingiunge al suo podestà di
Papozze la restituzione di “meleghe” e “altri frutti” sequestrati a suo tempo
dal notaio Pietro dei Grossi ai nobili Quirini. Sulla presenza dei nobili
veneziani Quirini a Papozze, cfr. V. Lazzarini, Possessi e feudi veneziani
nel Ferrarese, Roma, 1958, (Estratto), pp. 215-17.
Lettera del M[arche]se
Nicolòal Podestà di Crispino/
Carissime
noster. Noi avémo determinato al tutto, che siano/
Observate ad unguem a questi Nobili de
Cà Quirini/
Veneziani le soi imunità (sic), et
exemptione, e pertanto/
volémo, e comandémoti che alli soi, che
abitano in le/
Papozze tu non li die gravezza alcuna
per la rata del/
tuo salario, anzi volémo, che tu non li
molesti per/
tal cagion in cosa alcuna se hai cara
la gratia nostra/
Niccolò III (m. nel 1441) impone al podestà
di Crespino di rispettare “ad unguem”, in pieno, le esenzioni e le immunità di
cui godono i Quirini a Papozze, e inoltre gli ordina di non molestarli in
futuro.
Lettera del sig[n]or M[arche]se
Leonello a M.[esse]r Tomaso Quirino
Sp[ectabi]lis et generose Amice noster
Dilect[issi]me.
Nui avémo avemo riceùta vo=/
stra lettera, et inteso el tenor, vi
dicémo che per ora non ce /
pare de rimovere el nostro castaldo
delle Papozze, per=/
ché el ridonderìa a tropo (sic)
disconcio e danno, ma chel dia/
molestia, et angarìa alli vostri
lavoratori sìati certo che/
le contra nostra saputa, e contra la
voglia nostra, /
e scriverémoghe in forma che non li
tracterà si possa =/
no iustamente dolere, parati ad
beneplacita vestra./
Datum Fossadalberi a 28 de Augusto
1442.
Lettera del Duca Borso a M.[esse]r Pietro Quirini
Sp[ectabi]lis
et Amice noster direct[issi]me.
Avemo riceùta la vostra/
lettera, et rispondémovi,
che se fareti avere ricorso /
alli nostri generali factori,
lori vi faran fare el mandato/
secondo usanza per el mandar
fuori li vostri ricolti, per= /
ché cusì a quelli abbiamo
commesso. Alla parte de /
Mercadello el ni fa
intendere che lo ha molto bene /
obedito le nostre
comissione, et che l’ha consegnate /
le biade, et solam[en]te
ritenute le semente./
Da Consandolo a 8 de Feb.[ra]ro 1471.
Il notissimo Duca Borso
scrive al nobile Pietro Quirini di aver
dato disposizioni ai
suoi fattori di permettere che le biade
possano essere esportate
fuori dal feudo. Al duca pare
che ilsuo fattore
Mercadello abbia ben eseguito gli ordini,
consegnando al Quirini
le biade e trattenendo per conto del Duca
le sementi.
Lettera del Duca Ercole
A M.[esse]r Pietro
Quirini.
Sp.[ectabi]lis Amice noster
dilect.[issi]me. Per satisfare al vostro desiderio/
siamo contenti che vui
possiate oselare a sparviero/
per vostra ricreatione, ma sì
che bene vi confortiamo/
a usare questa licenza da
zentilomo, et per piacere, ma/
non per beccarìa, perché invero
per lo passato se arìa/
possuto usare più discrezione
et gentilezza in questo/
che non è usata. Ulterius siamo
contenti, che M.[esse]r/
Pietro da Molino possa venire
alle Papozze, e che gli /
gli dagati alloggiamento,
come anche scrivemo a Lui, et/
cusì ancora scrivemo al
capitanio delle Corbule, chel lassi/
passare, et venir suso con la
sua famiglia, et roba./
Al nostro Podestà de Crispino
scrivemo ancora perché el/
sia aggravato per lui
sumarie. Li vostri debitori/
ad ogni vostra istantia o de
vostro comesso o Pro=/
curatore. Appresso abiamo
(sic) comesso siano restituiti li/
pigni tolti alli lavoratori
de vui Quirini per lo terra=/
dego della Pelosella, et bene
valete./
Ferraria (sic) a
8 de Agosto 1478./
In questa interessante
missiva a Pietro Quirini il Duca Ercole si
lamenta con il proprio
interlocutore per varie ragioni. Anzitutto lo
invita a una maggiore
prudenza: è pur vero gli si è permesso di
"oselare a sparviero",
ossia di cacciare con lo sparviero nelle terre
ducali, ma non "per
beccaria", ovvero per fare macellare la
cacciagione. Per
siffatta ragione il Duca invita il Quirini a
comportarsi da
"zentilomo". Il Duca avverte inoltre che sta per
giungere a Papozze
Pietro da Molino, con tutti i suoi servi e le
sue "robe". Il
mantenimento del da Molino nonché di tutta la
"famiglia" dovrà essere
a carico del Quirini e del "capitano
delle Corbule". Si
osserva che l'aggravio potrà essere in futuro
recuperato attraverso il
podestà di Crespino, che si rifarà sui
debitori del Quirini. Il
duca Ercole
conclude la lettera con
una
buona notizia: i Quirini
saranno in futuro sollevati dei pegni
che hanno i loro
lavoratori a Polesella.
storia di
VillanovaMarchesana
Terra sempre ben popolata e felice
L’origine di Villanova s’ignora; ma
conta certamente molti secoli. Innanzi al mille non se ne trova alcuna
memoria. Dopo il mille se ne [h]anno le seguenti notizie.
