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Romantica visionaria

Di: Anna Petraroli

Anna Petraroli  è nata a Frosinone e risiede a  Grottaglie in  provincia di Taranto. Ha sempre amato scrivere poesie e non è stato facile decidere di farle leggere ad altri. È gelosissima delle sue opere perché come tutte le opere nascono dal profondo ed è difficile trovare il coraggio di staccarsene; anche se sono soltanto sensazioni che ognuno di noi può provare in alcuni momenti della sua esistenza, pur cercando di interpretare emozioni e pensieri delle persone che ci sono vicine.
La grandezza del poeta non è nei materiali ch'egli adopera, ma nella loro fusione organica che ne faccia una persona viva, effetto di un'attività interiore, di una spontaneità produttrice.
Fedra è una fuggevole apparizione in Euripide; ed è tutta una tragedia in Racine, lei sola è tutto un mondo drammatico. Abbiamo la storia di un'anima appassionata in tutta la sua ricchezza. La sua passione è colpevole, e lo sa; la sua anima è scissa tra due forze opposte e pari, la passione ed il senso morale. Date a questa donna un carattere risoluto, e la tragedia muore sul nascere. Tale è la Fedra di Euripide: nella stessa scena ascolti i suoi lamenti, scopri il suo segreto e la sai morta. Questa fermezza di proposito manca alla Fedra francese: Schlegel gliene fa colpa.
«La vita è un passo dietro l'altro
verso un sogno un'illusione.
E io ho sognato per rimanere viva».
La vita, come l'ha concepita Anna Petraroli, è tirata in qua e in là da due sentimenti ugualmente infiniti, e l'uno non ha, non può avere virtù di distruggere l'altro. Pare che la vita cammini un passo dietro l’altro, e va incontro ad un sogno ch’è illusione per rimanere tale.
«La mia solitudine
il bisogno d'affetto e di dolci parole
mi ha fatto sognare».
Subito, ecco riaffacciarsi il senso morale in forma di rimorso: «la mia solitudine ha bisogno d’affetto» e mentre maledice la sua passione, negli occhi brilla il desiderio. È una lotta non superabile, che la sua volontà la spinge in balìa del caso e la rende oggetto degli avvenimenti. Avvolta nel rimorso dei propri pensieri è spossata e straccamente inetta a prendere e seguitare con costanza una delle due vie. Vediamo con spavento «quella solitudine» dare un nuovo passo verso la sua rovina: non nasconde la sua passione (il bisogno d’affetto), non salva la vita. Si lascia lusingare dalla vana speranza, che qualcuno ascolti il suo grido e colmi questo bisogno d’affetto. Abbiamo visto che aborrisce il male, e lo lascia commettere; corre ai rimedi, quando il male è irrimediabile. Vorrebbe parlare del desiderio d’affetto e di dolci parole per continuare a sognare e rivedere vivo il suo amore.
«Ah!  Romantica visionaria che sono!
Ora mi guardo allo specchio
cosa vedo in me
cosa sento nella mia anima
cosa dicono i miei occhi».
Questa contraddizione offre contemporaneo e compresente tutto il carattere, nel tempo stesso, che ne vedi uscir fuori ora questa, ora l’altra parte, secondo l’umore della creatività e degli avvenimenti e il contatto con gli altri personaggi. Non vi è propriamente una successione logica, di modo che si veda prima la passione, poi il rimorso, indi la gelosia «cosa vedo in me/ cosa sento… cosa dicono io miei occhi, ecc…» : difetto in cui capitano quelli che concepiscono un pensiero a priori. Non accettano che vi sia un certo processo, qualche cosa di successivo, corrispondente all'andamento dell'azione; ma la vita interiore è così potente che ogni volta dietro ad una parte trabocca tutta al di fuori.
In questi versi sentiamo congiunti, dolore e furore, speranza e disperazione, amore e odio, rimorso e voluttà: rapidi passaggi, rapidi ritorni, meravigliosi di verità, ora apparecchiati, ora improvvisi, prorompenti ora da idee espresse, ora da sottintese; lì è la maggior difficoltà della creatività, non superata dal «Sé» razionale, il verso rimane legato indissolubilmente all’«Io» creativo. Ecco due esempi della dissocialità del pensiero:
«La vita è un passo dietro l'altro
verso un sogno un'illusione».
«La mia solitudine

il bisogno d'affetto e di dolci parole»
Quanto languore nella prima! quanto interesse nel terzo verso! Nei primi vi è un movimento di fatti, che non hanno alcuna eco nell'anima e la risoluzione non è ancora raggiunta, manca ogni espressione di sentimento vitale, il dolore, l'ansietà, l'impazienza; «la vita è un passo dietro l’altro». In quelli seguenti rifluisce il desiderio che si concentra gonfio di forza residua, producendo qualche effetto brillante. Chi ha scelto di vivere nel mondo dell'evasione immaginaria vorrebbe persuadersi di vivere ancora in un mondo comune. In realtà, non vive più «in un mondo», e di fronte a se non ha più niente di determinabile o di costante.
«In lui ho provato emozioni, gentili parole che riempivano il cuore
Ah ! Romantica visionaria che sono!
Svegliati! Ritorna alla realtà della vita.
E stato un sogno un'illusione
un passo di vita».
Un sentimento forte, arrischia d'aprire una porta all'esigente, «passo di vita». E i mondi immaginari che sogniamo da svegli hanno in comune il fatto che non ci chiedono niente. In un ambiente che non ci domanda nulla, noi stessi dileguiamo poco alla volta. Esclama un artista:
«il mio cervello è un teatro dove si rappresenta ogni sorta di commedie le cui trame e i cui personaggi mi sono estranei. lo non faccio che assistervi da spettatore», vergando sulla carta (il Poeta e lo scrittore), spogliarlo del marmo grezzo la figura che vi ci cela (lo scultore), scrivere nel pentagramma segnato sui fogli di carta le note che vi danzano (il musicista). Così tutto si riduce ad estrema facilità: per mancanza di combattenti, fra il creativo e il reale vi è più combattimento.
Questi universi di fuga possono rimanere puramente esteriori e sostituire, all'azione adattata nel mondo, soddisfazioni soggettive perdute fuori del mondo. Possono anche imprimere nella vita quotidiana e persino nella carne del sognatore le sue divagazioni fantastiche. In entrambi i casi continua a funzionare la tendenza all'oggettivazione, poiché gli irreali sono pure oggetti d'«immaginazione passiva». L'oggettivazione anziché sboccare sulle realtà che la sollecitano, straripa in margine al reale dove occupa, dopo averlo espulso, un’ombra di posto, isolata dalle relazioni vitali che costituirebbero la pura realtà.

Reno Bromuro

 

 

 

 

 

 

 

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