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Campane di lampi

Di: Pat Garret

 

La poesia che vi racconto oggi mi ha tenuto legato a sé anche quando andavo a spasso con me stesso, oppure mentre facevo le prove in teatro, tanto è vero che più di una volta i ragazzi, vedendomi trasognato ed assente, mi chiedevano se stessi bene.

CAMPANE DI LAMPI

ILLUMINANO OMBRE NEGLI ABISSI DEI NOSTRI CUORI

di Pat Garret

La poesia di Pat Garret è di un realismo non crudo e sferzante come quello di Franco Santamaria, e non è lontano da quello di Remil, né potrebbe essere altrimenti visto che cantano tutti e tre la medesima canzone: la realtà struggente di questo periodo caotico e tremendamente insicuro. In «Campane di lampi.» è così continuo e così forte che i versi rimangono legati insieme con l'intera opera, armati in prima linea.

«Mi ritrovo la sera a bussare alla cieca contro finestre chiuse

Senza fiato

Con gli occhi gonfi di lacrime di dolore

Aspettando un segnale da qualunque finestra del mondo aperta su di me

E sentire qualcuno dire "c'è qualcuno là fuori?"»

Ma, pur sottostante alla necessità artistica, di proporzionare bene tra loro i motivi in modo che l'uno desse risalto all'altro e nessuno predominasse, non si può non avvertire che la pittura materiale e psicologica, né l'aria che la poesia respira, non sia un'aria nuova, che penetra nei polmoni.

«Stella cadente abbraccia il mondo

E inonda di luce questa terra straniera»

La stella cadente che abbraccia il mondo è giustificata nella limitazione del realismo perché è dovuta alla necessità del coesistere, in una forma veramente riuscita. E più d'una volta, quando il realismo è fiacco ed anzi non è che grossolanità insignificante, il canto lirico non è mai senza scopo. Così accade, per esempio, che due componenti, «l'attesa del segnale, da qualunque finestra esso venga, speranzoso di sentire una voce, una presenza umana» si uniscano e camminino mano nella mano, concatenati come anelli di una catena indivisibile.

«Chi ucciderà l'indifferenza della gente?

Chi abbatterà l'ultima fortezza di egoismo?»,

sembra una domanda superflua, che, per il poeta, diventa necessaria per placare il tumulto furioso dell'anima.

«Nella grandine selvaggia di questa notte di tempesta

Ho sentito cattedrali di lamenti sollevarsi da tutte le galere del mondo

E carcerati vestiti di vergogna aspettare la morte dell'anima

Ho sentito le urla di dolore di soldati feriti nel cuore

E prigionieri trascinati nel fango della vita

Ho sentito il pianto di bambini con gli occhi della paura

E madri affamate e nude trascinarsi senza meta su sentieri impolverati

Ho visto le vite di giovani cavalieri erranti in città di solitudine

Bruciare senza un lamento

E appoggiarsi a una speranza con una maschera di falsità

Ma se chiedi in giro chi ha appiccato il fuoco

Nessuno ha visto e sentito niente

Eccetto naturalmente chi aveva ancora il fiammifero in mano»

Le mosse, i particolari, le cose, i sentimenti del mondo sono sempre molto spesso incisivi ; anzi, non di rado si rivelano nel significato di quella nomenclatura e l'aspetto di quelle cose che ci rimangono impresse nell'anima come stampi di fuoco. Le cattedrali che levano lamenti e non preghiere, dalle cui navate non si levano canti gregoriani ma singhiozzi di pianto represso; i carcerati vestiti di vergogna pur aspettando la morte dell'anima senza vergogna, che odono disperati il pianto dei bambini, e vedono le madri affamate, ma nessuno in giro ha mai saputo chi ha appiccato il fuoco.

«Adolf Hitler giace da tempo in un bunker freddo di morte

Ma la sua anima va avanti e indietro per le vie del mondo

In cerca di qualcuno con cui parlare

Gli idoli invisibili creano false speranze

E si trasformano in paura quando cadendo a terra svelano la loro falsa magia

Martin Luther King è morto per un'idea

Hollis Brown è morto di disperazione

John Lennon è morto ammazzato per nulla

E Fabio Tuscolani è morto con una corda al collo pendente dal soffitto»

Il canto si fa più elevato, la sinfonia acquista diversa armonia, non è più l'attuale indifferenza ma la storia che reclama il diritto di sopravvivere, anche contro la volontà del Poeta, e chiama a raccolta i suoi personaggi per ricordarci che siamo ancora uomini e dobbiamo sentire fortemente il desiderio di compiere il proprio dovere, denunciare chi ha appiccato il fuoco e non tenere sotto mira solo colui ch'è stato trovato col fiammifero in mano. Così questi versi richiamano momenti, figure, scene che, anche quando rinnovano il lirismo della grande poesia segnano con intenzione il suo temperato realismo o lo deformano in un'orgia idillica, ci mettono dinanzi ad una fantasia eccitata dalla contemplazione diretta dei fatti e considerati nel complesso delle sue figurazioni, il Poeta attesta una varietà nuova di atteggiamenti ed una capacità non solo realistica, ma anche, idealistica.

«Un orologio pazzo cerca di porre fine alla nostra esistenza

Così nel rantolìo del nostro ultimo respiro

Se avremmo Dio dalla nostra parte

Ogni perdono potrà essere esaudito»

A questi tratti sparsi bisogna, è vero, aggiungere qualcosa di meno afferrabile, diffuso un po' per tutta la poesia, un complesso di elementi espressivi che a uno a uno, per lo più sembrano insignificanti, ma di cui si avverte chiaramente l'effetto a lettura finita: l'immagine suggerita dall'orologio, la scelta della parola vigorosa e rumorosa; l'esclamazione plebea che - trovata a tempo - da un sapore singolare alla frase indifferente, compreso il verbo "sgrammaticato" (se avremmo anziché «se avessimo»).

«Mentre queste campane di lampi illuminano le ombre

Negli abissi dei nostri cuori».

E' tutto un modo particolare di costruire il pensiero e di fare esplodere il sentimento, sicché la materia, insignificante ce la troviamo poi, nella pagina intera, e non sappiamo bene perché, colorita, sonante, in movimento, che pure ci rivela, concretamente, il suo mondo esteriore ed interiore, tuttavia ci sembra di vederlo e di sentirlo, con la voce rumorosa, aspra, disuguale, con la bocca squarciata e sgangherata dall'urlo, con la frase sigillata e ribadita dal gesto ampio e inatteso. Tutto ciò è vero: ma queste impressioni ci avvertono che la creazione verrà col ritorno della vita serena. La poesia non abbandona il lirismo idillico, la malinconia pacata degli uomini in attesa; ecco perché il Poeta, non si allontana da un mondo fatto coll'imitazione, sempre più fìttizio, ma ne crea uno nuovo.

«Incontrerò i tuoi occhi nel crocevia delle nostre vite

E cercheremmo di essere liberi tutte le volte che lo vorremmo»

Se ci si bada bene, la fisionomia della poesia non è data dai pensieri e dai sentimenti specifici dei personaggi, dalla rappresentazione dell'ambiente attuale, insomma da un preciso tema artistico concepito in questo o in quel modo, ma da un atteggiamento che Pat Garret ci lascia un'impressione esattamente definibile, del momento che stiamo vivendo.

Noi sentiamo già che questa poesia ha una magnifica attitudine verista; ma che si rifugia molto spesso nel puro lirismo, forse perché il Poeta avverte un forte desiderio di Pace e di Serenità.

Reno Bromuro

 

 

 

 

 

 

 

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