Fabio,
ho ventisei anni, lavora a Milano
e vive a Monza
con il mio fidato compagno: un cane stupendo di 23 mesi.
Ha studiato
Ragioneria in un Istituto
Statale a Sesto San Giovanni,
con discreto successo... non gli è stato semplice convivere con alcuni
personaggi della scuola, che pieni di sé pretendono di insegnare al
prossimo cosa è giusto; ma, come dice Giobbe
Covatta? «Basta
poco che c'è vò!»
Dopo
il trauma scolastico, che lo ha fatto soffrire veramente, parte per il
servizio di leva... assegnazione: Roma,Granatiere
di Sardegna.
Questo grazie al suo metro e ottentotto. Quirinale
- caserma,
Caserma
– Quirinale:
c’è da impazzire! Tutto sommato, però, una bell’esperienza! Afferma
che quello è stato l'anno in cui si è divertito di più.
Durante
il servizio ha ricominciato a scrivere... sì perché la passione per la
poesia era in lui già quando frequentava le elementari. Allora
pubblicarono alcune poesie su un libro, una sorta di raccolta dal
titolo «Boccioli
di poesie».
La distanza dalle persone dai luoghi e dalle cose care gli procura una
tremenda malinconia; e questo dolore riesce a placarlo solamente
scrivendo... scrive di tutto, poesie, lettere…
Finito il servizio militare parte la sua corsa all'oro, trovare un
benedetto lavoro... e cominciano i guai. Ha fatto di tutto dal paninaro di
una birreria di Milano,
ad alcune pubblicità televisive fino ad arrivare di fronte al computer
dal quale scrive.
Nella
lirica di Fabio
Broggini,
è rappresentato il cerchio magico dell’Io, quel quid della felicità
tema sul quale Rousseau
e Johnson dissentivano inevitabilmente. Per Johnson, era un
dono passeggero; per Rousseau, un diritto umano naturale.
«Lascio
a te i miei occhi…
Così che tu possa vederti…»
Avrebbe
voluto erigere una grata d'oro intorno al luogo in cui l'aveva conosciuta,
tuttavia si limita ad affermare che lascia a lei i suoi occhi e comincia a
parlare di una conquista memorabile.
Broggini
ritiene di avere veramente raggiunto la felicità; si ricorda della prima
occasione quando scrisse la prima poesia,quando il suono delle campane che
annuncia la Domenica delle Palme gli rammenta che erano «trecentosessantacinque
da quando ha conosciuto Lei... Quell'incontro ha determinato il corso di
tutta la mia vita». Non passa giorno, in cui non ricordi con tenera
gioia quel breve e straordinario periodo della vita in cui è messo
completamente, senza falsità o impedimenti, di fronte a se stesso e
durante il quale può veramente dire di aver vissuto.
«Lascio
a te il mio pensiero….
Così tu
capisca quanto tu sia nel mio io…»
Quest’esperienza,
molto transitoria, è rievocata ma non produce nessun seguito proficuo,
perché è semplicemente l’implorazione a ricordare che lei è nel suo
io, come un preludio tormentato e fastidioso, ma fermo. Non cerca un nuovo
rifugio gli basta sapere di vivere una delle passioni maggiori della sua
vita. Invece di scrivere avrebbe voluto darle tanto piacere, tanta
esaltazione, quanto tutte le scoperte che faceva sulla struttura e
l'organizzazione della ricerca della parola e la sua musicalità; quei
piccolo grandi, singolari particolare che rallegrano l’innamorato più
che una visita di «LEI» che, pure avrebbe potuto
illuminare la vista e aggiungere nuovi colori alla visione di un universo
organizzato in modo bello e armonioso.
«Lascio
a te il mio cuore…
Così che tu possa sempre tenerlo vivo…»
Il
più socievole e affettuoso degli uomini lascia il suo cuore, perché
egoisticamente, si augura che nella mani di «Lei» avrebbe
vissuto di più. Quest’amore sviscerato, ha fatto escogitare all’«Io
creativo» la tortura più crudele per un’anima sensibile; ha
spezzato violentemente tutti i vincoli che lo legavano ancora alla terra e
agli uomini. Poi, a poco a poco, dalle pene della situazione attuale
simile ad un brutto sogno, la memoria torna alla speranza che LEI
possa finalmente essere certa che il suo «Io» è in Lei,
da molti anni prima, anche quando aveva goduto una pace transitoria. Ma se
esiste uno stato in cui l’animo trova un equilibrio abbastanza stabile
per riposarvisi completamente e raccogliere là tutto il suo essere, senza
aver bisogno di ricordare il passato né di sconfinare nel futuro, in cui
il tempo non conti e il presente duri sempre, senza però lasciar traccia
del suo durare né del succedersi, senza nessun altro sentimento di
privazione né di godimento, di piacere né di pena, di desiderio né di
timore, se non quello della nostra esistenza che, da sola, possa
soddisfare completamente l’animo; fin tanto che questo stato dura, colui
che vi si trova può chiamarsi felice, non di una felicità imperfetta,
povera e relativa, come quella che si trova nei vari piaceri della vita,
ma di una felicità bastevole, perfetta e piena, che non lascia
nell’animo alcun vuoto che sia necessario colmare.
