Carlo
Bramanti
è nato ad
Augusta il 9 marzo 1974. Si è diplomato in un Istituto Tecnico nel 95,
gli piace scrivere e adoro la letteratura giapponese, non possediamo
altre notizie se non quelle che ci pervengono dalle infinite poesie sparse
nell’etere internettiano e le centinaia di Haiku. Sono anni che seguo
questo prolifico Poeta, prolifico che per convincermi c’è voluto tanto
tempo. Oggi sono contento di poter parlare della
poesia «Aghi di pino» in cui le metafore e le
immagini si rincorrono come gli occhi, la luce, come l’ardore, la
serenità e la pace.
«Ogni saggio…
- asserisce Cesare Vasoli - concorre in maniera diversa, a
fornire notizie e argomentazioni sulle fonti e sulla portata filosofica»
di una lirica che «è così desunta capacità personali e innovative»,
per l'epoca in cui viviamo, per il suo esporsi sul rapporto della rosa e
gli aghi dei pini, con l'universo il quale, sorgendo dalla creatività
pura e ingenua dell’«Io creativo» giunge a coinvolgerci, fino a
sentire nostri i sentimenti espressi dal Poeta.
«Sei la spina e la rosa
il flutto nervoso
dell'oceano
l'imbarcadero spoglio e senza barche».
Viviamo
in un Paese in cui recensire o criticare un opera sia letteraria, sia
pittorica, sia di scultura o di musica è un'impresa disperata.Ci si deve
avvalere di una facoltà intellettualmente colta e psicologica per non
abbandonarsi all’esaltazione estetica o alla denigrazione come spesso
avviene. Specialmente quando la recensione o la critica passa inosservata
per l’indifferenza dei lettori che demotiva, moltissimo, il critico.
Ecco perché mi soffermo di più sullo stato d’animo che ha ispirato la
lirica, senza esaltazione né denigrazione, che a mio avviso sono forme
patologiche, segnali di rinuncia ad affrontare serenamente un giudizio non
critico-estetico, ma psicologico che esamina, la forte emozione (per dirla
con Giambattista Vico) che ha spinto l’«Io creativo».
In questa lirica, però, già i primi versi nascondono le due forme di
sentimenti simulati.
Questo vanno ad esaminare e analizzare coloro che cercano la denigrazione,
un disgusto immotivato, o il sospetto, sterile, verso «il solito
Racket dell’Arte» (vedi il mio saggio: «Il racket
dell’Arte e il valore umano della poesia» nella raccolta «Narciso
e la totalità dell’esistere nella Poesia di Giuseppe Selvaggi e altri
Saggio» Vincenzo Ursini Editore – Catanzaro
1994).
In ogni recensione critica, mi avvalgo sempre del consiglio di Baudelaire
il quale afferma che: «La critica deve essere costruttiva»,
ma per il Racket dell’Arte, invece no. La critica deve essere
distruttiva. Deve abbattere un mondo morale e intellettuale per farne
sorgere un altro. Non deve essere tendenziosa, ma tendenziale.
Significa che essa deve essere necessariamente “di parte, appassionata,
politica, ossia condotta da un punto di vista particolare, ma un punto di
vista che scopra la maggior parte d'orizzonte”»
Io penso che la critica debba esprime una visione del mondo
neutrale e disimpegnata. Se affermo che una lirica è bella o brutta metto
in gioco un sistema che implica la mia intelligenza e personalità. Non mi
esercito in una critica in cui «verità, giustizia, politica, bellezza
ed eticità, è
legato nell'attività critico-estetica», ma ripeto mi soffermo ad
analizzare il motivo che ha spinto l’artista a scrivere, scolpire,
dipingere o fare musica. Questo è il mio sentire del razionalismo
critico, di quella forma generale d’organizzazione della mente che è la
suprema ambizione dell’autore.
