MIHAI
MIRCEA BUTCOVAN
nato a Oradea,
Transilvania, Romania, nel 1969 è in
Italia dal 1991, tra gli studi - incompiuti per difficoltà economiche -
di teologia, pedagogia ed ora anche di sociologia,
ha
continuato a fare l’Osservatore Romeno
in proprio. Le sue poesie sono appunti, cronaca
di
una singolare esperienza di immigrazione.
Qui
ci racconta quanto sia forte la nostalgia per qualcosa, qualcuno:
«Il
mio grido ascolta
Parole sul soglio
Vorrei essere il re dei pazzi
E non pregare nessuno
Quale
futuro per gli eredi del trono?
Restare seduti per un’altra generazione».
Il termine Romeni, per indicare
le popolazioni di lingua neolatina e di religione greco-ortodossa
stanziate nelle pianure danubiane, è tardo: le più antiche fonti non
risalgono oltre il secolo Tredicesimo. Né è facile stabilire le ragioni
per cui esse finirono per prevalere e assorbire la componente barbarica
che per circa un millennio, tra il secolo Terzo e Tredicesimo, sostò o
transitò per quelle regioni.
I Romeni della pianura realizzarono, tra i secoli Nono e Undicesimo, a
piccoli principati feudali, mentre in Transilvania subivano, emigrando in
gran parte, l'invasione forzata di tribù magiare e sassoni voluta dai re
d'Ungheria. Ma proprio la minaccia ungherese costituì l'elemento
catalizzatore dei popoli romeni; nel 1330 Basarab batté gli
Ungheresi di Carlo Roberto e creò il principato di Valacchia;
poco dopo Bogdan liberava la Moldavia. La nascita dei
due Stati (voivodati o gospodati) di lingua romena ma di tradizione slava
non significò la fine della lotta di indipendenza. Nel secolo
Quindicesimo alle mire ungheresi si aggiunse l'espansionismo polacco,
costringendo Moldavia e Valacchia a bruciare
tutte le loro migliori energie in una dura lotta di contenimento degli
ambiziosi avversari.
Fu un'epoca di abusi, di rapine, di profonda depressione economica. Dalla
miseria si salvarono soltanto i ricchi monasteri, i boiari e le influenti
autorità ecclesiastiche. Ma fu anche, culturalmente, un'epoca assai
interessante perché l'apporto esterno, sostanzialmente greco, ma anche
francese e italiano, favorì il sorgere di una cultura nazionale: il
cirillico fu sostituito dall'alfabeto latino; il romeno entrò di diritto
nella liturgia; la Bibbia fu tradotta in romeno. Nacque la prima timida
letteratura, non a caso di contenuto storico. Ma questo risveglio dello
spirito indipendentistico fu bloccato, per tutto il secolo
Diciassettesimo, dalla decadenza della potenza turca, che portò a
un'accentuazione delle misure repressive soprattutto per opera delle
autorità locali, e dalle pressioni esterne delle potenze viciniori,
segnatamente l'Austria e la Russia nella loro
lenta ma inesorabile avanzata nei Balcani.
Alla nascita di uno Stato unitario romeno sembrava quindi mancare soltanto
il riconoscimento formale da parte delle Potenze; ma gli ostacoli furono
ancora molti. Nel 1848 Transilvania, Moldavia e Valacchia
insorsero chiedendo la libertà, ma la voce dei patrioti fu soffocata nel
sangue e le assemblee sospese. Un nuovo spiraglio parve aprirsi nel 1854
quando, per la guerra di Crimea, ai Russi si sostituirono gli Austriaci.
Ma, nuova delusione, il Trattato di Parigi, restituì le due regioni
all'Impero ottomano.
La Corte del
Principe di Transilvania, aveva la sua abituale residenza nella città di Alba
Iulia. Già prima del 1541, quando la regina Isabella e suo
figlio Giovanni Sigismondo abbandonano Buda per
stabilirsi ad Alba Iulia, la città era sede del vescovo di
Transilvania e Capitale del Voivodato di Transilvania.