Nella Storia di Ferrara di
Gasparo Sardi (a) si manifesta, che quando circa il 1167 avvenne la Rotta del Po
in Ficheruolo, la qual fu detta Rotta Sicarda per esserne stato l’autore
un certo Sicardo, le acque di quella Rotta scesero per lo Canale de’ Buoi a
Villanova (a) Lib. II pag.30.
Nell’Archivio d’Adria si legge, che
sin dal 1181, o in quel torno, Cornacervina, Ariano, Trecenta, Villanova,
Figarolo, ed altre terre del Ferrarese corrispondevano annualmente alla Santa
Romana Chiesa certe rendite, che a quella età si denominavano Arimannia,
Publicum.
Questa voce Arimannia viene
egregiamente spiegata dal Celebre Giambattista Verci di Bassano nella sua
Storia degli Eccelini.
Ne’ Privilegi stampati di Canalnovo si
viene a sapere, che nel 1359, mentr’era Sig. di Ferrara il Marchese Aldobrandino
III; e nel 1383, mentre comandava in Ferrara il Marchese Nicolò II, il Comune di
Villanova era tanto forte, che suscitò più volte una lite acerrima contro il
Comune di Canalnovo, e contro gli stessi abati di S. Maria di Gavello, li quali
allora eran Padroni di Canalnovo, e sì per le ricchezze, che per l’autorità
erano possentissimi, pretendendo il Comune di Villanova d’obbligare il comune di
Canalnovo a sottostare a tutti gli aggravi pubblici, alli quali eran soggetti
gli abitanti di Villanova; e per sedar quella lite dovettero i suddetti Abati di
Gavello far parecchj ricorsi caldissimi alli predetti Estensi Marchesi, li quali
in fine sentenziarono a favore de’ mentovati Abati, e del Comune di Canalnovo.
Ne’ Rogiti, che si conservano
nell’Archivio d’Adria, si scopre, che fin dagli anni 1353, 1370 e 1372, avea
Villanova i suoi nativi pubblici Notai, e questi erano Tommaso di Bonmatteo,
Bonmatteo di Tomèi, e Bomarco di Tomèi.
Nella serie da noi già descritta de’
Podestà, Vice-Podestà, e Notaj di Villanova, si vede, che Villanova sin dal 1431
tenea li suoi Podestà, Vice-Podestà, e Notaj regenti, e gli ebbe, finché in
Ferrara dominarono gli Estensi Principi. Questo fatto dimostra, che Villanova
era a que’ tempi un Paese di notabile considerazione. Imperciocché li Podestà
eran per lo più di nobile stirpe, non si davano che ai ragguardevoli Paesi, e a
quei Podestà si conferiva dal Principe una grande, ed illustre autorità, e alla
loro giurisdizione si assoggettavano molti altri Paesi circonvicini, come
impariamo dagli Statuti di Ferrara. Quindi è, che dal Marchese Nicolò III,
Signor di Ferrara nel 1431, al Podestà di Villanova fu sottomesso il Paese delle
Papozze, quando questo per le guerre occorse tra i Ferraresi, e i Veneti a
quella stagione fu staccato dal territorio d’Adria, e nello stesso Ferrarese
incorporato.
Se conservate si fossero le memorie
de’ tempi più antichi, che questi nostri Paesi riguardavano, egli è credibile,
che anche assai tempo innanzi al 1431 avesse Villanova i suoi Podestà, ed oltre
alle Papozze tenesse altre Ville soggette alla sua Podestaria, le quali ora
s’ignorano.
Che fosse Villanova a’ tempi antichi un Paese considerabile di molto si può
eziandio dedurre dalla sua molto estesa Parrocchia. Imperciocché questa di
presente abbraccia tre comuni, cioè quel di Villanova, quel di Canalnovo, e quel
di Berra, e si estende pure per gran tratto nel territorio d’Adria alla parte
settentrionale. Anticamente era ancora più vasta, dappoiché comprendeva
parimenti tutta la terra di Gavello, e il Borgo oggi chiamato Agujaro presso
Crespino. Nel 1514 fu smembrata parte della Parrocchia di Villanova, e ne fu
formata la Parrocchia di Gavello, com’esiste al presente, con obbligo però
perpetuo al Parroco di Gavello di servire ogn’anno ne’ divini misterj al Parroco
di Villanova nella solennità dell’Assunzion di Maria, Festa sua titolare, e di
tributargli pure ogn’anno in quel giorno un Cereo d’una libbra in segno della
sua filiazione. La chiesa di Villanova sin dal 1559 fu creata chiesa
Arcipretale, ed è ben di tal titolo meritevole per l’estension già annunziata
della sua giurisdizione, per la sua antichità sin da tempo immemorabile, pel
numero delle sue anime, che è di tremila in circa, e per avere da ultimo
un’altra chiesa Parrocchiale sua figlia, qual è quella già mentovata di Gavello,
e suoi oratorj pubblici, e ragguardevoli nel suo Comprensorio.
