Miei cari e
pazienti amici. Stamani ho la malinconia che mi serra la gola, mi manca
l'aria e questo mi accade (sono decenni ormai) dopo ogni debutto perché
ho la netta sensazione che quel figlio non è più mio: appartiene al
pubblico. Per questo motivo vorrei che il mio teatro fosse fatto di eterne
prove, sì, perché ogni sera ad una nuova prova sento che cresce
ubbidiente agli impulsi del mio estro; poi, il debutto, e. addio! Mi
porterò dentro questa malinconia per un paio di mesi fino all'inizio di
un nuovo lavoro, all'avanzare di nuove figurazioni, altri quadri che gli
attori formeranno sulla scena, con gli effetti luminosi adeguati (ma per
raggiungere quella perfezione che mi assilla ogni volta, quante prove), la
coreografia, il suono vocale e strumentale.
E' come
crescere un figlio, educarlo, iniziarlo alla vita e far sì che conquisti
un'istruzione (sì, non vi spaventate e non gridate all'orrore perché ho
usato il verbo conquistare), e già perché oggi l'istruzione vera è una
conquista che il giovane deve fare da solo. La scuola non è più degli
insegnanti ma dei genitori, specialmente quelli che non sono riusciti a
dare ai figli un autocontrollo che equilibri nei casi dovuti, educazione e
ribellione.
Perdonatemi
mi andava di parlare con voi delle mie fissazioni (lo so che sono tali, ma
non riesco a vincerle eppure dal 1953 sono passati quarantotto anni, ma è
sempre la medesima musica). I miei cari che mi conoscono, non si fanno
vedere per almeno quindici giorni dopo il debutto di un'opera, gli amici
fanno la stessa cosa ed io sono solo con le mie "fobie".
Ma parliamo
della poesia «Quando sarò lontana» di Mariavittoria.
Chi è
Mariavittoria? (Odio due cose terribilmente incomprensibili per me che
sono chiaro e sincero fino alla cattiveria), coloro che scrivono poesie ed
omettono il cognome, come se scrivere versi fosse la cosa più deleteria
della vita, l'altra sono le donne che hanno atteso la morte del marito per
pubblicare un libro di poesie (e ne conosco alcune che hanno tolto alla
letteratura, commettendo un doppio atto immorale: nascondere al coniuge i
propri sentimenti e ai lettori la gioia di vivere momenti di abbandono
spirituale), defraudando la cultura.
Per quanto
riguarda Mariavittoria mi auguro che ci farà conoscere anche il cognome
per poterlo gridare con gioia.
«Quest'anima
dolente» che con i suoi dubbi permette l'apertura delle porte dell'anima
nostra per capire, attraverso il suo insegnamento, anche se dubbioso, che
cosa vorremmo sapere e cosa aspettarci, sia dagli amici, sia dall'amore.
Il dramma
più angoscioso per Mariavittoria, in particolare, quando si domanda
«imperativamente»:
«cosa
resterà
impresso
nelle
pagine
di
quest'anima dolente?»
inizia
proprio un procedimento «processuale» che abbiamo esaminato e sofferto
con lei dinanzi al mistero della sua componente, un processo che mette a
nudo la vera anima; sotto l'aspetto normale della sua vita c'è tutto un
fondo di dolore represso, che esplode in tutta la sua tragedia, la stessa
che possiamo trovare in ogni uomo scavando nel profondo della coscienza.
Infine il
dramma «denso, desolante, esasperante nel tema ossessionante dei dubbi
che travolgono» lo scorrere dell'esistenza nel dubbio atroce se qualcosa
resterà impresso del suo passaggio sulla terra.
A questa
tematica del bene e del male, al tormento dell'anima che, dopo aver
trascorso la sua vita nell'angoscia che ha scavato rughe profonde, sente
il desiderio di punirsi per un anelito verso una giustizia superiore, si
ricollega ad altri versi di Mariavittoria, anch'essi senza pace.
Fortuna
che:
«la mia
pelle sorride
alle
carezze del vento
e di una
mano forte».