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Ricordi?

Di: Lo

Il poeta di cui ci occupiamo dopo una breve pausa riflessiva si chiama con tutti i nomi, che più le aggradano; Laura nata nell’agosto 1983, cui ama citare una frase che le piace un sacco, tanto per presentarsi.
"Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-Li-Ta: la punta della lingua compie un breve viaggio di tre passi sul palato per andare a bussare, tre volte, contro i denti. LO. Li. Ta. Era LO, null'altro che LO, al mattino, diritta nella sua statura di un metro e cinquantotto, con un calzino soltanto. Era Lola in pantaloni. Era Dolly a scuola, Dolores sulla linea punteggiata dei documenti. Ma nelle mie braccia sempre Lolita."
Questa è la frase che ama di più... perché le comunica molte cose: passione, amore, sensualità...  Bellissima!!!!!  E poi è così irreale, proprio come LO!”
Parlando di donne creative dell'arte, chissà perché il pensiero corre subito alla divina creatura nata dalla mente dei Geni del passato: ad Andromaca che è il capolavoro del genio omerico, come anche Elena ed Ecuba nell'Iliade e ti domandi se la l’opera di LO riesce ad avere la stessa virilità dolce e forte; ma come si può paragonare un’opera poetica d’oggi con una potente ed eterna di ieri? Eppure ne abbiamo avute di donne che con la loro forza creativa ed immaginifica hanno lasciato un’impronta ben profonda, pensiamo a Gaspara Stampa, Emily Dickinsons, Sibilla Aleramo, ecc… E come D'Annunzio interpretò nobilmente la dolcezza tutta femminile con il silenzio che era il più commosso canto di lode alla sublimità femminile: l’omaggio sincero del “divin cantore”.
Ricordi la prima volta

Che vidi il sole?

Ne rimasi estasiata. Mi innamorai del suo calore

Del suo splendore

Della sua grandiosità”.

Possono passare gli anni e i secoli, ma i ricordi si accumuleranno uno sull’altro nella memoria, fino a quando non si è paghi di vedere le lacrime sul ciglio e il sorriso che si mescola con quelle lacrime; perché il ricordo, sia lieto sia triste fa affiorare sempre una lacrima e non basta la premura e l'affetto dell’amico o del parente, o la tenerezza di un bambino, perché evaporino e rimanga solo il sorriso. Le poche parole ch'ella pronuncia, così umanamente femminili, provenienti dal cuore e dirette al cuore, non perderanno mai la loro forza e la suggestiva potenza, perché davanti ai suoi occhi ci sarà sempre l’immagine del sole che vide per la prima volta. Non basta la fantasia di poeta che ha trasfigurato quell’immagine ed ha saputo idearne un’altra: la fanciulla, la donna, moglie o madre ideale che ogni marito si augura e ogni figlio è orgoglioso di avere come madre, ella sa che non esiste nel mondo nulla che riporti  ciò che per lei è stato tanto caro e suggestivo, nulla che possa ritornarle ancora caro se non nel ricordo che ha trasfigurato in arte.

“Ricordi quando, bambina,

mi innamorai dell’erba, dei grilli, dei fiori?

Quando con due grandi occhioni lucidi di emozione

Decantavo la loro eleganza, la loro grazia, la loro purezza?”

Niente di straordinario ha dato LO alla realtà, è una donna come, per fortuna, ce ne sono tante, una donna per la quale il “CANTO” è marito, è padre, madre, fratello, tutto.

Accanto a LO, leggendo questi versi ho visto, ho vissuto la vita di Andromaca, così come ce l’ha mostrata Omero; accanto a lei ho ricordato Didone e le altre donne di Virgilio: Anna, Amata, Lavinia, Camilla, le quali pur non avendo la vitalità umana che possiedono Andromaca e Didone hanno la potenza di svegliarci dal torpore dell’afa estiva per ammirare con LO “due grandi occhioni lucidi di emozione”.

Leggendo questi versi si ha la sensazione di riportare alla mente la storia della letteratura a ritroso.

“Ricordi quando vedevo le nuvole passare?

E ti indicavo il cane, o il leone, o la gazzella…

 

Ricordi la pazienza che avevi a sopportarmi?

