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'A piccerella

Di: Vincenzo Giandomenico

 

Vincenzo Giandomenico  (Napoli, 16 maggio 1922 - 5 maggio 1993)

Già sappiamo, avendo parlato più di una volta di questo Poeta, nato nel popoloso quartiere delle Pignasecca, che ancora ragazzino frequentava la famosa «Galleria» (la Galleria Umberto I di fronte al Teatro San Carlo, a pochi passi dal Palazzo reale e da Piazza del Plebiscito) fulcro dell'arte partenopea dove conobbe tantissimi poeti che gli iniettarono nelle vene quell'amore per la poesia e la canzone che già, naturalmente egli possedeva. Fu allievo di «Galleria» di Raffaele Viviani  che fu il suo riferimento artistico. 

La vita artistica di Giandomenico è stata coronata da infiniti successi, ha vinto oltre ventitre premi letterari e in varie parti della Penisola.

Questo mese per «Poeticamente» è stato molto fruttifero, abbiamo avuto l’onore di recensire poesie di alto valore poetico, da Remil a Santamaria  a Sbisà, Anna Petraroli e qualche altro. Compito arduo per eleggere la «POESIA DEL MESE», però se si riguarda il tutto ecco che si fa largo una poesia che amplia la veduta… nel nostro caso però dobbiamo affermare che ha anticipato, come afferma Giambattista Vico, i tempi essendo il nostro morto dieci anni or sono, e in questa lirica vi è tanta reale solidarietà.  

Per solidarietà in senso comune si intende quella predisposizione innata a partecipare alle vicende umane del prossimo, la spinta che porta gli uomini ad aiutarsi reciprocamente e, dall'altro lato, la parola indica il bisogno di poter contare su qualcuno, il bisogno di poter avere l'appoggio di qualche mano amica. Quando si parla di solidarietà sociale si vuol far riferimento alla capacità di sentirsi parte integrante del proprio gruppo, della propria comunità, sia essa la famiglia, un'associazione, la comunità nazionale o addirittura l'umanità, provare interesse per essa, partecipare alla sua vita.

Il termine ha anche un'altra accezione. Solidarietà sta anche a significare quel vincolo inscindibile che lega la sorte di tutti i cittadini ed ancora quel rapporto di interdipendenza che oggi esiste tra i vari avvenimenti del nostro piccolo mondo.

«Mariscià! Io so' Carmela Assante,

tengo nu soprannomme: 'a piccerella!

So' cunusciuta quase a tutte quante ;

io batte 'o marciappiede a' ruvanella».

Avete presente «’A mundana» di Totò? Lì c’è pietà, qui commiserazione e slancio fraterno, solidarietà, appunto. A tal proposito è da dire che la solidarietà impone il dovere di difendere la propria individualità perché diventi la vita della collettività.

L'espressione più frequente della solidarietà tra gli uomini è data dall'amicizia, il legame d'affetto che s’instaura tra due persone, in conseguenza di un rapporto di stima, di fiducia reciproco e di comprensione. L’amicizia più profondamente d’ogni altra forma di contatto manifesta il bisogno di solidarietà, di sentire qualcuno vicino, di veder corrisposti i propri pensieri, i propri sentimenti.

«M’ite pigliate per adescamento,

stanotte avite fatto 'na retata

e 'nmiez'a  sti figliole malamente,

pure a Carmela Assante it'arrestate!

Questo stato di cose incide particolarmente sui giovani che, abbandonati a se stessi da genitori che hanno troppi impegni, corrono mille pericoli. Le nuove generazioni comunque, forse per reazione stanno riscoprendo di nuovo l'amicizia in una forma inedita finora, priva di formalismi e di remore di qualunque tipo. Non vi sono più limiti dovuti a differenziazione di classi sociali o a diversità di sesso ed il rapporto che si instaura tende soprattutto a procurare un aiuto scambievole per affrontare le avversità della vita.

