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Parlottio di passeri

Di: Enzo Zito 

Enzo Zito  ha iniziato a scrivere da solo un lustro. Una chiamata tardiva, dopo aver lavorato tutta la vita a progettare costruzioni edilizie. Non ha mai frequentato ambienti letterari, ha sempre amato la buona cultura e odiato il mandarinato.

Non ha mai frequentato ambienti letterari, forse perché si era venuta a creare una situazione non molto ideale per gli scrittori, per non parlare dei poeti, liberati da troppo pesanti ipoteche in voga, forse squilibrati per la mancanza di punti di riferimento: ignorati dagli editori e da chi naviga svogliatamente in Internet vagliando i siti in parte graditi, ma in ogni caso tali da non fornire un criterio di giudizio. Forse, Enzo Zito, avendo letto che la poesia, in questi ultimi anni, è dispersa, «arrabattata», imbastita e ricucita, ha preferito misurarsi più direttamente con se stesso, ha scelto con maggiore libertà, ha prodotto testi affascinanti e colorici, immaginifici e arricchiti da metafore, valutabili su un metro più ampio che non è quello voluto dalla moda. Visto con quest’ottica ha arricchito la pluralità di segni che il lettore e lo studioso cerca per necessità creativa, o forse per evitare che sfuggano quelle immagini che domani potrebbero essere le stesse che più contano, navigando in un mare aperto in cui non è facile orientarsi subito sui fondali profondi e  rovinosi.
Da questo stato d'animo emerge motivato l’Enzo Zito della visione-realtà, modello della poetica che vorrebbe nel campo letterario e, forse, per se stesso; per non sentirsi chiuso in un’Arte scatologica.
«Tace la voce dionisiaca
dell'antico    panico dio
che mi teneva
con la sua forza solare
salendo veloce il monte»
L’esclamazione: «Tace la voce dionisiaca» più che una visione dell’«Io creativo» si direbbe visione reale della realtà; perciò non indugia in particolari perché sa che sono fatti reali, ma addotti per dar corpo a quell’arte, che lo spinge, tra spunti umani e vocazione trascendentale, che qui appare definita.
Della poetica di Zito, è l'elemento metafisico rielaborato al lume di un’esistenza correlata al bene comune, ad una vita fatta per essere vissuta e all’incarnazione creaturale e alla creatività e centralità dell'esperienza del verbo poetico. Il suo particolare classicismo, lo lega ad una filosofia creazionista e finalista: «… mi teneva/con la sua forza solare/salendo veloce il monte». Esempio massimo d’oggettivismo e razionalismo poetico da cui egli resta estraneo ai propri problemi, per addentrarsi in quelli del nostro tempo, ad una civiltà oggettivistica e irrazionale perché pone i significati nei fatti e non nelle idee.
Il divino, lo stoicismo e la scepsi, il complesso di rinunzia, l'arte povera; da questo insieme si genera la «Musa Cosmico - Naturalista» nei confronti dell'avversa contemporaneità e del suo inferno d’eccidi e barbarie. Quest’inferno lo fa Poeta naturalista ed altruista, mostrandoci il mondo che vorrebbe come quello dantesco volutamente rovesciato. Il punto comune col Sommo, nel sublime, pur capovolto, della poesia è la solitudine e la coscienza delle persone.
«Ora le mie parole
sanno di nulla 
              tenue ricordo
    di lontana vicinanza

Si perdono nel vento  
      parlottio all'aurora 
                    di passeri»
E’ ricorrente il motivo dell’inutile parlare, caratterizzato dal nulla idealistico; però sono i concetti che fanno della Poesia di Zito parte integrante della poesia metafisica. Enzo Zito ha difeso a lungo contro l'estetica idealistica come mezzo espressivo e la struttura lirica, come messaggio umanistico di un immanente pericolo. Ora difende, anche se crede chele sue parole «si perdono del vento» come il parlottio dei passeri all’aurora. Questo pensiero rinvigorisce la sua poetica contro avanguardie, neoavanguardie, sperimentalismi ecc. Spesso, ho letto liriche dello stesso autore, che sembrano non difendere nulla.Invece constata, prende atto alla maniera di Epitteto tanto è il raccapriccio del grottesco che l’umanità sta vivendo in questo tempo caotico e senza ideali.
La piacevolezza per i contenuti realistici trasfigurati in «Arte maggiore» perché l’«Io creativo» e il «Sé razionale» raggiungo quell’equilibrio che ogni Artista dovrebbe raggiungere, superando la conflittualità degli opposti, per ricevere e… dare il meglio della produzione artistica, appunto, dare al lettore l’Arte maggiore, scevra da contenuti astratti, perché conosce la giusta convinzione: «la poesia si fa con le parole, la musica
con le note, la pittura con i colori», e non mettere in ombra ciò che i nostri padri sapevano, cioè che «la poesia non si fa soltanto con i suoni e la pittura non si fa unicamente col disegno e con i colori»
La lirica nell’ultima strofe si appropria del carattere drammatico
dell’esperienza e il rendere comunicativo l'io individuale è la rivolta di Zito contro la condizione umana, che è alla base della sua ricerca artistica.
«Si perdono nel vento/parlottio all'aurora/ di passeri». Il massimo dell’isolamento e il massimo della creatività artistica coincidono. In questo modo, Zito comunica: solo attraverso l'isolamento, per fuggire da quei ritagli e cascami che sa imbastiti come si trattasse di un grande balletto dell'arte per tutti.
In tutta la lirica, ma specialmente in quest’ultima strofe vi è l’antica componente simbolista, ricreata nel mito dei «passeri» che come l’uomo di oggi riescono a parlare solo all’alba, perché l’individuo puro, pover'uomo, uomo della strada
non si cura dell’altro uomo della strada, pover’uomo fatto di carne ed ossa non trascende e non fa sue la necessaria volontà dell’individualismo esistenziale.
Zito è in conflitto con la sua
epoca, la vive e la soffre fino in fondo, in quanto la sente nella propria individuale specificità che coincide con il puro umano.
E’ questo il punto più critico della relazione del Poeta col proprio tempo, la cui accettazione è studio di approfondimento fino alla introspezione della polemica col tema trattato.

Reno Bromuro

 

 

 

 

 

 

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