Il palazzo del principe era collocato nell’angolo sud-ovest della
fortezza, vicino alla Cattedrale. E stato edificato in varie tappe. Inizia
il principe Giovanni Sigismondo, quale modifica e allarga il
vecchio palazzo vescovile. In questo periodo, sembra che hanno lavorato
qui maestranze e artisti arrivati dalla Polonia. In un secondo tempo,
sotto la famiglia dei Bathori, prestano la loro opera un folto
gruppo di artigiani italiani. Una scala monumentale assicurava l’accesso
nel palazzo; si crede che questa scala fosse eretta quando il palazzo era
ancora sede del vescovo, precisamente tra 1552 e 1556. Nel 1573 presso il
palazzo sono allestiti dei giardini con fiori comprati nella città di Sibiu.
Gabriele
Bethlen
ammirava molto la cultura italiana. Dimorarono alla sua corte oltre ad
architetti, scultori, orafi, musicisti italiani. Fece venire da Murano
operai per la fabbrica di cristalli,da lui fondata presso Fagaras.
Ebbe una speciale predilezione per Venezia, dove i suoi ambasciatori
acquistavano arazzi, broccati, vetri, bronzi, gioielli, pitture.Sotto Gabriele
Bethlen e Giorgio I Rakoczi il palazzo principesco è rifatto e
ampliato. All’epoca di Bethlen, i fabbricati del palazzo erano
gruppati intorno a tre cortili interni, avevano il tetto piatto e merlato.
Però a un certo punto le acque piovane cominciarono ad infiltrarsi e a
rovinare il soffitto. Per questo motivo, il tetto piatto sarà sostituito
con uno classico, «transilvano», fatto di tegole,per l’ordine di Giorgio
I Rakoczi. Il principe Gabriele Bethlen crea un vasto parco
vicino al palazzo, sopra le casamatte del lato nord del bastione angolare
della fortezza: Vengono piantati alberi di albicocco, e vite. Giù, fuori
le mura, è sistemato il giardino vero e proprio, con diversi fiori. I
fiori preferiti dal Bethlen sono: la rosa, il giglio, la reseda, la
viola mammola, il mughetto e il fiorcappuccio. Nel parco, i viali sono
affiancati dai tigli, e passano dei ruscelli con le rive bordate di
cipressi. Il Principe è eletto a vita, dal Parlamento, detta Dieta, ossia
i deputati delle «tre nazioni»: la nobiltà, i capi dei Siculi e
le città sassoni. All’elezione partecipavano anche i rappresentanti
delle parti orientali ungheresi aggregate alla Transilvania. L’elezione
non era però veramente libera, perché si svolgeva sovente sotto la
minaccia di truppe straniere e di pascià ottomani. Le entrate del
Principe, ammontano a 150.000 ducati d’oro l’anno. Ad Alba
Iulia, sono ricevuti gli ambasciatori delle potenze straniere e altri
ospiti di riguardo, in transito per il paese. Sono presenti, al servizio
del Principe e della sua famiglia, uno o più medici o chirurghi,
letterati di fama europea, architetti, pittori, musici, buffoni. Alla
corte di Sigismondo Bathori lavorarono l’architetto Simone
Genga, il pittore Niccolò Greco, il musicista Battista
Mosto. Lo stesso principe Sigismondo suonava spesso la mandola
e aveva fatto chiare i musicisti della sua orchestra dall’Italia. Nella
seconda metà del Seicento, il principe Michele Apafi
aveva riunito ella sua orchestra ben diciotto musicisti.
All’epoca dei Bathori, la lingua italiana era una chiave che
apriva parecchie porte. Già prima, la regina Isabella e suo figlio
Giovanni Sigismondo si servivano di preferenza dell’italiano.
Michele
il Bravo
era considerato dall’opinione pubblica, Principe della Transilvania. Si
preparava per andare verso la residenza dei Principi, ad Alba Iulia.
Il giorno 17 agosto 1601, Michele manda gli uomini di Giorgio
Racz e Basilio Marza ad occupare il palazzo principesco di Alba
Iulia, rispettivamente la fortezza Fagaras, dove si
trovava trattenuta la sua famiglia. Poi, al mattino di 18 agosto, fa
sapere la sua intenzione di marciare lui stesso verso Alba Iulia
coi mercenari rimastigli. Lo stesso giorno, il generale Basta
prepara il piano per l’arresto di Michele in serata, se avesse
preso parte al Consiglio di Guerra. Ma Michele non si presenta,
forse avrà sentito qualcosa. Comunque, la sua sorte era segnata, perché Basta
l’aveva già condannato.
