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Steli di pietra

Di: Rosalba Sgroia

Rosalba Sgroia è nata a Frosinone e risiede a Roma. Ha conseguito la laurea in Psicologia e insegna nelle scuole elementari. Ha recitato, durante il periodo universitario, in una compagnia teatrale frusinate. Si dedica alla lettura, all’ascolto di musica antica e classica, alla danza e a tutto ciò che le offre la possibilità di esprimersi. Nel giugno 2001 ha vinto il 3° Premio nel Concorso Internazionale promosso dall’Associazione culturale «Le Driadi» di Roma. E’ presente in alcuni siti internet, le sue poesie e i suoi articoli sono periodicamente pubblicati sulla rivista culturale«Il Saggio» e le sue recensioni di libri sul periodico «L’Ateo». Figura nel libro «Dove va la poesia» e ne «Il Dolce Web» entrambi per i tipi della Carello Edizioni. Nel febbraio 2002 ha ricevuto il Premio Speciale dell’Assessorato alla Cultura Città di Eboli per il Concorso Internazionale di Poesia  «Il Saggio» con l’alto patrocinio del Presidente della Repubblica Italiana.
Un grande poeta, Giacomo Leopardi, a conclusione di una sua famosa poesia, scrisse dei versi, rivolti ai giovani, la poesia è  «II sabato del villaggio», in cui afferma che la vigilia è più piacevole della domenica. Mentre, infatti, il sabato è allietato dalla gioiosa attesa del giorno di festa, la domenica è resa triste dal pensiero di tornare il giorno dopo alle dure occupazioni della vita. Il poeta paragona il sabato all'età del fanciullo, mentre la domenica è raffrontata alla maturità della vita. La lettura di questi versi, in un primo momento, non mi ha convinto. Come è possibile considerare vita beata, quella che è regolata da innumerevoli obblighi e doveri? Quand’ero ragazzo ogni giorno mi sentivo ripetere decine di volte: «Sta' attento», «Hai studiato?» Ed io dovevo ubbidire, altrimenti... Poi, meditando meglio sul significato dei versi, mi sono accorto che la prima impressione era sbagliata. Le energie dei ragazzi sono inesauribili. Ogni occasione è buona per divertirsi e per giocare. E’ possibile sognare le più belle cose per l'avvenire. Un giorno pensai di essere un grande generale, un altro giorno immaginai di essere il più abile giocatore di calcio. Invece vedevo che i miei genitori erano costretti ad un duro lavoro, per consentire alla famiglia una vita confortevole. Pensavo: Essi hanno raggiunto la loro maturità e non hanno più la possibilità di sognare un avvenire diverso da quello che è il loro presente. Ripensandoci oggi mi rendo conto quanto fossi presuntuoso e ignorante: ma ero ragazzo e a quell’età è una continua e gioiosa attesa di ciò che accadrà nel resto della vita. Eppure, ora, solo ora, mi rendo conto quanto sia stata pesante l’attesa. è meglio vivere nella lieta attesa del futuro. Quando ebbi sedici anni tenni ben vivi nella memoria i versi del grande poeta; davanti ai miei occhi, le parole del poeta per godere la mia età che, se talvolta era turbata da qualche inconveniente, era sempre ricca di gioie e di speranze.

«Rovine di sterili notti
scorrono
come nastri
nella mia memoria».
Non mi è difficile iniziare il commento di questa poesia della Sgroia che richiama alla memoria quei versi e la fanciullezza; perché c’è l’occasione di osservare l'intensa e preziosa attività degli uomini. Le notti, specialmente alla mia età, finiscono prima che sorga il sole e il giorno e sempre più breve, eppure quando in punta di piedi mi reco in cucina per farmi il caffè, già qualcuno è in movimento per la casa ed ha preparato la colazione per tutti. Sono scomparsi eventuali rancori della sera prima, svanite nel nulla le incomprensioni che li avevano fatti nascere.

