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Amo la campagna

Di: Silvana Pagella

Silvana Pagella è nata a Spinetta Marengo, frazione di Alessandria la sera del 20 febbraio del 1959, sana e pimpante come tutti i neonati. Il giorno dopo diviene cianotica, forse, per un danno causato dall’incubatrice, e, probabilmente, sarà per questo motivo che rimane gravemente spastica. Intanto la vita pulsa, mentre il destino la prepara alla lotta.

Ma nonostante le moltissime difficoltà motorie ed espressive, non si arrende; ed armata di volontà e coraggio ha ottenuto molto.

A sei anni, i genitori la conducono a Firenze, in un maestoso Istituto per bimbi spastici, sulle ridenti colline di Fiesole, dove è curata dall’equipe del noto professor Adriano Milani Comparetti, fratello maggiore di don Lorenzo Milani. Vi rimane per cinque anni, ma soffre per la lontananza dal suo nido: la famiglia. Intanto frequenta le scuole elementari ed impara a camminare autonomamente.

Ritornata a casa nel 1970, compie privatamente altri studi. Nel 1998, una paresi colpisce la parte destra del corpo e la costringe all’ausilio di un deambulatore.

Ora, le sue condizioni si sono stabilizzate e sta discretamente bene. Ama l’arte, la musica, la letteratura nazionale e straniera, le poesie di ogni poeta… ed ella stessa ha composto più di cinquecento poesie. Grazie al computer che le è di grande aiuto.

I versi raccolti nel «Sito Poeticamente», sono, una piccola parte, dove la Pagella rievoca l’infanzia con i suoi preziosi ricordi, le persone che ama e che ha amato, soprattutto la nonna paterna perché è stata colei che le ha insegnato a vivere. Infatti, è alla nonna Angela che ha dedicato, sia il libro che ha pubblicato sia le poesie pubblicate in Poeticamente, convinta che coloro che tengono tra le mani le sue poesie è come se avessero lei tra le mani.

«Amo la campagna

dove è vissuta

mia nonna,

dove io stessa

sono cresciuta».

Canta serena l’amore per la natura e per la nonna, mentre la luna dorme e nella notte alta e serena dorme anche il vento, mentre insonne ode anche lo stormire di selve, un mormorìo di fonti. Si esalta al pulsare di questo sentimento, all’emozione dei ricordi: «Amo la campagna/ dove è vissuta/mia nonna», e sale alle nari un infinito odore dai molli prati; eppure tutto è silenzio e tutto voce; e il ricordo della nonna diventa un nostalgico canto.

«Amo passeggiare

prati rinverditi

e fioriti.

Amo respirare

alla libera brezza».

Non sai se riesca più singolare, pensando alla Silvana Pagella che verrà dopo, la reminiscenza degli insegnamenti della nonna o la fattura e il tono: ma quante cose sarebbero state possibili all'ingegnosissima giovane Poeta. E tanti, troppi altri ricordi si avvicenderanno e che mi devo limitare a non ricordare, perché voglio ancora parlare di questo Poeta che ha la forza e la virilità poetica per dire le cose con semplicità e tanto, tanto sentimento.

Leggendo questi pochi versi che si alternano nella rima «are – iti – are», che ogni lettore potrebbe porre la parola fine alla lirica, con naturaleggiare, apponendo un’altra rima in «are» mi fanno ritornare alla mente certi versi del Pascoli, dove le cose e le parole più semplici cantano con una dolcezza nuova; anche se troppo manca della dolcezza vera, pensata e quasi maturata che è in Virgilio.

Del resto certi apprezzamenti e paragoni, forse sono fuori luogo: poiché in fin dei conti i versi della Pagella non li possiamo ragionevolmente chiamare né belli ne brutti, né buoni ne cattivi. Essi si trovano quasi al di fuori di tutte le leggi e di tutte le consuetudini; e questa è la loro essenziale qualità.

«Adoro occhieggiare

i biondi campi

dalle spighe dorate

coi fiammeggianti papaveri.

Amo i piccoli insetti

che sorvolano

ogni fiore,

ogni corolla,

ogni stelo,

ogni prato».

Bisogna mettersi bene in mente che l’autrice fa i suoi versi solo per sé, in un mondo dove le più piccole cose, anche le meno pensate acquistano un valore singolare e nello stesso tempo sono universalizzate da una spiccata sensibilità. Così mentre da una parte pare che non voglia mettere in risalto alcuna cosa, dall'altra presta al suono delle parole un'attenzione infìnita.

Sembrerebbe che nel mondo che ella abita, non ci sia norma né convenienza, né rispetto d'altri che della Poesia; non c'è altra voce che quella della campagna che Ella trascrive per il sollievo dello spirito suo e di chi legge. Si può comprendere facilmente come, in ogni accenno e moto più lieve, un rilievo indicibile; e come Ella possa limare i versi e dare loro le sfumature più sottili, un’intenzione o un significato che trascendono il potere del parlare comune.

«M’incanto nell’osservare

i cirri vaganti

per il firmamento.

Poi,

ritorno a guardare la terra

sotto i miei piedi,

e vedo le rose rosse:

mi viene il desiderio

di raccoglierne alcune

per la mia mamma;

ma le spine pungenti

mi tengono lontana».

Nell’ingenuità assoluta del suo spirito è attratta da tutto; di quel che per altri sarebbe virtù, e di quel che meglio parrebbe vizio, di quel che è compiuto e di quel che è imperfetto, di ogni contrasto, di ogni atto, di ogni moto, per la nostra è tutto canto, musica e poi tutto sfumature e sospensioni e riflessioni e interrogazioni; pieno di slanci improvvisi e di cadute sottolineate da tutte le intenzioni che sono possibili e anche da quelle che non sono, non si capirebbe altrimenti se così non fosse; i versi sono come una voce che risuona in un gran silenzio, che l’uomo ascolta intensamente.

La fluttuante figura della nonna in sospensione, assomiglia, infatti, ad una fantasticheria; pur se l’immagine la ritrae amorevole accanto alla nipote nell’attesa spasmodica di imparare un’altra parola, un altro verbo, mentre le mani anchilosate, per il lavoro costante nei campi, le carezzano la fronte spostando quella ciocca di capelli ribelli che le copre una parte dell’occhio. Queste sono le immagini che Silvana Pagella lascia ondeggiare tra sonno e veglia, tra sogno e realtà, tra ricordo e quotidianità, tra ombra e luce, fra tramonto e aurora, in un continuo gioco di chiaroscuri, con versi lievi e delicati, che  non mancano di stupire per la semplicità e l’immediatezza, nonostante tradiscano l’io lirico che si muove fra i silenzi, il buio, il ricordo sonnolento, le sfumate similitudine.

Reno Bromuro

 

 

 

 

 

 

 

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