Per primo gli si avvicinò un luogotenente armato di alabarda, e gli intimò
di costituirsi prigioniero. Il Viovoda impugna subito la sua spada e
gridando «Io, prigioniero?» colpisce la lunga arma. L’asta
dell’alabarda si spezza. In questo momento un moschettiere si avventa
verso Michele e afferra l’elsa della spada con la quale il Valacco
si voleva difendere. Le morde le dita della mano. Michele allenta
per un momento la stretta: fatale momento, perché il moschettiere,
toltagli la spada, subito con essa gli taglia la testa.
La testa del Voivoda Michele fu imbalsamata e mandata in Valacchia,
altrimenti i nobili del paese non avrebbero mai creduto alla morte del
loro sovrano.
I romeni, nei secoli a venire, avranno un modello a cui fare riferimento,
un punto fermo: Michele il Bravo.
Forse è di questa monarchia che il papà ha nostalgia; e la sua più
preoccupazione:
«Quale
futuro per gli eredi del trono?
Restare seduti per un’altra generazione».
Il 20 maggio 1990 Iliescu
fu eletto presidente in funzione transitoria,trenta mesi di mandato,
mentre le contestuali elezioni legislative affidarono al Parlamento il
ruolo di Costituente. La grave crisi economica, resa più sensibile dalla
liberalizzazione dei prezzi, e il persistere di una certa ambiguità della
situazione politica interna segnarono il biennio successivo. Varie e di
diverso segno furono le manifestazioni di protesta, da quella violenta dei
minatori contro l'opposizione studentesca del giugno 1990, a quella del
settembre 1991 in cui i minatori chiedevano a gran voce le dimissioni di Roman
e a seguito della quale egli indicava come suo successore Teodor
Stolojan, che veniva nominato primo ministro nell'ottobre 1991.
Successivamente, con referendum popolare, nel dicembre 1991, veniva
approvata la nuova Costituzione, che sanciva l'instaurazione in Romania
dello Stato di diritto.
Sul versante economico il governo avviava un piano di privatizzazione
delle imprese statali, la cui modesta riuscita non poteva evitare il
deprezzamento della moneta nazionale e la sua conseguente svalutazione. La
mancanza di aiuti internazionali non consentiva però il dispiegarsi di
una politica economica che, per aggredire realmente la drammatica
situazione del Paese, doveva contare su un adeguato sistema di
ammortizzazione degli inevitabili costi sociali. In queste condizioni il
presidente Iliescu si presentava alle elezioni dovendo fronteggiare
una composita ma agguerrita opposizione che riusciva a ribaltare il
risultato di quattro anni prima.
In luogo di Corbea veniva nominato il cristiano-democratico Radu Vasile:
il nuovo governo si adoperava anche per restituire la cittadinanza all'ex re
Michele, accordata nel febbraio 1998. La crescente instabilità
economica determinava, nel dicembre 1999, una nuova crisi politica, che
portava Emil Constantinescu, a revocare il mandato al primo
ministro Radu Vasile e a nominare come premier ad interim il
ministro del Lavoro, il socialdemocratico Alexandru Athanasiu. Le
elezioni presidenziali del 2000 decretavano il ritorno di Iliescu
che, riportando una schiacciante vittoria su Corneliu Vadim Tudor,
il leader del partito nazionalista România Mare, fermava con
l'appoggio della Convenzione Democratica l'avanzata dell'estrema destra
razzista e xenofoba, divenuta la seconda forza politica in Parlamento. Iliescu,
accettata quindi la collaborazione con i partiti di centro destra anche
nella speranza di ottenere una maggiore fiducia dalle istituzioni
internazionali per fronteggiare la difficile situazione economica del
Paese, designava come premier il vicepresidente del PDSR Adrian Năstase,
che formava un nuovo governo di minoranza con l'appoggio esterno della
Convenzione Democratica.
La lirica di Butcovan,
oltre
a fare la storia della Romania dalle origini ai nostri giorni,
accende la fiamma della speranza sua e del popolo romeno, dopo essere
rimasto seduto ad attendere la nuova generazione.
C’è nei versi un
lirismo intenso e vibrante, un balenio di immagini disordinate, ma vivide,
dai colori accesi della speranza, in grado di evocare con forza suggestiva
e rapida la figura paterna vinta ma non doma per la fine della monarchia.