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'A Dummeneca a matina

Di: Vincenzo Giandomenico

Nato nel popoloso quartiere delle Pignasecca, ancora ragazzino frequentava la famosa «Galleria Umberto I» fulcro dell'arte partenopea, dove conobbe tantissimi poeti che gli iniettarono nelle vene quell'amore per la poesia e la canzone che già naturalmentei possedeva; allievo di «Galleria» di Raffaele Viviani che fu il suo riferimento artistico.

Vincenzo Giandomenico è stato un autore al quale va il merito di conservare nelle sue composizioni un contenuto espressivo che unisce metrica e rima senza nulla togliere alla spontanietà ed alla bellezza dei versi stessi. Grazie alla sua vena poetica, felice ed incisiva, egli sa tratteggiare bozzetti di vita popolare con sorprendente armoniosità, arricchendoli di particolari tali da rendere vivi e naturali le situazioni ed i personaggi più sparati.  Al poeta va inoltre il riconoscimento di saper unire in modo perfetto lo spirito inventivo alla tecnica descrittiva in una sorta di divertimento umanistico vivace ed arguto.

                                                                                                  Paolo Giandomenico

Questo il breve profilo tracciato dal figlio Paolo. Vincenzo vinse oltre trenta premi sia per la poesia sia per la canzone. Nel sito http://digilander.iol.it/wholt.htm  sono state inserite tre raccolte di sue poesie, una più bella dell’altra; la prossima volta vi parlerò del mondo poetico di Vincenzo Giandomenico, intanto vi consiglierei di andare al sito e leggere quanto più potete delle sue gustose e perfette poesie. La poesia cui vi parlerò oggi si titola «’A Dummenneca a mmatina» (la domenica mattina)

Embè, quann'è 'a  dummeneca  a mmatina,

sarrà abbitudine o fissazione

io me ne vaco abbascio margellina

c' 'o friddo e  c' 'o  sole d' 'a staggione.

 

Nun vaco a visità museie e chiese,

nun vaco a visità mostre 'e pitture ....

Senza me lusingà, senza pretese,

ma l'arte overa 'a fanno 'e piscature.

L'inizio della poesia è leggermente ironico. Ci racconta sobriamente il perché lui di domenica ama andare a Mergellina per vedere i pescatori pescare. Non rimpiange i musei, né le visite a personali di pittura, perché preferisce l’arte del pescatore perché convinto che si ala più genuina, anche nella preghiera. La delicatezza decisa di lanciare la lenza, l’amore di tirare a riva, lentamente, il pesce che ha abboccato, il modo di incassarsi il cappelletto con le esche attaccate sulla testa; in poche parole il poeta viveva in quei momenti le più belle domeniche della sua vita. In quei momenti il poeta rivolge la preghiera più sentita che abbia mai pronunciato e che ora rappresenta tutta la naturalezza umana.

«Quanno me fermo annanze a sti  spaselle

c' 'o pesce vivo appena asciuto 'a mare,

che nne facite nu quadro 'e Raffaelle,

quale museio ve dà sti cose rare!»

Ci tiene il poeta a far sapere che è un'ingiustizia non saper far capire al passante distratto la poesia che vive e rivive, superando addirittura un quadro di Raffaello, per come i pescatori aggiustano il pesce nella «spasella»; egli non fa che mettere in risalto la poesia pescatoriale e mette alla berlina cloro che passano veloci e godono di questa bellezza che dura pochi attimi, ma che vive tutta la vita nei ricordi del Poeta.

Quella che poteva sembrare il principio di una leggera ironia contro i profani della pesca, diventa, in realtà, un amaro sarcasmo contro i non intenditori della pesca e i presuntuosi dell’arte. Lui impassibile rimane là a godersi i vari quadri che i pescatori dipingono senza colori e senza tela, in una «spasella» e le pare di udire una banda militare intonare mirabilmente il coro del Verdi «O Signore, dal tetto natio». E’ come una tentazione troppo incantevole per trovare la forza di lasciare quel luogo. 

«Nu scuòrfene se move, f'ammùina,

nu purpo s'arravoglia attuorno 'o cato,

dint'a nu sicchio vongole e lupine

se schìzzene chell'acqua uno cu n'ato.

 

Aunite a fascie chisti cannullicchie

pàrene girotonde 'e criaturelle

pazzèano cuntente dint'e sicchie

'nzieme cu taràtufele e patelle».

Ma, finito il coro, di nuovo lo riprendeva la passione di quella vicinanza, quando, ode per la seconda volta, la musica intonare sempre del Verdi «La marcia trionfale dall’Aida» e a tempo di musica: «Nu scuòrfene se move, f'ammùina,/ nu purpo s'arravoglia attuorno 'o cato», vede dinanzi agli occhi che si tratta di un’opera bellissima, preghiera e lamento insieme, e al poeta pare cosa impossibile che «in quei pesci, In quegli scorfani che fanno confusione/ci potesse essere, anche nella ribellione armonia affascinante.

«Che bella cosa 'e cùzzechelle 'e scoglie

cu 'e riente 'e cane ancora chin'e mare,

sulo c'addore me venesse 'a voglia

d'addunucchiarme annanz'e marenare

 

'ndenocchie io facesse stà preghiera:

Madonna mia prutiegge 'e piscature,

puorte sti varche 'nsalve quann' è a sera,

falle tirà d''o funno sti pitture!»

Riflettendo a queste cose, il Giandomenico non sente più il bisogno di tornare a casa. La musica, che gli cantava ancora nella mente, lo aveva riconciliato anche coll’odore dei pesci e il mormorio monotono delle onde, che facevano da sottofondo alla voce tonante dei pescatori che davano la voce, affinché i passanti si fermassero e comprassero il pesce freschissimo.  Giandomenico, meditando, solleva l'animo a un pensiero profondamente umano e cristiano.

«pirciò ogne dummeneca a  mmatina,

sarrà abbitudine o fissazione

io me ne vaco abbascio margellina

c' 'o friddo e c' 'o sole d' 'a stagione»

A me questa poesia è intimamente piaciuta e, tutte le volte che la rileggo, mi sento colpito. Suppongo che ciò derivi, oltre che dalla scioltezza e spontaneità della frase napoletana, dalla profonda umanità che la pervade interamente; forse perché il quadro più bello lo ha dipinto il Poeta con le sue parole, aggiungendovi quel profumo di mare che vorremo sentire ogni mattina, invece siamo costretti a respirare azoto e invadere l’olfatto di olezzi sgradevoli.

Anche se la  poesia è scritta in una lingua universale e forse anche per questo credo si tratti di un'umanità tutta italiana. Dico solo che, se il pensiero qui espresso dal Giandomenico fosse potuto diventare pensiero e aspirazione di tutti fin dall'epoca in cui il poeta visse, la domenica prima della messa correrebbero tutti al mare per godere lo spettacolo che il quadro di Giandomenico ha saputo creare, e lo svolgimento della vita sarebbe ben diverso.

Reno Bromuro

 

 

 

 

 

 

 

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