Nel principio Villanova fu detta
semplicemente Villanova, prendendo il nome dalla novità della sua
fondazione. Dappoi fu chiamata Villanova de’ Burgelli per certi Signori
Burgelli, che della maggior parte se ne impadronirono. Nel 1418 incominciò a
denominarsi Villanova Marchesana, perché in tal anno passò in potere del
Marchese Nicolò III Signor di Ferrara.
Nella sua origine Villanova stava
compresa nel territorio d’Adria, e vi stette, con varie vicende però ed
interruzioni, sino al 1517, nel qual anno il Duca di Ferrara Alfonso I cedette
la Città, e il territorio d’Adria alli Veneziani per far con essi la bramata
pace dopo molte guerre da lui, e dai suoi antecessori Estensi Principi sostenute
contro la Veneta Repubblica per lo Polesine di Rovigo, e dominio d’Adria,
ritenendosi il predetto Duca Alfonso dell’Adriese territorio per sé unicamente
la terra delle Papozze e quella di Villanova, Canalnovo, e Crespino, li quali
luoghi tutti eran certamente una volta nel territorio d’Adria contenuti, come se
ne [h] anno legittimi documenti nell’Archivio d’Adria..
Villanova giace in piano, aprico, e
fertile suolo su la sinistra sponda del Po. Tra il mezzodì e l’occidente ha la
città di Ferrara 26 miglia distante: tra l’occidente e il settentrione ha la
città di Rovigo 12 miglia lontana: e tra il settentrione e l’oriente ha la città
d’Adria in distanza di sole otto miglia. La sua lunghezza maggiore dall’oriente
all’occidente ad otto miglia si protrae; e la sua maggior larghezza dal mezzodì
al settentrione a quattro miglia si estende.
Nel temporal suo governo dalla città
di Ferrara dipende, e nello spirituale suo reggimento dal suo principio fino ad
ora al Vescovo d’Adria è soggetta.
Tre sono i principali suoi presenti
posseditori; l’Abbazia di S.Maria di Gavello, la Casa Fantuzzi Nobile Patrizia
di Ravenna, e di Ferrara, e la Certosa di Ferrara. Eglino vi [h]anno fabbricate,
e vi mantengono molte e molto ampie, e cospicue abitazioni, che fanno onore al
Paese, e prestano agli abitanti un comodo ed utile albergo, ond’è la terra
sempre ben popolata e felice.
La Donazione
del Duca Borso
Nel giugno del 1461
il duca Borso, con una cerimonia imponente per presenza di notabili e di
funzionari laici ed ecclesiastici, dopo una solenne messa officiata dal vescovo
di Forlì, donava ai certosini di Ferrara, a titolo dotale e perpetuo, una
congrua serie di petie di terra poste nel districtus di Ferrara:
si trattava di appezzamenti abbastanza vasti di terre arative, vineate, prative
e boschive situate in terre di bonifica tra Rovigo e Adria, lungo l'asse che da
Crespino, attraverso Villanova Marchesana e Papozze, porta fino a Corbola.
Non è qui nostra
intenzione riprendere il discorso intorno alle bonifiche estensi e veneziane,
già trattato da studiosi eminenti e sulla scorta di eccellenti documentazioni,
anche se, avendo a che fare con il Duca Borso, il cui simbolo gentilizio era il
paraduro [sorta di palizzata lungo gli argini], è giocoforza parlarne
sia pure di straforo. Il nostro vero intento è quello di forzare un po' il
documento borsiano nel tentativo di farlo parlare al di là delle cose che egli
dice, per ricostruire sulla base degli elementi che esso ci fornisce, il mondo
di quei "laboratores" che si trovarono a sudare sulle terre che il duca donò ai
certosini di Ferrara.
Dicevamo poc'anzi
che è difficile parlare di Borso senza accennare alla sua ideologia della
bonifica, anche perché, senza tale supporto, non si comprenderebbe il senso
della sua donazione.
