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Il silenzio

Di: Piero Donato

 

Stamani, tra i messaggi mattutini mi sono giunte due tre poesie una più bella dell’altra, ho fatto tre fogliettini ed ho estratto a sorte «IL SILENZIO» di Piero Donato    

Piero Donato è un giovane quarantaduenne genovese, scrive per le Associazioni e le riviste letterarie. Ha avuto numerosi i riconoscimenti, nazionali e internazionali (ne annovera più di trenta); quest'anno è stato nominato membro Honoris Causa a vita del Centro Divulgazione Arte e Poesia - Unione Pionieri della Cultura Europea.

Dal 1993 ad oggi ha pubblicato alcune raccolte di poesie, tra cui: «Impulsi e forma», per i tipi della  Erga Edizioni, Genova;  «Utopia di fine Novecento» per la Ibiskos di Empoli, che gli sono valsi il 1° Premio «Franco collabora Bargagna»;  il 1° Premio Speciale Internazionale «Associazione Artisti di Genova»; il 2° Premio «G. Leopardi»; il 2° Premio «Pirandello»; il 2° Premio «Dante Alighieri»; il Premio Selezione Europea «Carlo Goldoni». Sono numerosi i riconoscimenti anche nella narrativa e nel teatro.

II miglior commento a questa poesia è la lettura che, secondo me, dev'essere fatta in solitudine e raccoglimento. Sono versi liberi cui manca solo il quaternario e, penso, giustamente, perché un tale verso avrebbe forse interrotta o rallentata l'armonia. L'arte donatiana qui sta tutta nella ricchezza delle parole che sono scelte con una proprietà e una potenza di espressione che si può definire incomparabile.

«Da piccolo non trovavo quiete nel silenzio,
perché era non voluto, ma obbligato.
Eppure il silenzio non tradisce
semplicemente perché non ne è capace».

Il silenzio, veramente dominatore, nella stupenda semplicità linguistica scintilla e si scaglia su tutto, cioè è intessuto alla superficie di quei tristi ricordi in cui «il silenzio era obbligato». Dinanzi agli occhi attoniti (poiché questi versi mi riportano alla memoria la fanciullezza non vissuta) il silenzio galoppa sulle piccole onde luminose che ben sono paragonate dal ritmo «da barcarola napoletana», cui le frasi lapidarie emettono cerchi concentrici e lucenti che scoprono come un velo «effetto notte» che fa tanto cinema. La grande distesa che apre il verso «Eppure il silenzio non tradisce» fa sentire il lettore come portato su una nave da crociera, dove, l’unico rumore è lo sciabordio delle acque contro lo scafo.

Le onde ormai in pieno tripudio si scavezzano, si spezzano, precipitano nel cavo sonoro prodotto dai versi e noi rimaniamo ammaliati, come Ulisse dal canto delle Sirene.

Il poeta le segue, queste onde, a una a una incantato, e le rimanda al lettore rimasto cogli aperti e fissi in quel mare che riesce a vedere attraverso il Poeta.

«Ma il silenzio può essere un nemico mortale
perché è specchio inesorabile
e ti getta addosso ciò che sei,
ciò che non vorresti, forse.
Ti lascia solo
quando avido annaspi in una solitudine sottile
che non è che commiserazione di te stesso,
autocompiacimento.
Il silenzio oggi sa d'esser cosa rara,
poco importante,
quasi non voluta
                       perché non cercata».
Il canto spumeggia, biancheggia, s'allunga, rotola, galoppa, s'intoppa con i versi che si succedono, in estasi di fronte al divino spettacolo del silenzio, il cantore vede e sente la gran voce del cuore e parla a chi sa ascoltarlo con quella religiosa attenzione che l'uomo deve portare nel gran tempio della Natura dove è presente l'onnipotenza del Creatore.

Ma la discordanza ripetitiva della seconda strofe dà un po’ fastidio perché il cantore si erge a «moralista» perdendo di vista il significato e il silenzio, che gli aveva risvegliato fantasmi corali e chiacchieroni, ed è un grande peccato. E’ solo un attimo perché dopo, fingendo che quanto ha detto è solo apparenza cerca con l’ultima strofe di ridare quella grande armonia, che si vedeva perduta; quindi: accoglie e fonde le dissonanze acute nelle sue volute profonde libere e belle. La scena ora è avviata e completata dalla presenza del poeta. La sua Musa ispiratrice, che coglie nel verso i moti, i colori, i sussurri tutti del silenzio e li fissa nell'eternità della parola. Piero Donato è felice al richiamo canoro della Musa: è lo stesso poeta che non vuole più il silenzio, in quanto ha capito che può essere controverso, specialmente se ci si sente soli.

E veramente si deve affermare che qui il Donato si è immedesimato nella musica delle sue parole, dimenticando tutto, per inebriarsi in essa e godere tutta la freschezza poetica, ritornata a lui, ricca di sensazioni delicate e vivaci per cui egli gode di ciò che ha visto e di ciò che ha saputo creare, di ciò che ha rubato ai ricordi e di ciò che egli dona agli uomini col suo verso che gareggia con la voce imponente delle cose e le supera perfino, modulando una squisitezza di note varie e profonde che forse nessun'altra potenza naturale può dare.
La poesia si sarebbe potuto concludere, eliminando «il moralista» e racchiuderla in una sola strofe perché il poeta potesse concludere dicendo d'aver cantato qui la lode «della storia».

«Ma il silenzio ampiamente ripagherà
quando dal fondo spalancherà la porta alla tua voce
e sentirai il gemito mutarsi in polvere
e la fatica dissiparsi nell'attesa,
quando finalmente accetterai la tua anima scarna
riflettersi dallo specchio,
quando non avrai più paura del futuro
perché futuro e passato saranno la stessa cosa.
Soltanto allora il silenzio restituirà in eco
la memoria di te stesso».
E' in sostanza, anche un gioco stupendo di rime interne, tutte indovinate, tutte necessarie:

ripagherà, spalancherà, mutarsi, dissiparsi, ecc… ecc… un luccichio di immagini appena accennate ma chiare e attraenti, uno scintillio tripudiante di colori che si inseguono e si accordano miracolosamente in virtù di una musica semplicissima che si sviluppa impetuosa e dolce dal principio alla fine senza mai interrompersi, come non s'interrompono le onde quando il vento agita la vasta superficie del mare. Il poeta qui, celebrando il silenzio, ha celebrato se stesso, interprete del silenzio che nella fanciullezza gli fu imposto facendolo creatore di bellezza.

Reno Bromuro

 

 

 

 

 

 

 

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