«Lascio
a te il mio pianto…
Così che tu possa farlo diventare un sorriso…»
Da
questo punto di vista la lirica di Fabio si muove come un pendolo
tra due identità: scritto di consolazione, alla maniera di Seneca
e della tradizione stoica, che evocando un mondo d’immagini fa di queste
il veicolo di riflessioni metafisiche come guida per coloro che nella vita
smarriscono se stessi; o scritto d’esultanza, per la pienezza
dell'essere cui appartiene ogni filo d'erba, su cui non è troppo pensare
un intero volume da scrivere, e davvero non lo è se l'essere è nella sua
pienezza in ogni filo d'erba, e in noi.
«Lascio
a te la mia esistenza…
Così che tu possa darle un senso…»
Forse
è pedanteria distinguere gli elementi della meditazione poetica
testimoniata, la cui unità non si lascia scomporre facilmente senza
distruggerne la bellezza in distinzione analitiche necessariamente prive
di vita, com’è invece il modo filosofico di vivere l'esistenza nella
sua pienezza di cui ci parla, soprattutto se la meditazione è dominata
dalla facoltà poetica della disincarnazione delle cose e la creatività
delle facoltà,
che non operano mai insieme, sempre presentate in sequenza, che sembrano
corrispondere ai due tempi del vissuto e della memoria, anche se la
corrispondenza può invertirsi. Le due facoltà sono l'immaginazione
e la riflessione,
il libero fantasticare e il collegare immagini a concetti
astratti,riflettendoli come in uno specchio con le metafore poetiche della
tradizione antica e moderna.
«Tengo
per me il tuo sguardo…
Così che tu possa
illuminarmi la
via quando è buia…»
E'
evidente che questa consapevolezza nella cultura occidentale percorra una
strada proprio sulla base delle analisi delle drammatiche conseguenze, che
lo stesso intervento della cultura ha avuto sulla poesia, devastandola, ed
è altrettanto evidente che oltre a mettere in risalto i danni provocati,
si premunisca di sottolineare quanto tutto ciò potesse provocare
un'instabilità culturale e un fallimento nel campo letterario. Ma
l'analisi del danno provocato nel voler non rispettare gli elementi base
per una buona poesia spezzando il verso senza remore alcuna pur di far
vedere che le parole così spezzate non fanno la poesia e distorcono gli
equilibri dinamici del sistema della metrica e quindi viene anche a
mancare la musicalità, e la poesia (così chiamata dai tanti «scrivitori»
di versi) non c’è più, perché si ha la prosa; per dirla con Benedetto
Croce si ha la «non poesia».
«Tengo
per me la tua voce…
Così che tu possa suggerirmi il giusto….
Tengo
per me la tua passione…
Così forte, fragile e delicata
Tengo
per me questo scritto
Come prova della sua esistenza e
a quale amore
la sua provenienza».
E'
opinione comune che il movimento artistico moderno per la tutela
dell’arte non coincida con la pubblicazione di un bellissimo libro, che
sia lucido, affascinante e documentato atto d'accusa sull'individualismo e
sui gravissimi danni inferti alla cultura italiana, che uscita dalla
provincializzazione con Ungaretti, Montale, Cardarelli,
Alfonso Gatto e Pisolini, vi ritorna più provincializzata
che mai, grazie ad editori senza scrupoli che pubblicano di tutto purché
l’autore paghi con moneta contante il nome dell’editore, perché non
c’è distribuzione eccetto in qualche piccolo editore che fa seriamente
il suo mestiere con passione e amore per le cose belle. Scaturiscono così
diversi dilemmi: come riuscire a garantire la sprovincializzazione della
cultura italiana? Penso che la prima cosa da farsi è che coloro che si
autodefiniscono editori e pubblicano con la cooperazione dell’autore,
che poi non è neanche cooperazione perché la pubblicazione dell’opera
è a carico dell’autore (ma egli non lo sa) e dopo un anno, allo scadere
del contratto d’edizione, fa recapitare una lettera con la proposta, per
non mandare al macero la fatica intellettuale, di acquistare lui
(l’autore) le copie invendute (tutte) pagando solo il
10% sul prezzo di copertina. E i soldi pagati prima?…
Ringrazio dal profondo del cuore Fabio Broggini per avermi dato la
possibilità di sottolineare lo stato della cultura sia letteraria, sia
poetica, sia artistica, in modo che i lettori sappiano in quale stato
sopravvive la vera Poesia. E’ poca cosa, ma rinsaldiamola, e solo noi lo
possiamo fare, disertando le proposte di quegli editori che vogliono
accalappiarci con le loro buone maniere.