Ritorna alla Home Page di: Poeticamente

"Le recensioni qui presentate sono tratte dalla Mailing List di Poeticamente"

Echi di un'oasi lontana

Di: Carlo Salvadorini

 

«Echi di un'oasi
lontana nel tempo
e di una stagione diversa
quando credevo nell'amore».

Al principiare della poesia ci sta dinanzi un’oasi lontana nel tempo: è la prima ora del giorno. Il cielo puro e trasparente del mattino palpita al soffio di una brezza lieve; i prati rinfrescati dalla rugiada hanno un verde tenero e lucente della nuova stagione diversa; i fiori, sui quali brillano goccioline iridescenti, ingemmano il verde intorno all’Oasi e l'erba si riveste di bei colori; l’amore creduto è come le acque desiderate che paiono vene di cristallo; e i raggi del nuovo sole si distendono come luminoso manto sulla terra.

«quando credevo nell'amore».

«Quando credevo nell'amore», gli uccelli salutavano festosamente la luce col loro canto di creature liete di vivere e di librarsi nell’azzurro.  Uscivano le belve dai covili; e pareva avessero perduto ogni ferocia, e tutta la loro esistenza fosse nel piacere di risvegliarsi alla vita e distendere le membra in quell'aria fresca, in quel tepore di primo sole. Lo stesso sentimento che era in me, simile a una fiera agile e snella, che viveva tutta nella gioia di correre per la foresta della vita, sul cavallo più veloce del mondo.

Quando credevo nell’amore muovevo il florido corpo giovanile, pronto a specchiarmi nell'aurora, di aprire gli occhi sul mondo e guardarmi intorno beato.

«C'erano palme
ed un viale
poi la porta trasparente
di uno stupido hotel...
..”ti voglio ti voglio
meraviglioso uomo mio”».
Questo mondo silvano è l'immagine piena e perfetta, sembra riassumere in sé, compiutamente espresso, quel tipo ideale di giovinetto, che accoppia un senso di vigoria tranquilla, quasi inconscia, alla fragile grazia dell'adolescenza, sul labbro il sorriso franco e fiducioso della dolce età fiorita.

Par di vedere scolpite nelle ombre delle palme, lungo il viale la più alta espressione pittorica in qualche figura di Giovanni Fattori; e, nella scultura, il Davide verrocchiesco.

Il canto lo seguiamo con amore; lo ammiriamo sollevato in uno slancio quasi di volo nella corsa veloce e leggera; sentiamo arrestarsi la foga impetuosa, e ascoltiamo il ronzare del vento tra i rami delle palme, per l’aria che vi circola impetuosa, come se fuoriuscisse dall’anima sua.

«Una cena in una stanza
quasi in silenzio
per dire per non fare
per non lasciarsi andare.
Ecco la cena è finita
siamo di fronte
vuoi sentirmi vicino
vuoi sentire il mio odore
e ti avvicini a me
teneramente».
Nel leggere questi versi, ci torna insistente il ricordo di un altro personaggio artistico, il Siegfried wagneriano, egli pure gioiosamente immerso nella vita fresca della natura, superbo della sua esuberante forza giovanile, quale lo vediamo irrompere sulla scena al cominciare del primo atto, intonando il giubilante «grido del fanciullo del bosco».

All'uno e all'altro, in sul finire della giornata radiosa, si fa incontro l'amore; ma il Salvadorini lo spegne nella sua ingenua naturalità per accenderlo poi di sovrumana passione.

I primi versi paiono riassumere in sé il motivo fondamentale di Carlo Salvadorini, il piacere di perdersi in corsa sfrenata nell’Oasi dietro alle immagini che si accentuano e si moltiplicano, dando l'impressione,con quella sapiente posizione spaziale, d'una distesa ampiezza d'orizzonte.

