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Tristezza

Di: Anna Petraroli

Mi chiamo Anna Petraroli ho 48 anni e sono casalinga. Ho sempre amato scrivere poesie lo      faccio per improntare su di un foglio le sensazioni che provo. Non le ho fatte leggere a nessuno ma ora ho deciso di farlo per il piacere di condividere le mie sensazioni con chi mi possa comprendere.
Il nome della Petraroli, nelle notizie che precedentemente, in altre occasioni, ho dato di lei come Poeta e Scrittrice, è inseparabile dalle sue creazioni, che portano, spesso, il lettore ai sette cieli. Nelle sue liriche non vi sono rovesciamento di valori come in pochi altri autori che «spuntano come i funghi» ora in questo ora in quell’altro sito del vasto mondo intertiano; non appaiono significativi mutamenti che riempiono da una generazione il mondo poetico-letteraio lasciando al gusto dei lettori, come alla critica professionale, che mettano in risalto i mutamenti del gusto per promuovere e discutere o estrinsecare.
Senza dubbio, se si badi unicamente al criterio della lingua e dello stile, la Petraroli è in tale contrasto con il pensiero che popola «il pianeta internet» che il più delle volte trovi parole «cucite le une alle altre» che, chiaramente, palesano anche l’origine. Non di rado capita, leggere parole che ricordano sfacciatamente Prévert, Neruda, Baudelaire: poeti amatissimi dagli internetiani «pesudo», che spiccano sostanzialmente dai veri Poeti.
Mi unirei a De Sanctis, per catalogare questo tipo di persone: «fabbri artificiosissimi di periodi e di frasi». Vi sarete accorti che dopo un paio di anni che ci conosciamo, parlo solo delle liriche che rispettino almeno il concetto di Benedetto Croce e le accarezzo come uno studioso dell'espressione per mettere in risalto ciò che esse vi è di meccanico e di tecnico, ma che non manca di freschezza d'impressioni, che danno senso d'arte e di natura, e senso d'uomo, tanto gli affetti che rivelano sono languidi e non di seconda mano, versi che non sono estranei allo spirito e all’intelligenza e al cuore dell’autore, e perciò sono vera Poesia.

«Cos’é questo freddo che sento in fondo
all'anima stasera cos’é questo vuoto che riempie il mio cuore»
Traete da questi versi il vostro giudizio e le conseguenze che ne trarre un critico portato dalla sua indole a non disgiungere l'arte dalla vita, inquadratele in una visione di questo tempo caotico in cui viviamo e vi accorgerete che il grido disperato per «questo freddo che avvolge l’anima e illumina la coscienza di avere il cuore vuoto» e l’ampio e appassionato grido, come un richiamo di aiuto culmina, come s'è visto, nell'accusa di vacuità, di freddezza, d'indifferenza dell’umanità, al punto che non si sa più niente dell’inquilino che abita sullo stesso pianerottolo dove noi abitiamo. Quante volte capita che nell’uscir di casa sotto il portone vedi una corona funebre e ti chiedi chi sarà morto? Eccolo il freddo dell’anima e il vuoto del cuore che Anna avverte.

«E la tristezza che m'ha preso stasera non cerco le cose d'intorno

m'annoiano non voglio parlare con gli altri voglio star sola

vorrei poter trovare un pensiero che mi liberi da questa tristezza»

Ecco, tacere agli altri, il proprio dolore, l’immensa solitudine che l’avvolge, nella quale non vuole crogiolarsi, ma trovare un pensiero, prima che sciami, che vada via e la lasci esacerbata. «vorrei poter trovare un pensiero che mi liberi da questa tristezza» non è la dirittura del giudizio, ma la spontaneità dei pensieri, la viva fiamma degli affetti, l'esatta notizia che l0anima e il cuore si aspettavano, da lei, dagli uomini e dalle cose loro, la libera ricerca della verità naturala e il pieno, sincero possesso della «sua» verità.

«Accendo la radio e una musica allegra si diffonde nell'aria, ma perché

anche questo mi annoia Triste sono triste,guardo la sera che avanza che

copre di nero tutte le cose. com'é simile ‘stasera il

mio cuore. Uscire! vorrei uscire, trovare li fuori le amiche, la

gioia di stare con loro. Ci ripenso? Li renderei tristi».

Questo piegarsi su se stessa per trovare l’intima verità sia di condanna che colpisca più la donna che non l'artista: del quale la Petraroli, portata dalla sua stessa natura a considerarne più che altro l'aspetto dei concetti, non la stupenda architettura.

Qui la Petraroli, avendo conosciuto e analizzato altre sue opere, la vedo nella sua maturità cercare non solo la semplicità, ma il calore, e afferrare questa assenza d'affetto, propria di quasi tutti i Poeti, mentre il palpito del cuore ritrova «la gioia di stare con loro», pensiero che la razionalità subito cancella: aspetto tipico d’altruismo, innato in ogni Vate.
Il suo sentimento si fa più tenero perché non sente il lei «ipocrisia e civetteria», ripete che gli manca ogni affetto, così umano come divino, e conclude la più chiara prova che questo periodo di isolantismo sfrenato, individualismo egoistico, separa gli uomini dagli uomini e gli uomini dalla natura.

«triste mi sento triste spero che la notte passi in fretta,per tornare alla

gioia del giorno Dimenticando la tristezza che mi ha

invaso stasera». 
Sembra il tipico grido di aiuto di chi si sente perdutamente solo, ma qui la Petraroli, scava ancor più in profondità, come se fosse la rappresentante di questa cruda e fitta tristezza, che l’avvolge come nebbia la valle; come se nulla potrà darle calore perché
si ritrova inacerbita, non ritrova la forza che le permetta di reagire.
La lirica vive nell'appassionata requisitoria dell’anima, ecco perché definisco il suo pensiero, di vita e di verità... d'uno stile limpido, per nulla mascherato, che non invischi il falso per cadere nel nulla.
Nella solitudine della sua casa e con se stessa, tra le righe si ode un lieve vagheggiare fantasticherie di paesi lontani, dove, gli uomini si raccontano il passare delle loro ore e ciò che sentono dentro, i propri pensieri e si stringono la mano.
La ferrea volontà del suo voler attribuire l’obbligo di vivere in amore e in armonia umana. Mi ritorna alla mente Giulio Verne cristiano, alla narrazione di viaggi avventurosi e straordinari, quali sono quelli dei pensieri della Petraroli. Tanto è vero quel che il Leopardi dice a proposito dell'Alfieri: «l'uomo non nasce a scrivere, ma solo a fare, e che gli scrittori eccellenti sono da principio inclinati alle grandi azioni, e poi, perché impediti dalla fortuna, si volgono a scrivere cose grandi»

Reno Bromuro

 

 

 

 

 

 

 

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