L'amicizia è l'unica base possibile per la famiglia, perché il nucleo familiare senza di lei tende a scompaginarsi per la disparità delle abitudini e dei gusti, per i contrasti tra le nuove e le vecchie generazioni.

«Io quanno sento 'e di': Chella fà 'a vita!

Vulesso tanto dicere a stà gente:

'A storia, 'a storia mia, nun ha sapite ...

Io cu' stà vita moro lentamente!

 

Io porto 'na familia sana annanze,

perdetto a papà mio cinch'anne fà,

povera mamma mia! Che Ddio m'ha scanza!

iette ha servì pe' nce putè sfamà!»

La famiglia costituisce la forma più diretta di solidarietà sociale. In essa i figli apprendono i fondamentali modelli del vivere e fanno le loro prime esperienze.

L'istituto familiare, pur attraversando oggi una profonda crisi, continua a svolgere quelle funzioni che costituiscono la base della convivenza umana.

Oggi la famiglia si sta avviando a diventare un'unità disposta a far partecipare attivamente alla vita sociale, rifiutando il gretto egoismo personale, per manifestare la propria solidarietà al di fuori di un ambito ben definito.

La causa di questa trasformazione dell'istituto familiare è da ricercarsi in un fenomeno che si sviluppa sempre di più al giorno d'oggi: l'associazionismo. Si sono infatti costituiti sistemi collettivi di solidarietà sociale come sindacati, mutue, associazioni politiche, culturali, sportive ecc. Tutte queste organizzazioni hanno i fini più vari, ma tutti fondamentalmente tendono a rafforzare rapporti umani, tendono a sviluppare varie manifestazioni di solidarietà. Fanno in modo da diffondere le nuove idee, sensibilizzando ad esse l'opinione pubblica, sollevano e portano a soluzione problemi, che i singoli non sarebbero in grado di affrontare, svolgono funzioni sociali essenziali.

La loro opera è quanto mai necessaria in questa nostra società nella quale sembrano dominare la mancanza di partecipazione, la disaffezione sociale, l'idea dell'egoismo individuale. Occorre inculcare una nuova educazione che renda i cittadini consapevoli del dovere per ognuno di partecipare agli interessi vitali della comunità. Vi sono troppo spesso esempi di disumana indifferenza, d’inerzia immorale, dal pirata della strada che travolge e fugge, al ladro che non esita a sparare per assicurarsi l'impunità.

«'A sera a' casa, purtava 'na scudella,

era 'a marenna soia d''o miez'iuorno,

nun s'ho mangiava chella puverella ....

Cheste so' cose ca me fanno scuorno !

 

E quante mane stese 'int'o piatto,

ma chella 'e mamma mia, nun ha vedevo,

nun ha vedevo maie chella furchetta!

Comm'a na piccerella essa spereva!»

Il fenomeno ha senz'altro aspetti più preoccupanti. In Italia sta diventando un problema, che ogni giorno angoscia tante famiglie: come lo sfruttamento della prostituzione.

Un tempo questo fenomeno non aveva le dimensioni odierne e non aveva assunto gli aspetti allarmanti di oggi, tanto che poteva dirsi ben controllato dagli organi preposti. Ora il flagello dilaga innanzitutto perché ha trovato un terreno più fertile per allignare, data la crisi strutturale della società moderna e l'ancora più preoccupante crisi della gioventù, poi in secondo luogo perché consente guadagni favolosi a chi, senza scrupoli, spinge col ricatto alcune fanciulle a dedicarsi questa attività.

Prima di vedere più da vicino quali siano gli effetti e le conseguenze, cerchiamo di dire qualcosa sulle cause prime del fenomeno, tentiamo di analizzare le condizioni sociali che hanno determinato il dilagare di questo terribile mercato, molto spesso clandestino, e come ho già accennato, ricattatorio. Ho parlato di crisi della società e crisi della gioventù come cause dell'espandersi della prostituzione. Precisiamo che la crisi della gioventù è solo un riflesso ed una conseguenza della crisi sociale o meglio della crisi familiare, quella che in Giandomenico non esiste, anzi…

«A sidece anne, chest'era 'a vita mia!