Come è noto, la
signoria estense era molto disomogenea per territorio e il controllo del contado
era estremamente difficile. Le necessità annonarie però erano talmente pressanti
da costringere i duchi d'Este a concessioni feudali, a permute o a donazioni che
indubbiamente mettevano in crisi il controllo ducale, che spessissimo doveva
scendere a patti con gli stessi beneficiari delle terre, con grave danno del
patrimonio familiare. Le necessità annonarie di Ferrara, come dicevamo,
costringevano però i duchi a correre il rischio. La messa a coltura di nuove
terre, attraverso la concessione di esse a monasteri, era costume
consuetudinario in varie parti d'Italia, e il duca Borso lo inaugurò con tutti i
crismi anche per la sua casata. Proseguita poi la lotta contro l'incolto in
maniera massiccia dai suoi successori, il fenomeno divenne talmente imponente da
far diventare Ferrara un vero e proprio Principato idraulico, per usare
un'azzeccata espressione di Carlo Poni. Non altro che un'accorta politica
territoriale e annonaria fu quella che spinse il duca Borso alla donazione ai
padri certosini nel 1461.(3) Sotto il linguaggio paludato, fortemente solenne e
giuridico di essa, si cela il vero intento di Borso, "nei cui occhi si trasfonde
Dio Stesso". Sta di fatto che, a parte l'indubbia ammirazione di Borso per
l'ordine certosino, manifestato sin dalla giovinezza, a un certo punto si dice
che il duca pose, all'atto della donazione, "umanissimamente le sue mani in
quelle dei padri certosini". L'imposizione delle mani era infatti atto di
investitura feudale. Come ci ricorda Duby, Luigi IX, all'atto della
donazione si compiacque di mettere le sue mani in quelle dei padri.(4) E' quindi
evidente che Borso "infeudava" i suoi beni nella transpadana ferrarese, ben
conscio che il suo potere sul districtus non avrebbe subito almeno per il
momento, dimidiazioni di alcun tipo.
Stabiliti i reali
contorni politici della "donazione", veniamo ora alla parte che ci interessa più
da vicino. La donazione è invero estremamente meticolosa e precisa nell'indicare
le varie petie di terra, che in tutto sono circa una sessantina, ma ciò
che è interessante rilevare è che essa riporta i nomi di numerose campagne, nomi
che a tutt'oggi, per gran parte sono stati mantenuti, e che costituiscono una
fonte toponomastica di prim'ordine per capire l'origine "idraulica" e
"paludistica" delle nostre terre. Buono è altresì il documento sotto il profilo
antropologico, in quanto vengono menzionati i nomi di alcuni possidenti,
particolari tipi di colture e strutture abitative.
Inizieremo la
nostra indagine con l'individuazione di alcuni luoghi menzionati. "Item" è
termine che stava appunto a indicare una serie o un elenco di beni mobili e
immobili. Il documento in questione è redatto in latino. Esso viene presentato
in traduzione:
Omissis
Gastaldaria di
Villanova Marchesana,
proprietà del predetto Duca, divisa, come è detto sotto, in dieci possessioni
con cortili, dal Signore di cui un tempo era gastalderia e di cui alcuna parte
si trova nel distretto di Ferrara e altra parte nella Diocesi e nel Distretto di
Adria. In primis un cortile padronale, con una casa murata, con
coppi, ma plana e con un'altra casa murata, cupata et solevata.
Omissis
Item un cortile
casamentivo
di quattro
case di canna, con una casetta da forno, con corte, aia, pozzo, orto e forno.
Item una pezza
di terra
aratoria di tre moggi
e due staia circa, detta La Pezza de Casa, vicino al polesinetto
infrascritto, ecc.
Item una pezza
di terra aratoria
di un
moggio, staia due circa, detta El Maso, vicino al canale di detta
possessione, accanto al prato chiamato Valanzenina, ecc.
Item una pezza
di terra
chiamata La
Fassina, aratoria, di tre moggi e tre staia circa, vicino al pezzo di
terra chiamato La Pezza de casa.
Item una pezza
di terra aratoria
di un
moggio e dieci staia circa, chiamata La Ferrarina, vicino
alla sopraddetta pezza, chiamata La Fassina, vicina a un'altra pezza
chiamata La pezza de Casa.
Item una pezza di
terra
chiamata La Braia, aratoria, di tre moggi circa, con dieci etc.
Item una pezza di
terra
chiamata La Barbiera, aratoria, di diciotto staia, etc.
Item una pezza di
terra
chiamata El Polesenetto...de drè da le vigne, di circa cinque staia
Item una pezza di
terra aratoria,
di tre staia, chiamata Li Polisiniti, vicino alla strada del comune e
intorno al canale.
Item una pezza de
terra aratoria
chiamata Lanzellina,
di undici staia circa, etc.
Item una pezza di
terra aratoria
chiamata La Brajola
de le Vignole, di venti sta
ia etc.
Item una pezza di
terra
chiamata Valenzenina, di quattro stadi di prato circa, vicino al canale,
etc.
Item una pezza di
terra prativa,
di dodici staia in
tutto, con una strenna di salici, etc.
Item una pezza di
terra a vigna, di tre miglia circa, aratoria,
di uno staio e mezzo,
detta El Polesine de Casa, etc.
Item un cortile
casamentivo di due case di canne,
con corte, aia, orto
e forno, posto nel detto fondo di Villanova. etc.
Item una pezza di
terra aratoria, prativa e saliciva,
aratoria per quindici
staia in tutto o quasi.
Item una pezza di
terra vineata di tre miglia circa,
detta Le Vignole,
etc.
Item una pezza di
terra prativa,
di quattro staia
circa, detta Li Dossi, dentro dalli arzeni, etc.
