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Non voglio odiare Dio

Di: Francesca Battaglia

 

Francesca Battaglia è nata a Torino sotto il segno del Sagittario, e, come tutti i nati sotto questo segno è di una pignoleria esasperante.Non vorrei essere frainteso, per pignoleria intento la ricerca, nell’opera d’arte, della perfezione ad ogni costo.

Ha raccolto una certa notorietà frequentando assiduamente i vari siti letterari che popolano il mondo Internet. Recentemente ha pubblicato, per i tipi della «Taurus Editore» la sua prima raccolta di liriche con un titolo emblematico «L’UNIVERSO IN ME» (di questo parleremo a parte), oggi ci occupiamo dell’ultima lirica postata; una lirica vergata così come le dettava il cuore in quel momento; l’ha postata senza nemmeno prendersi la briga di rileggere quanto aveva scritto; evidentemente si trovava in un momento particolare, ma questo atteggiamento non ha tolto molto all’opera che pure, in qualche punto, appare più un rebus che una lirica per la mancanza di una punteggiatura adeguata; ma la punteggiatura potrebbe anche apparire superflua, stando alla moda, mentre la disposizione dei versi, la metrica spezzata alla Garcia Lorca, non permette una leggibilità più certa; Lorca anche se «tagliava i versi con l’accetta» è comprensibilissimo, quello che non trovo qui, anche nel senso del contenuto, che a seconda di come si intende mettere una pausa o una punteggiatura, muta di significato: letta in un modo può apparire blasfema, letta in un altro è una preghiera struggente e sentita fortemente. Mi ricorda una lirica di Salvatore Di Giacomo: «… e si Ddio nun ce stà,/ si Ddio fosse nu nomme e nient’ato?…/ Povera Mamma mia che ‘nce ha creduto/ e m’ha ‘mparato pure a me a nce credere…» Scusate la divagazione e ritorniamo alla nostra.

Vorrei paragonare questa poesia a quella del Duecento, a tutti quei ruscelli che scendono dai ghiacciai e corrono tra le balze e gli anfratti della montagna, nascondendosi spesso all'occhio dell'uomo finché, ai piedi del monte, si riuniscono tutti quanti in un solo corso, formando il fiume che scende a valle ricco di acque e continua il suo corso fino al mare, portando in ogni luogo fecondità e prosperità; perché presenta molte correnti poetiche che spesso non sono altro che tentativi fatti dall’autrice per esprimere quella passione letteraria che sente nell’animo, ma che, come in questo caso, l’ha condizionata e non le ha permesso di esplicare il suo sentire in una forma veramente artistica.

«Non voglio odiare Dio
perché mi ha dato questa vita.
Non l'ho chiesta
me la son trovata addosso».
La lirica della Battaglia ricorda molto da vicino una delle prime correnti letterarie della storia che è rappresentata dalla poesia religiosa con S. Francesco e prosegue poi coi laudesi i quali cantavano i miracoli di Gesù e della Vergine, episodi del Vangelo e la vita dei Santi. Tra questi poeti il più notevole è, senza dubbio, Jacopone da Todi che raggiunse nella sua poetica momenti di vera lirica inspirata da un sentimento sincero, da una fede profonda, da un grande desiderio di bene, lo stesso che è gridato a voce spiegata dalla Battaglia:

«Cerco di darle un senso
ma non l'amo e non l'ho scelta.
Compio tutti i giorni gesti metodici,
sopravvivendo alla notte
che oscura il sole,
aspettando un segnale
che risponda ai miei perché».

Naturalmente, devo tener conto del grido straziante degli ultimi versi, i quali non hanno nulla a che vedere col Duecento né con la corrente che riguarda la poesia della Scuola Siciliana e della Toscana della seconda metà del Trecento.

La lirica presente si avvicina molto a questo periodo per la somiglianza irruente con l’Angiolieri. Ricordate «S’io fossi fuoco»? Nella seconda parte e specificamente nel finale c’è un’espressione di condanna sociale, dominata dal sentimento religioso in tutta la sua purezza; qui è palesato lo scopo morale e educativo, ravvivato da una potente umanità, da un vigoroso sentimento del senso della vita, da una ormai vigilanza dell'arte cui il poeta si impossessa maestralmente. Veramente nel finale il travaglio di Francesca Battaglia  costituisce un’eredità preziosa di cui ella si è valsa per risalire la corrente e dominare l’Io creativo.
«
Non c'è nulla nel nulla che mi circonda
e viaggio perennemente,
cercando una stazione

sul mio peregrinare,
che conduca a quel punto fermo
dove costruire il mio domani»
.

Questi ultimi versi dipingono con immagini realistiche, pur essendo rabbiose come uno scoppio d’ira personalissimo, e descrivono forse la scena più crudele del nostro periodo: il continuo peregrinare dei giovani, sia che abbiano studiato ed aver conquistato «quel pezzo di carta», sia quelli che per necessità abbiano imparato un mestiere.

Quanta furia rabbiosa e quanto amore è profuso:

«cercando una stazione
sul mio peregrinare,
che conduca a quel punto fermo»
questo grido potrebbe avere un riscontro evangelico nella disperata ricerca della stazione perché la stanchezza del peregrinare le fa mancare anche le forse per  asciugarsi il volto rigato di lacrime, non parliamo poi del sangue che scorre veloce dall’anima con la piaga aperta, e Lei vorrebbe esporsi come la Veronica che asciugò il volto del Signore rigato di sangue, per sentire la certezza del miracolo ottenuto: aver trovato la stazione dove è pronto un treno che la porterà, finalmente a quel punto fermo tanto desiderato; non per sé ma per tutti i giovani come lei.

Ho trovato alcune espressioni di lettori che, a caldo, appena letto la lirica l’hanno commentata Silva così si è espressa:

«quella vita che dici di esserti «trovata addosso» è ciò che ti spinge a cercare Dio, a percorrere un cammino di ricerca di Verità...E questo tuo viaggiare in attesa di qualcosa che ancora non hai visto arrivare è il cammino verso la meta, una meta che non ha la finitezza propria di questo mondo... L'unico modo per poterla cogliere in qualche istante di «illuminazione» è di cercarla in quelle scintille di divinità che non sono fuori, ma dentro di te...»

E Piero Donato ha affermato: «Si legge grande disagio, in forma ciclica: cambiamenti, non sempre positivi, lasciano piccoli spazi alla speranza, mai doma, anche se a volte un po' piegata, per ricostruire un domani su altre basi, solide, che soltanto s'intravedono».

Reno Bromuro

 

 

 

 

 

 

 

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