«L’ingorgo di vecchi rancori       
avvelena
ogni possibile intenzione.
La paralisi dei gesti
induce
a muti lamenti
che si occultano nelle pieghe
dei nostri visi adombrati».
Allora sei contento di spalancare la finestra, anche se piove o c’è la neve perché senti forte la gratitudine verso il Signore per averti dato la gioia di vedere il sorgere di un altro giorno.
Come descrive bene la Sgroia, questi momenti in cui i «muti lamenti, si occultano nelle pieghe dei visi non più adombrati».
Giunge la sera e non te ne rendi conto; e se non fosse che qualcuna è impegnata nella preparazione della cena, non ti accorgeresti neanche di questo, tanto è il desiderio di vivere, vivere senza perdere un secondo di vita.
Pensando questo, è naturale che rifletta sul mio «avvenire»; a volte mi chiedo pensoso che cosa vorrei fare da grande, per sentire la vita scorrere nelle vene e bussare al cuore, con tremore. Ed ho la sensazione di avere di fronte a me ancora parecchi anni di scuola, e tanto desiderio di riuscire bene negli studi per prepararmi ad una professione che mi permetta di vincere le avversità con filosofia; vincere per aiutare i derelitti.
«Delirante,
il riverbero dei battiti sordi
echeggia
e l’acre umore che
 opprime la stanza
sa del muschio

che alle rocce s’avvinghia».
Le concezioni della Sgroia non sono dissimili da quelle di Leopardi, sono molto vicine, perché entrambi considerano unica realtà la vita che: «s’avvinnghia alle rocce e sa di muschio»; la Sgroia considera la vita panteisticamente, la vive come l’ha immaginata e procede con la mente nella sua trattazione con rigore logico, fa parlare prevalentemente, la fantasia la quale domina anche nelle prose ispirate alla medesima concezione.
Per lei la gioia non è illusione, apparenza momentanea, cessazione casuale del dolore che incombe continuamente e spietatamente su tutti gli esseri creati, come per il Poeta di Recanati. Per la Sgroia la natura è bella, luminosa, sorridente e, per niente ingannatrice; manda una luce che illumina le tenebre; sorride e concede, certo non sempre rose e fiori, ma non è una matrigna perversa che gode nel farci soffrire.
«Lento è il fluire del tempo
e le gocce dei nostri cupi pensieri
generano
granitiche e acuminate forme…»
Per la Sgroia, come abbiamo visto, la solitudine è un'anomalia; la sua natura la spinge, come tutti gli altri esseri umani, a cercare la socievolezza e la compagnia; perché«le gocce dei nostri cupi pensieri» non siano una fatalità che proibisca di vedere gli altri e ritrovarsi insieme nell'ora in cui splende il sole o in quella del tramonto. Ella vuole solo che i «cupi pensieri non generino cupi pensieri, perché diventino granitiche e acuminate forme» quindi,è comprendere il motivo della pena.
«Imponenti troneggiano,
sfidando invisibili nemici.
Stille feroci e acide,
scivolate,
fiere e placide,
pesanti,
nel silenzio
delle vostre buie e squallide
dimore…»
E in maggior misura sembra che le «acuminate forme, troneggiano imponenti e sfidano i nemici», versi che riportano alla memoria Saffo cui fu dato dalla natura un animo innamorato ma non poté mai realizzare il forte sentimento che racchiudeva in sé. Come non è certo, come vorrebbe il recanatese,  che l'uomo nasce e vive correndo disperatamente verso la morte; qui gli uomini dopo i pesanti silenzi «nelle buie e squallide dimore» continuano a vivere come tutti gli esseri creati magari rabbuiandosi a sera e sorridersi di mattino, come se nulla fosse accaduto. Non c’è rancore o astio ma speranza che nasce col sole, muore con lo stesso per rinascere ancora. Sono versi consolanti che esprimono la funzione interiore dello spirito della poetessa, perché indubbiamente rivelano uno stato d'animo profondamente vissuto per amare incondizionatamente. Il dolore non è la legge dell'umanità, come vuole Leopardi, che vive in mezzo a guerre continue, guerre di uomini contro uomini e della natura contro l'uomo.
Ci possiamo domandare come da una concezione altruistica sia sgorgata la poesia «Steli di pietra» la quale è affermazione e non negazione, creazione e non distruzione; e, poiché è creazione, è anche felicità. La poesia è possibile perché nasce dall'amore. E mentre parla di: «
gocce dei nostri cupi pensieri/generano/ granitiche e acuminate forme…» con la mente pensa alla natura e con l'occhio la ammira, la gode e se ne sente estasiata. Perciò la sua anima lirica ha potuto  trovare forme perfette e accenti teneri a significare il grande amore e la serenità. In questa lirica ha  cantato la vita con le sue gioie e il suo dolore, la vita nella quale gli uomini pure credono e di cui talora godono pur nel continuo susseguirsi delle tempeste. Di questa parentesi la poetessa sembra aver goduto a pieno.

Reno Bromuro

 

 

 

 

 

 

 

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