Nun ce ha facetto chiù! P'a primma vota,

il lle cuntaie a stà santa na buscia!

P'a primma vota facetto nu peccato!

 

E lle dicetto : Mamma, mamma santa,

n'amico d"a  bon'anema 'e papà,

m'ha truvato nu posto, assaie importante,

dimane parte, pirciò v'aggià  lassà!»

Si assiste quindi ad un fenomeno, che potremmo dire di autonomia culturale dei figli rispetto alla famiglia, che costituisce un motivo di distacco profondo dalla famiglia stessa, con conseguente rifiuto dei modelli di vita da essa proposti e con la contemporanea ricerca di altre norme di condotta. Da ciò la difficoltà del dialogo e quindi la ribellione e l'isolamento. Inoltre la posizione dell'adolescente non è stata mai troppo agevole. Il suo comportamento è condizionato non solo dai mutamenti, che si verificano nella sfera psicologica e a loro volta connessi allo sviluppo fisico, ma anche dal trattamento che gli riserva la società, che spesso non lo considera più bambino, ma non lo ritiene nemmeno adulto. Anzi lo ritiene adulto quando esige da lui determinati comportamenti e lo considera immaturo quando intende imporgli alcune limitazioni.

Da ciò nasce uno stato di insicurezza, la convinzione dei giovani che l'adulto voglia reprimere la loro volontà di autonomia ed allora reagiscono con la passività, l'aggressività.

«Venett’ a Napole, io songhe d''o Celiento

e nu signore me mettette a fà,

stà vita, chesta vita malamente!

Papà d"o cielo m'addà perdunà !

 

Io m'ho ricordo!

Annanze all'uocchie 'o vedo,

'a primma vota dicetto: C'aggià fà?

Se ride sempe 'ncopp'o marciappiede!

E io stò redenno ancora, Mariscià!»

Il fenomeno della prostituzione è sì importante, ma contro le donne sbandate o i gruppi di sbandati che passano le giornate in inutili meditazioni sulle scarse e, molte volte, balorde idee che hanno in testa, ci sono giovani donne che lottano per cambiare il mondo, che non assumono atteggiamenti critici, ma per lavorare, consapevoli che tutta l'umanità ha bisogno della loro opera, cadono nella rete d’organizzazioni che pur di ottenere da loro i propri interessi, le ricattano tenendo in ostaggio i parenti.

Sono questi esseri che dobbiamo capire, come ci suggerisce il Poeta, facendo in modo di far capire loro di non definirsi sfortunati, ma di reagire verso coloro che hanno rinnegato tutti i valori che l'uomo ha conquistato nel corso dei secoli; che devono riconquistare l'amore della famiglia, la solidarietà per i simili, la volontà di costruire e produrre per gli altri, è un atteggiamento che non si confà ad un essere umano pienamente responsabile. Contro il male del mondo si reagisce lottando, non fuggendo.

«Mò quanno vaco a casa 'e mamma mia,

esse me dice: Grazie figlia santa!

Chello ca faie pe' nuie t'ho rrenno Dio!

E io 'a surrido e m'annasconno 'o chianto!

 

Io porto 'a croce 'e ridere sultanto ...

Chiagnere mariscià, io vularrio,

pecchè me metto scuorno tanto tanto,

'nmiez'a na strada e annanze a mamma mia!

 

Nun m'ha facite murì mò 'e pucundrìa ,

so' chiù cuntento d'a fà lusingà,

si pure lle cuntato na buscia,

p'essa sò santa e santa aggià restà!»

Le varie che strade che portano alla consumazione della prostituzione, sono tutte gravemente dannose. Il liberarsi dalle catene che tengono legate queste fanciulle, o donne mature alla schiavitù ingigantisce l’ansia, perciò

«non fatemi morire per ipocondria, la donna santa di mia madre, diciamole ancora una bugia, per lei marescià, io sono una santa, e santa, vi prego fatemi restar».

Reno Bromuro

 

 

 

 

 

 

 

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