Item un cortile
casamentivo,
di quattro case di
canna, con corte, etc.
Item una pezza di
terra prativa,
detta Li Dossi,
di due staia e mezzo.
Item un cortile
casamentivo di tre case di canna, con corte, aia, etc.
Item una pezza di
terra aratoria , vineata e a pergole,
aratoria per tre moggi
e sette staia circa.
Item una pezza di
terra aratoria,
di quattro moggi,
quattordici staia , sei a prato circa, cui è dato il nome di La pezza da Prà.
Item una pezza di
terra aratoria,
di un moggio, undici
staia circa, chiamata Lanzelina.
Item una pezza di
terra aratoria,
chiamata La pezza
de chò de La Braja, di tre moggi e due staia circa.
Item una pezza di
terra aratoria e, per quanto in minima parte, anche da far legna, una volta
chiamata La
Navilia, un tempo piccolo e grazioso prato di cinque moggi e quattordici
staia, vicino al canale detto La Goresna.
Item una pezza di
terra vneata, di cinque miglia circa.
Item una pezza di
terra prativa, di tre giornate di lavoro,
chiamata Li Dossi, fra gli argini.
Item
un cortile con casa grande, di quattro case di canna, con corte, aia, orto e
forno; terreno aratorio di sette moggi e di tre staia circa, vineato per due
miglia, prativo, di tre giornate di lavoro circa, da legna per una certa
quantità, accanto alle pezze descritte; ci si collega alla "rotta grande"
attraverso un canale navigabile detto La Golesena: Paolo de Amati ( si
collega alla "rotta")attraverso la Goresena e Cristoforo Pavano attraverso la
stessa Goresena.
Item una pezza di
terra aratoria,
di cinque moggi, di dodici staia circa, di una giornata di lavoro, chiamata
La pezza de la Braja.
Item una pezza di
terra aratoria,
di dieci staia circa, a vigna per due miglia circa, da legna per una certa
quantità, chiamata La Ceghina.
Item una pezza di
terra prativa fra gli argini,
di tre giornate di lavoro circa, ivi detta Li Dossi dentro dali arzeni.
Item un cortile
casamentivo,
di quattro case di
canna, con corte, aia, orto, forno e pozzo, aratorio di dodici moggi e
diciassette staia circa.
Item una pezza di
terra aratoria,
di venti staia circa,
ivi detta Li dossi dentro da li argini, accanto agli argini dei dossi di
Cuorcrevà, uniti ecc.
Item un cortile
casamentivo,
di quattro case di
canna, con corte, ecc. E questa possessione è posta nella diocesi e nel
distretto di Adria, e sopra vi abita come lavoratore Cristoforo Crepaldi.
Item una pezza di
terra aratoria,
di undici moggi circa,
prativa, di cinque giornate di lavoro circa.
Item una pezza di
terra aratoria,
di sei staia circa,
chiamata El Poleseneto.
Item una pezza di
terra aratoria,
chiamata Scorzolo,
di quattro staia.
Item una pezza di
terra vineata,
di quattro miglia
circa.
Item una pezza di
terra aratoria,
di un moggio e sedici
staia circa, prativa, di quattro giornate di lavoro circa, ivi detta Li
Dossi.
Item un cortile
casamentivo,
con tre case di canna,
con corte, ecc.
Item una pezza di
terra aratoria,
di nove moggi e undici staia circa, prativa, di due giornatee mezzo di lavoro.
Item una pezza di
terra prativa e bassa,
ivi detta Li Dossi,
fra gli argini, di sette giornate circa di lavoro, vicina agli stessi
argini, unita ecc.
Item una casa
grande, con
quattro case di canna, con corte, aia, ecc.
Item una pezza di
terra aratoria,
di due moggi e due
staia circa, da legna, ecc.
Item una pezza di
terra aratoria,
di quaranta staia
circa, detta La Sorda, ecc.
Item una pezza di
terra vineata,
di due miglia circa,
detta La Vigna.
Item una pezza di
terra prativa,
di due giornate di
lavoro circa, ivi detta Li Dossi verso valle, ecc.
.
Nota.
Secondo un documento
pressoché contemporaneo, 20 stara corrispondono circa a 2 ha; e 10 moggia a
circa 20 ha.
Lettere di
Giovan Battista Beretta a F. G. Bocchi.
Ill. Sig. Sig. P.[at] ron Col.[endissi]mo
Solamente domenica mattina ebbi l'onore e
il
piacer sommo della lettera di V.S.
Ill.ma, che mi
recò il prezioso dono delle sue rare
scritture.
Gliene rendo tutte quelle grazie, che
posso
maggiori. Vorrei potergliene dimostrare
meglio
che con nude parole la vera mia infinita
riconoscenza. Ella però de' suoi favori
non
vuole altra mercede, che il piacer di
farli.
Questa è la mia maggior sorte. Altrimenti
sarei un debitor non meno impotente, che
confuso all'estremo. Eppur ardisco di
sempre
più aggravarmi con essolei di debiti? Sì
lo
ardisco, perch'ella colle sue
instancabili offerte me
me ne
inspira il coraggio. Dunque imploro altri
suoi
pellegrini documenti, che posson servire
alla
mia storiella, la qual non sa dare un
passo ne'
secoli più remoti, se ella non le porge
lume.
