Francesco
Salvador
è nato a Vittorio Veneto il 10 Marzo 1957, abita a Venezia e insegna a
Mestre in una scuola elementare. Ha esordito come poeta nel 1984 con tre
poesie pubblicate in un settimanale locale.
Nel 1985 sono uscite le sue due prime raccolte di liriche: «Vuoto a
perdere», stampato in proprio e «Senza un cenno d’intesa»,
edito dalla tipografia Folin di Venezia. Nello stesso anno inizia
una costante collaborazione, con il quindicinale «Il Gazzettino
Illustrato» di Venezia.
Nel 1986 pubblica alcune poesie in riviste di varia umanità. Nel 1987
vedono la luce «Le sere piegate» sempre da Folin e «Poesie»,
una «Mini raccolta» inserita in un numero de «Il
Gazzettino Illustrato», in quell’anno vince il premio «Voltaire»,
il primo concorso nazionale di liriche svoltosi a San Donà di Piave.
E’ presente anche in diverse antologie assieme ad autori di prestigio
del panorama poetico nazionale ed internazionale fra cui Mario Luzi,
Roberto Mussapi, Maurizio Cucchi, Milo De Angelis, Giampiero Neri,
Giuseppe Conte, Franco Loi. Nel 2001 ha pubblicato lettere,
recensioni, poesie anche in «Apollo e le sue rime» rivista
dell’associazione culturale romana «Articolo 33».Già
presente anche in internet,che aveva fra i suoi collaboratori Dario
Fo,Franca Rame e Jacopo Fo.
«Gli amici spariti
non
torneranno all’alba
eppure basta
andare dove
scorre il discorso
ad ogni stagione
e puoi trovarci
una loro parte
e così gli affetti
possono rivivere
anche se per poco
in una risata
in un dialogo
improvvisato, occasionale»,
È un pensiero di gusto pirandelliano: un uomo è
sempre quello è sempre diverso, a seconda che chi lo vede è la mamma o
la fidanzata o la moglie, i figli o gli amici, il principale o i
dipendenti, lui stesso: tante carte aperte a ventaglio nella sinistra, e
tutte con una stessa figura sempre quella e quella mai. È quel che
avviene allo stesso uomo, a seconda che lo vedano gli occhi della tecnica
o gli occhiali della filosofia contemporanea. La tecnica potenzia quest'uomo,
ridimensionandone la macchina corporea e i sensi in un super organismo
meraviglioso e mostruoso, che calza gli stivali della luce per muoversi,
che scruta l'infinitamente piccolo e l'infinitamente lontano, che vede
attraverso un corpo opaco e nel ventre del sottosuolo, che gioca a scalare
i pianeti e a lanciare messaggi interplanetaria che immobilizza la forza
delle sue braccia con le macchine, il lavoro delle sue mani coi robot
tuttofare, l'attività della mente con la precisione e la rapidità del
cervello elettronico.
«possono rivivere
anche
se per poco
in una risata
in un dialogo
improvvisato, occasionale»,
ma nell'atto stesso in cui da diverse parti si
denuncia il fallimento delle coscienze come unica vera attrazione
all’esistere, ecco che si leggono cartigli appuntati con spilli e
scritti di questa o quella tendenza: «una parvenza fissata da un nome»,
afferma Croce, «sentinella del nulla»
sottolinea Heidegger, «destinato naufrago» asserisce Jaspers,
«inutile passione» sospira Sartre.
Sono le conclusioni fallimentari che alcuni artisti, nel disorientamento
poetico contemporaneo, traggono da un loro bilancio sull'uomo e sulle sue
opere artistiche dalla poesia alla scultura, dalla pittura alla musica,
mentre la tecnica si adopera a renderlo sempre più sicuro dei segreti
della natura e delle leggi dello spazio.
Questi due aspetti contraddittori della nostra età si direbbero
caratterizzati il primo da un sentimento di grande orgoglio, il secondo
dalla angoscia; il primo dalla celebrazione dell'uomo e da una
certa aspettazione di quel che di definitivo
la rivoluzione tecnica è in grado di organizzare sul piano sociale
politico, il secondo dalla paura indefinita dello stesso progresso
tecnico che mette a disposizione di questo o di quello Stato la possibilità
di catastrofi sempre più grandi; il primo
dalla sicurezza che basta la scoperta delle leggi regolatrici
del meccanismo psichico per correggere tecnicamente lo stesso disordine
morale dell'uomo, il secondo dal ritorno all'irrazionale sognato
come umanità genuina; il primo dalla
volontà di potenza e dalla presunzione del progresso trionfale della
storia, il secondo da un senso
arbitrario della morale e della vita, che a sua volta fa della storia un
susseguirsi di azioni degne di un carnefice ubriaco.