I versi che seguono, a un osservatore superficiale potrebbero parere enumerazione particolaristica,nude e semplici notazioni, esce un unico quadro di spasmodica attesa: ottenere finalmente quell’amore sognato e non l’effetto affascinante di esso, ché ciò non basta al nostro poeta; egli non accetta né vuole solo il valore pregnante della parola, sopravalutata in poetica musicalità: si osservi, per esempio, quale visione venga fuori dallo stesso verbo ripetuto sentirmi e sentire e la chiusura della strofe con l’avverbio teneramente. Questa chiusura della strofe è un'ondulazione melodica che pare dolcemente cullarci: il primo verso è come rotto in due onde musicali dalla pausa forte sulla sesta sillaba e s'allarga in ampia distesa:

«Ora siamo solo un alito
i mio occhi contro i tuoi occhi.
Verdi come una maledizione
che si ripete...
Un bacio...due baci
noi due ormai stretti
per un'osmosi disperata
per quello che sapevi.
Non c'ero io lì…
non ero io lì.
Amore...amore…amore
ti voglio...ti voglio.
Voglio i tuoi capelli
voglio le tue dolci carezze».
La melopea si concentra in due nitidi quadretti: i due innamorati soli che si guardano rapiti negli occhi su di un'aerea cresta nello sfondo limpido del cielo, e il Poeta steso all'ombra delle grandi palme. Poi ecco nuovamente la vastità dell'orizzonte:

«Un bacio...due baci
noi due ormai stretti
per un'osmosi disperata
per quello che sapevi»,
la terra si veste con lussureggiante magnificenza, e la ripetizione dei baci sembra allargare la scena, perché il Poeta vuole cullarci nella sua melodia: rotto il verso dalla forte pausa che separa la prima parte dagli accenti che si sono incalzati, per farci appoggiare e distendere mollemente: nell'armonia di un canto maggiore per uniformità; perché anche più avanti il verso, ripete illanguidita la pausa del primo.

«La notte non passa mai
un'eternità disperata
per poi risvegliarsi
anzi non dormire
in quella storia che per me
era l'ultima.
In silenzio ...le grida…
una notte d'amore
solo amore, ma senza senso
perché effimera chimera».
Riprendono i quadri chiusi e limitati, schizzati con rapidità ed efficacia; le figure sono come immobilizzate, e ti danno quel senso di finito, il senso proprio dell'arte di ogni tempo.

Mi sovviene il villanello di Dante, osservando questo Poeta isolato in un’oasi in contemplazione di:«un’eternità disperata», che l'austerità dantesca non avrebbe mai consentita.

Pure tutta quest'agitazione e questo frastuono non hanno nulla d'incomposto,e s'immobilizzano nel giro calmo dei versi pieni ed eguali:

«Ora ti rivesti
e mi vuoi ancora
mi vorresti ancora
per la vita.
Ed io... addio
tenero amore
Mi hai dato una possibilità
di sentirmi per l'ultima volta uomo.
L'oasi... le palme
la stradina con gente silenziosa,
forse tutti ugualmente amanti
e alla ricerca solo di silenzi.
L'addio... ma no
stai ancora con me
stai con me tutta la vita
avrai tutto quello che vuoi.
Addio... tenera amante di una notte
di una notte che non finiva mai
e di un viaggio senza alcun senso
fatto solo per curiosità»,

ma la scena si spezza in particolari figurazioni, che si raccolgono tutte intorno a quel senso generale di spavento, figure isolate ma vive di possente vitalità animale, sfiorate dalla compassione.

«Ma grazie per avermi
dato una dignità
ancora l'orgoglio
di essere uomo
di non sentirmi
troppo solo.
Grazie amante mia…ti ricorderò
come un momento di vita vissuta e perduta.
Forse ho sbagliate in quel vialetto
ma non volevo vendere il mio corpo
né la mia mente e la mia anima.
Ora la mia anima è
di un dolce creatura
che è sempre con me
che mi sveglia
che mi addormenta
tenera amante
complice sorella
forse anche madre.
Ma la mia oasi ora e sempre sarà soltanto lei
e niente più. Se lei lo vorrà. Se mi amerà».

Anche la foga di Salvadorini s'allenta a poco a poco, e l'impetuoso innamorato va spogliando la sua rabbia, tutto preso dall'incanto di quel vago e irraggiungibile amore; e gli s'intenerisce il cuore stanco e desideroso: è pago di rimanere in quell’oasi, perché non è più solo.

«Ma la mia oasi ora e sempre sarà soltanto lei
e niente più. Se lei lo vorrà. Se mi amerà».

Reno Bromuro

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna alla Home Page di: Poeticamente

Ritorna all'indice di: Poesie & Recensioni

Leggi la Poesia recensita