Di sotto al 1420 non ho alcun parroco
noto;
come non l'ho nemmeno dopo il 1420 sino
al
1488. Mancami anche il nome di quei, che
furono
dopo il 1521 sino al 1569. Se ella per
avventura
svolgendo il gran caos del suo Archivio,
che forse
è più tenebroso di quello di Dante,
s'avviene ne'
detti vacui miei tempi in qualche mio
parroco, lo
tragga alla luce, e facciamlo rivivere
fuor del
fiume leteo. Usi pur tal carità a' miei
podestà
più antichi del 1400, e più giovani del
1588, se
ne rinviene alcuno, a cui il tempo abbia
perdonato.
Oh quanto mi son piaciuti i due
sonetti del
cieco di fronte, e tanto illuminato di
mente
Luigi Groto seniore in lode del mio
antecessor
Marco Sacchetti! Non sono solo io amico
delle
oneste Muse alla guardia di questo
tempio. Se
ella vede, che ci sia qualche cosa di
buono nel
Processo dell'accennato Sachetti, e del
suo
popolo con Alessandro Santi per la
riedificazione
della chiesa nel 1596, e non le incresca
di farmelo
vedere, mi sarà carissimo.
Il successore di D. Giovanni Tori
immediato a questa chiesa fu un certo D. Antonio Caravieri, per quanto trovo, ma
confusamente, tra i miei libri. In Crespino da gran tempo v’è la famiglia
Caravieri, e forse sarà stato anch’esso di Crespino, circa il 1588. Prima però
d’esser Parroco di questa chiesa, ne era Curato, e Vicario fin dal 1571. Eccole
i lumi, che posso darle di questo soggetto, richiestimi da Lei a meglio
dichiararlo. Riconosco dalla sua bontà, e non dal mio merito derivato al gentil
compatimento donato alle mioe rime, e prose, che ànno osato di comparirle
davanti in veste ahimé troppo disadorna. Mi do l’onore di spedirle da leggere
gli stampati Privilegi di Canalnovo, e delle Papozze, de’ quali Ella mostrò
desiderio. Forse da questi potrà pescar qualche notizia degli abbati di Gavello.
La prego di far tener sicura l’acchiusa mia lettera colle L. 15:15 al suo
termine, e di condonarne il disturbo. Pregola pure dell’altra lettera al Sig.
Giuseppe Giulianati. Della mia Ferrara non so dirle altro, se non che il
Preside, che la governa, è amato insieme, e temuto da tutti. Omne tulit
punctum qui miscuit utile dulci: disse Orazio per regola universale. Io
sono intanto, e sarò sempre col maggior ossequio
Di V.S. Illustrissima
Umilissimo Devotissimo obbligatissimo
Servitore Giovan Battista Beretta
Di Villanova Marchesana 24 Aprile 1787.
Illustrissimo Sig. Signor Patron
Colendissimo
Ecco la mia risposta
alla ricerca fattami da V. S. Illustrissima sopra il noto storico punto; ma il
soggetto al suo più illuminato sapere, e più profondo criterio, e dico solo il
mio debil parere per aver qualche merito d’ubbidienza. Nel 1521 Il Papa leone X,
guerreggiando contro di Alfonso III di Ferrara, e non potendolo vincere
a suo talento, per ottener con le armi spirituali quel che non avea potuto
ottenere con le armi corporali, pubblicò contro di Lui, e de' suoi fautori un
fierissimo monitorio di scomunica, e sottopose all'Interdetto la città si
Ferrara. Di ciò ne fanno fede, per tacer di molt'altri, il Faustini nel Libro I
della sua Storia Ferrarese, il Guicciardino nel Libro XIV della sua
Storia ed il Muratori nelle sue Antichità Estensi Parte II. Cap. XI, e il
Bellini nella sua Storia delle monete di Ferrara alla Pag. 184. Secondo i
predetti storici i fautori dell'accennato Duca erano i Francesi, i Viniziani, i
Mantovani e molti altri di varj Paesi. Tra questi ve ne avea moltissimi del
Regno di Napoli, dove era molto cara, e stimata la Casa d'Este fin dal tempo del
Marchese NiccoloIII Signor di Ferrara, di Borso I Duca di Ferrara, di Ercole I
Duca II di Ferrara, e dello stesso Alfonso I Duca III di Ferrara. Anzi il detto
Ercole I nella sua gioventù per parecchj anni era vissuto alla Corte del Rè
(sic) di Napoli in grandissima riputazione, e tra i più favoriti dello stesso
Re. Veggansi su ciò tutti gli Storici Ferraresi, che ne parlano a lungo. Il
Muratori poi nel Cap. IX delle sue Antichità Estensi riporta un autentico
diploma, da cui si rileva, che Giovanni D'Angiò duca di Lorena, e Calabria nel
1460 donò al sud.[detto] Ercole Estense, e a' suoi Eredi, e successori la Contea