Nel 1700 «La Frusta Letteraria» di Giuseppe Baretti,
fustigava i cercatori d’espressioni logore e obsolete, paroloni che non
dicevano niente se non riempire pagine e pagine di righe nere per
confondere, questo vorrebbe, oggi, il «Racket dell’Arte»,
il sottoscritto, invece, attraverso l’Associazione Internazionale
Artisti Poesia della Vita, dalla sua fondazione
(1973), si propone il duplice scopo di «scacciare i mercanti
dal tempio dando a Cesare ciò che è di Cesare, valorizzando nel giusto
merito i giovani o comunque nuovi artisti» aiutandoli e
incitandoli nella formazione di un gusto, contrastare, i soliti pseudo
editori, e i quotidiani, che ignorano in ogni modo e inevitabilmente,
l’opera di un giovane o comunque nuovo autore che ha l’ardire di
affacciarsi alla finestra dell’Arte, per non parlare delle riviste
specializzate che spesso impongono l’abbonamento e di sottostare ai loro
giudizi già prescritti e inappellabili.
In questa lirica di Bramanti la
metamorfosi alternata tra la rosa presente con le sue spine e la donna che
le somiglia e non solo, ma diventa finanche «flutto nervoso
dell’oceano/ un imbarcadero senza barche». La trasfigurazione
è forte e palese, pur manifestandosi con endecasillabi spezzati, alla Garcia
Lorca, abbiamo il comportamento basilare dell’incarnazione stessa
dell'idea di rosa- mare- barca, posta all’inizio del discorso.
In
effetti, il Bramanti non cerca di eludere la trasfigurazione e le
metafore, anzi fa di tutto per non differenziarle troppo le une dalle
altre. Il soggetto è la donna, non una carrellata di personaggi che
dovrebbero dirci altro; invece Lui, l’Autore, preferisce
staccarsi dagli esempi concreti, costruisce i suoi iconoclasti su cose
reali per sfociare nel fantastico; anche quando ci fa credere che stia
parlando d’immagini di fantasia, tipici della vena poetica del Bramanti,
spesso usata anche negli Haiku.
«Sulla spiaggia ruvida
imbastardita dal vento
i tuoi occhi pungono
come aghi di pino.
Un tramonto li uccide».
Non
vi sono, in questi versi fatti
inquietanti, atteggiamenti anti-modernista, nemmeno un miscuglio di
personaggi, sono una sana metafora colorita d’immagini saporose di
poesia,che appartengono in blocco ora all'una, ora all'altra immagine, al
confine tra la fede nel progresso razionale della modernità e la
realtà costituita dalla creatività poetica, perché ben scritta.
«I
tuoi occhi pungono/come aghi di pino»
come si nota i ritratti non sono di fantasia, a questo punto non riesco a
capire dove stia la realtà, anche se il primo istinto è stato di
definirli fantastici; ma è materia organica che nella metamorfosi si fa
luce.
Eppure la sua è una scrittura sofferta, e lui ci tiene proprio a filar
via dritto sparato, snocciolando frasi una dietro l'altra, come se fosse
un gioco: spiaggia, rosa, donna, spine e marosi, non gli basta. Certo
nella lirica mancano sbavature, ma la prima parte è assai più lenta
della seconda, però questo ha una sua logica, e una logica molto
persuasiva.
«Sulla
spiaggia ruvida
imbastardita dal vento
i tuoi occhi pungono
come aghi di pino.
Un tramonto li uccide».
E’ un quadro che fa la sua vita tranquilla e normale.
L'autore è bravo a descrivere in poche righe il tran tran quotidiano di
un amore che ha il «suo» naturale andamento e il Poeta lo mette a
fuoco piano piano con una realtà che in fondo ha parecchio di sentito.
«Sei la spina e la
rosa.
La spiaggia muta t'accoglie
sabbia sulla sabbia».
I
rapporti umani non sono ben saldi, anche se lo sembrano. Le sicurezze sono
più che fragili, anche se all'apparenza tutto è solido, efficiente,
perfetto.
Alla
fine vien fuori una visione della vita pessimistica, disincantata. Con un
forte disagio per come le cose potrebbero essere, per come la vita
potrebbe funzionare. Con una strana nostalgia per le cose non vissute.
Solo un episodio esterno, estraneo, imprevedibile può scatenare la forza
repressa, gli istinti, allora il Poeta è costretto a mettersi in gioco, a
riappropriarsi della vita, perché solo «la
spiaggia muta t’accoglie/sabbia sulla sabbia»