Ad ammirare con me il sole, a decantare l’eleganza dei fili d’erba,

la grazia dei grilli, la purezza dei gigli

appena sbocciati, a chiamare il cane, o il leone, o la gazzella…”

E’ lei, che soggiogata dal fascino irresistibile dell’arte si moltiplica nelle donne della letteratura da Andromaca a Penelope, per ritrovarsi prima di vedersi danzante come un filo d’erba al soffio del vento; sente in sé una vita intensa, la prima s'indugia davanti a noi tanto che abbiamo tempo e modo di conoscerla pienamente; la seconda appare e subito scompare; eppure è difficile che poi ce ne dimentichiamo, così profonda è la commozione che quell'improvviso apparire produce in noi, l’immagine di una donna incantata a vedere il passaggio delle nuvole, o la velocità di una gazzella che viene azzannata  dal leone. LO è creatura che, però, attraverso il suo sorriso tutto umano, tutto femminile, costituisce la ragione di vita di quella donna che ancora sa attraverso il ricordo la tragica violenza del leone, che azzanna alla gola la gazzella strappandola con la forza alla vita; anche questa tragica realtà viene addolcita dal vento che gioca con l’erba, ne decanta l’eleganza, oppure la grazia del canto dei grilli, o la purezza dei gigli.

“Ricordi quando ci vedemmo per l’ultima volta?

Quando te, piccolo elfo saltellante,

eri ora lì ridotto a fin di vita?

Quando la già esile fiammella della tua corta vita stava ormai

Per spegnersi completamente?

 

Ricordi quando mi dissi:

“Non smettere mai di ammirare

la grandiosità del sole, perché è da questo che traiamo la orza,

è da questo che l’erba assorbe il calore necessario per crescere elegante,

è da questo che i grilli traggono l’energia per vivere, e saltellare con grazia per i campi,

è questo che permette ai fiori di nascere puri”

Queste meravigliose immagini hanno trovato finalmente le loro eredi in questa poesia.

Gli eredi non sono più le donne che ella avrebbe voluto essere ma è tutto quanto popola la natura: la grandiosità del sole, il piccolo elfo saltellante che sta, non si sa come, lasciando questa vita, ma il dolore del ricordo riacutizzato le fa sentire le parole dell’elfo morente; e Lei promette: facendo rilucere la grandiosa figura creata dal Vate: Andromaca che si preoccupa più per i suoi che per se stessa.

Si vedono nascere altre donne, che somigliano a quelle di Ariosto, che non hanno però  l'intensità vitale posseduta da quelle che ho nominato sopra. Forse mi sbaglio, ma Angelica, Bradamante, Isabella, Fiordiligi, Doralice e tante altre si assomigliano tutte e LO, ora, vuole essere lei: il Poeta che ha avuto spunti vivaci nel rappresentare i ricordi, ma non riesce a dare a ciascuno di essi quella forza caratteristica che Omero e Dante hanno comunicato alle loro creazioni.

“Ricordi quando i tuoi occhi si chiusero,

per l’ultima volta.

E per l’ultima volta nei tuoi occhi idi il sole,

e l’erba, e i fiori, e i grilli, e le nuvole…

 

Ricordi quando ti risposi:

“Non smetterò mai di vedere,perché io stessa sarò la natura”

Eccomi.

Ora son qui fra i fili d’erba, a ricordare per l’ultima volta,

a contemplare, ad ammirare….

Sto per raggiungerti amico mio”

“Sto per raggiungerti amico mio” sembra sia Annida, Clorinda o Erminia di Torquato Tasso. Peccato! I ricordi si erano innalzati fino alle eccelse vette omeriche ora sono immagini un po' convenzionali, appartengono a una tradizione letteraria, non sono sgorgati dall'anima del poeta in un momento fuggevole di grazia. I versi che si riferiscono a questi ricordi sono bellissimi; per esempio, quando viene descritta la morte dell’elfo che si avvicina; ma non quando questi agiscono davanti a noi. Prima è riuscita a memorizzare nella nostra memoria quelle immagini suggestive, ora nel finale non sembrano più suoi, perciò non ha saputo, o non ha voluto mai raggiungere i momenti veri dei ricordi; quelli umani che ci ha fatto vivere all’inizio del canto e che vorremmo rivedere compresi e attuati.

Reno Bromuro

 

 

 

 

 

 

 

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