di S. Severino, e d'altri luoghi moltissimi nella Calabria in perpetuo per li
gran servigi prestati da esso Ercole al Re Padre del sud.[detto] Giovanni
d'Angiò etc. Or dalle mappe geografiche sappiamo, che Umbriatico è Città
d'Italia nella Calabria con titolo, e Vescovo Suffraganeo di S. Severino, da
cui resta distante 7 leghe al N.O. Long. 34.55 Lat. 39. 24. Umbriatico adunque
per l'indicata donazione dopo il 1460 apparteneva alla Casa Estense. Il Vescovo
d'Umbriatico adunque contemporaneamente anch'esso era suddito del d. [etto] Duca
Alfonso I., figlio di Ercole I estense. Per questo egli è da credere, che
Desiderio Vescovo di Umbriatico nel 1521 avrà favoreggiate, come dovea, le parti
del naturale suo Principe, cioè del d.[etto] Alfonso, contro il Papa Leone X già
tanto suo nemico, e in conseguenza sarà incorso nel monitorio della Scomunica,
fulminata dal nominato Papa contro il sud.[detto] Duca Alfonso, e i suoi
Fautori. Volendo però il surriferito Vescovo d'Umbriatico sottrarsi alla vibrata
Scomunica, che avrà fatto? Non v'ha dubbio, che avrà fatto quel che fecero
allora molti Ecclesiastici sudditi dell'enunciato Duca per lo stesso ogetto di
salvarsi dai fulmini del Vaticano, che a' que' tempi assai più che ai nostri
eran temuti. Negli atti di Andrea Grotto, pubblico Not. [aio] d'Adria, esistenti
in codesto Archivio Adriese, e favoritimi da V.S. Illustrissima, sotto l'anno
1521 si legge, che parecchi Ecclesiastici Ferraresi ed altri ben affetti al Duca
di Ferrara, per evitar la Scomunica fulminata da Papa Leon X al d.[etto] Duca, e
a' suoi Fautori, come già si è detto, si ritirarono in Adria, perduta allora da'
SS.[ignori] Viniziani collegati col Duca di Ferrara, e considerata come un luogo
sicuro per li rammentati fuggiaschi Ducali. Il ricordato Vscovo diUmbriatico lo
avrà certo, e prestamente saputo, perché trovavasi allora per sua grande ventura
in Ravenna. dUNQUE Avrà segUIti volentieri, e senza dimora i suoi infelici
compagni, Eccolo pertanto partir sollecito da Ravenna, e per la via di S.
Alberto, che mena speditamente da Ravenna in Adria, incamminarsi verso le
Adriesi contrade. Non è venuto, è vero, dirittamente in Adria, ma si ricoverò in
Gavello. E perché mai? Non credo di andar lungi dal vero, se porto opinione, se
Egli in Gavello, anziché in Adria, si trasferise, o perché stimasse d'esser in
Adria, stando in Gavello, che era allora, come lo è anche di presente, da
lunghissimo tempo ad Adria soggetto, o perché, com'è forse più probabile, spesso
a' que' di' abitava in Gavello un ricco Signore, della Stirpe Nobile, et
antichissima de' Gillioli, possidente in Gavello di molti beni, e Tesoriere del
Duca di Ferrara, il q.[uale] si avrà fatto, come dovea, un vero obbligo, ed
onore in accogliere presso di sé i sudditi del comun Principe naturale, cioè del
Duca Ferrarese, fuggenti dall'ira Pontificia, cospicui di nascita, e dignità, e
bisognevoli di ricovero. Questo certo è il costume de' bennati, generosi, e
grati animi, e figli dello stesso Principe. Le ricche e generose prerogative del
commendato Gillioli raccolte si sono dagli Atti autentici di Alesandro Benassuti
Not.[aio] pub.[blico] Ferrarese, e Not.[aio] pur pubblico della Episcopal Curia
di Adria, che da me scrivente in alcuna parte si conservano a particolar mia
genial erudizione. Questo Gillioli adunque sarà stato il trattenitore, et
albergatore in Gavello del det.[to] Vescovo.
Ecco quanto la mia insufficienza
mi ha donato di lume a rispondere in qualche guisa alla sua erudita domanda.
Torno a dire, ch'Ella ne giudichi, come il può, del bene, o del male, ed abbia
in conto il mio detto di puro atto d'ossequiosa ubbidienza. Mille e mille grazie
qui le rendo delle nuove favoritemi notizie, tendenti all'avanzamento della mia
operetta, e supplicandola a tutto suo agio di sempre nuove analoghe scoperte, mi
do l'onore di raffermarmi col più distinto ossequio
Di V.S. Illustrissima.
Di Villanova Marchesana 7 Maggio
1787.
P.S. Perdoni le cancellature fatte
nel rilegger la lettera, e senza aver tempo di ricopiarla per presto spedirla al
fin bramato.
Gianbattista Beretta.