Due aspetti, due realtà, due
stati d'animo; orgoglio e angoscia vanno,
per cosi dire, a braccetto per il mondo, e si mescolano in combinazioni le
più varie e impensate, si richiamano e si respingono l'un
l'altro, si danno risalto e si negano, si completano e si distruggono,
esasperando e complicando problemi che sono sì antichi quanto l'uomo, ma
che ci si presentano in una dimensione nuova.
Primo fra tutti e tale da racchiudere in sé tutti gli altri,
come somma in cui son presenti tutti i
numeri messi in colonna o come seme da cui hanno principio tronco e rami,
il problema della cultura, al quale è
legata la legge fondamentale dell'umanità, e cioè il suo sviluppo
integrale e la costruzione della sua esistenza
al di là del momento presente.
«e ti sembrerà
d’essere amato
come ieri»,
orgoglio e angoscia sono figli
e padre e madre della falsa cultura. Essi partoriscono e nello stesso
tempo sono generati dalla confusione, dalla negazione e dal disprezzo
pratico dei valori dello spirito, falsando in tal modo la vita.
La nostra età si riconosce nella grande verità del «dominerai la
terra». Ma questa verità che noi viviamo e che ci esalta, si
trasforma nelle nostre mani in un tragico errore: crediamo che dominare la
terra significhi anche salvare l'anima, e
cioè che il dominio della natura e l'industrializzazione, il
potenziamento della nostra macchina per vivere e l'esaltazione della
velocità, significhino anche sviluppo della
persona umana nel senso pieno di una identificazione con se stessi; e che
benessere e servizi assolvano anche alle esigenze della «liberazione»dell'uomo:«ti
sembrerà/d’essere amato/come ieri», e che la
liberazione dalle limitazioni delle forze individuali del nostro
cervello, delle nostre mani, dei nostri
piedi, occhi, orecchie, voce, muscoli,
significhi anche accrescersi dell'essere e
cioè della coscienza, in un'azione creativa del valore.
C'è da chiedersi: le operazioni vitali della coscienza si fermano alla
ricerca febbrile di una realtà contingente, che ci assicuri utilità e
potenza, o non vanno piuttosto al di là e non denunciano come un istinto
di ricerca di una realtà prima la quale è essere e bene per la stessa
sua essenza, e che noi chiamiamo Dio?
La persona è questa dilatazione tecnica della macchina per vivere e dei
sensi, o è, per dirla con Mounier, il movimento dell'essere verso
l' Essere?
Il valore è questa realtà empirica che noi dominiamo,quest'attivismo
produttivistico, questo concepire il progresso come sfruttamento sempre più
intenso delle risorse del capitale planetario, questa capacità di offesa
bellica a sorpresa, o l’affermazione di Goffredo in Crisi dei
valori è: «ciò a cui lo spirito umano riconosce un pregio
intrinseco e in cui ravvisa una norma ideale alla quale gli atti umani
sono portati a informarsi e ispirarsi?»
Il traguardo della civiltà è infine nel soddisfacimento dei bisogni
biologici è nel paradiso degli animali, per dirla col Bruno, o non
piuttosto nel riconoscimento e nell'approfondimento della testimonianza
coscienziale, che ci pone delle domande essenziali e c'impone dei doveri
in cui è significata la nostra umanità e rispondere affermativamente
alle quali e tradurre in azioni i quali è come un risalire alle sorgenti
vive dell'essere, della religiosità e della poesia?
«le vie prima sfinite
riprenderanno
forza
quelle mai percorse
saranno amiche
nei santuari gelidi
dei sentimenti ibernati.
Avremo la
forza di un gladiatore, che ci permetta di amplificare sei volte il
potenziale creativo irrobustendo la memoria, in modo che captando tale
potenziale in punti in cui l'influsso nervoso è più esterno, essi
riescano a rettificare e utilizzare per l'alimentazione del motore
creativo.
Intanto scene del mistero originario si posano come cornici da
palcoscenici, come scenografia ricca e nello stesso tempo vuota di forme
in cui biancheggiano vie sfinite in attesa di riprendere forza per
ritrovare nei gelidi santuari i sentimenti ibernati. Francesco Salvador è
uno di quelli che portano, oltre il successo incontestabile, la serena e
più profonda lealtà della creazione poetica.