Gran che! La
Fortuna avversa mi ha sempre negato quel che più bramo. Il mio animo par nato
alla città, e vivo nella maggior solitudine agreste. Desidero di conversare coi
dotti, per imparare, e son condannato a passar i miei giorni fra i più rozzi
Satiri, e Fauni. Sospiro frequenti lettere, dottrine, ed opere di V.S.
Illustrissima per bearmi, e tanto di rado le veggo, che è più presto il Sole a
passar da un Tropico all'altro. Possibile, ch'Ella non abbia più cuore pel suo
Beretta, che tanto L'ama, e stima? Le son vicino, e però dovrei goder più
sovente di sue grazie; ma ridotto mi veggo alla sventura di Tantalo, che quanto
più ha d'appresso le sospirate poma, tanto più queste gli sfuggon lontane
dall'avido labbro. Han pochi giorni, che fui onorato da poche sue linee; ma che
son mai queste a fronte del mio desiderio? E' il dare una stilla d'acqua a chi
ha voglia di bere un mare. Tuttavia ne la ringrazio sommamente, perché mi sono
almeno un pegno dolcissimo della sua memoria non affatto obbliosa di me. Con
Essolei me ne congratulo senza fine dell'amicizia strettamente contratta col sì
famoso, e sì erudito Signor Giovan Battista Verci, ma non me ne stupisco, perché
ognun che la vede, che la tratta, e la conosce, non può non amarla, e stimarla
infinitamente. E poi similis simili gaudet. Ella lo
può imitare nel produrre le opere sì belle del suo ingegno, e ella sua
erudizione. Mi rammenta, che promisemi Ella di farmi veder presto una nuova sua
opera di sag[c]ri storici documenti. E quando la vedrò? Un anno di dilazione mi
sembra un secolo. Io vado travagliando su la mia consaputa fatica di queste
eridanie contrade; ma per difetto de' necessarj lumi mi sono arrestato assai
lontan dalla meta. Ella più d'ogn' altro mi può spingere innanzi. Per questo me
le raccomando cole più infocate preghiere. Parimenti La prego di rispedirmi la
mia incominciata storiella su i Principi d'Este, per farla vedere al
celebratissimo nostro Ferrarese Signor Carlo Baruffaldi. Chi sia questo signore,
di che genio, e di che valor nella Storia, nella Idrostatica, e nella
Mattematica (sic), lo sa tutto il nostro Stato. E se Ella vuol sapere quanta
bontà Egli ha per me, legga l'acchiusa lettera; ma tosto me la rimetta, perché
ho da rispondergli esattamente di punto in punto. Le auguro senza cerimonie, ma
di tutto cuore faustissime le imminenti SS. Feste, e senza pià mi rassegno colla
maggior venerazione
Di V.S.
Illustrissima.
Villanova Marchesana 15 Dicembre 1788.
Sempre più si rende V.S. Illustrissima
degna d'ogni amore, e stima appresso tutte le persone, che ànno la sorte, e il
vantaggio grande di conoscerla, e trattarla. Ecco il chiarissimo Signor
Gianbattista Verci, che viene a trovarla costì, e s'approfitta assaissimo della
sua compagnia. Ecco l'Eccellentissimo Signor Francesco Donado, che da Lei
ottiene un nuovo e preziosissimo lume ad illustrar la Storia, e Signoria Veneta
nel partecipatogli Instrumento del 1416, Ecco il celebratissimo Signor Carlo
Baruffaldi, che avendo vedute le stampate di Lei opere, mi ha commesso di
fargliene le sue più vive congratulazioni, e di animarla a proseguire
indefessamente i suoi storici studj per dare ad Adria uno Scrittore, che non ha
mai avuto eguale al suo merito. Ecco il tanto rinomato Signor Dottor Frizzi, che
sempre mi ricerca, se ho niente da fargli vedere di V.S. Illustrissima. Aspetto
però ansiosissimamente quel che mi fa sperare e dalla sua penna, e da quella
egregia del suo Signor fratello degnissimo Don Stefano. Ho gradito sommamente il
nuovo compasso favoritomi. La ringrazio del gentil compatimento donato alle mie
storiche memorie Estensi. La prego di spedirmi tutte le notizie, che trova in
codesto Archivio suo pubblico, e privato, concernenti alla mia Parrocchia, ond'io
possa proseguire la mia nota operetta, ad onor anche della nostra comune madre,
voglio dir la nostra inclita Adria: e sopra tutto La prego di conservarmi sempre
verde, e fiorita la sua preziosa grazia, che tanto mi onora, e bea, e per cui mi
do l'onor d'esser col maggior ossequio
Di
V.S. Illustrissima.
Villanova Marchesana 17 febbraio 1789
Note
1) B.
Rigobello, Dall'Epistolario di F.G. Bocchi, Lettere di Giovanni Battista
Beretta, in Note d'Archivio, 5, Biblioteca Comunale di Adria, Maggio
1991, pp. 21-23.
2) A.
Frizzi, Memorie per la storia di Ferrara, 1848, vol. IV, pp. 45 sgg.
3) Cfr.
G. Chittolini, La formazione dello stato regionale e le istituzioni del contado
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