Le
«forze della coalizione», sono entrate a Baghdad
inizio il commento a questa poesia di Sal
Messina col breve comunicato ANSA sulla battaglia vinta.
«La caduta di Baghdad è completa»: lo ha detto il corrispondente
della Reuters Khaled Yacoub Oweis, descrivendo l'arrivo dei carri armati
americani all'hotel Palestine. Una dozzina di carri Abrams e mezzi
d'assalto dei marines sono avanzati senza che fosse sparato un colpo. «E'
come se tank iracheni avanzassero su per la Quinta strada a New York o a
Picadilly Circus a Londra». Afferma il cronista senza aggiungere
commenti, senza ricordare i «lager» sperimentali del Rais,
ma Sal Messina non ha dimenticato ed ha dipinto con una forza
titanica le immagini di altro «lager» di sessant’anni
fa, il più popoloso, la tomba enorme di allora:«Auschwitz».
«Non trovo
le parole che vorrei
Oggi i miei pensieri
nel ricordare
si fanno lacrime»
Ho la sensazione di
percorrere, tra Dante e Virgilio, il terzo canto dell’Inferno,
il primo dei grandi canti
danteschi. Qui non è come nei due canti
precedenti. Dante lascia da parte
l'allegoria e passa senza indugio ad esprimerci lo sviluppo della sua
visione: incomincia il viaggio e da questo momento non farà altro che
raccontarci ciò che ha veduto. Siamo quindi all'inizio
vero della grande
fiaba e, naturalmente, della grande poesia
II Canto può essere diviso in quattro parti, come il canto di Messina
è diviso in due grandi parti, mentre la terza «si fanno lacrime»
ci fa oltrepassare la porta dell'Inferno. Senza accorgercene
ma con un grande peso dentro (il ricordo) abbiamo oltrepassato il
vestibolo coi pigri, il fiume Acheronte
col traghettatore Caronte;
abbiamo sentito il tuono e visto lo svenimento di Dante. «Auschwitz»
e i «lager
iracheni» oscurano
la fama dei versi danteschi, in cui è descritta la porta dell'Inferno.
Nel canto dantesco non esiste la speranza. I dannati non potranno mai
vedere Dio: «Lasciate ogni speranza,
o voi ch'entrate»:
parole tremende che spaventano Dante e che devono aver
spaventato tutti coloro (nomi ignoti, che resteranno tali perché esistono
solo avanzi di ossa) che si trovarono improvvisamente di fronte ai «Fedayn»
e si resero conto della propria sorte. Avvertirono che una volta entrati
per quella porta, non ne sarebbero più
usciti; ma loro non avevano Virgilio che li avrebbe potuto
rimproverare di viltà, come aveva fatto col poeta.
Loro non erano peccatori, ma li condannarono ugualmente a morte e che
morte! Sapremo mai, che tipo di sperimentazione fu fatta su quei corpi?
Con i pensieri di Sal Messina che piangono lacrime, vedo Dante
entrare nel vestibolo che è fuori dell'Inferno,
ma è anch'esso vero Inferno, perché la
pena è eterna e i peccatori sono atrocemente puniti.
Penso a Dante e vedo una schiera
numerosissima di persone scheletrite, che, una dietro l’altra, si
avviano verso le camere a gas. Sono coloro che non vollero seguire nella
vita la bandiera uncinata, come gli iracheni non vollero sottostare alle
prepotenze del dittatore famelico.
«Non trovo
le parole che vorrei
Oggi i miei pensieri
nel ricordare
si fanno lacrime»
La bellezza di questi versi
consiste soprattutto nell'accanimento con cui essi colpiscono i vili di
poca memoria: versi potenti, come quelli di Dante cui molti sono
rimasti in proverbio.
Quasi possiamo affermare che la punizione data ai vili di poca memoria è
più grave di quella con cui Dante colpisce gli incontinenti, forse
anche perché pensava che tutti i peccati sono causati dalla pigrizia
spirituale. Del resto, un proverbio, antico forse quanto il genere umano,
avverte che l'ozio è il padre dei vizi.
La narrazione dantesca di questi canti è di una singolare vivacità.
Anche chi è abituato a una letteratura più facile, pur trovandosi
davanti a difficoltà non indifferenti, avverte in essi la potenza
descrittiva, che consiste prima di tutto nella caratterizzazione dei
personaggi che il poeta ci presenta con straordinaria efficacia; mentre
Messina è lapidario perché «i pensieri si fanno lacrime»,
non descrive se non con immagini che versi e memoria fanno giganteggiare.
C'è nel suo animo una grande «pena» per i carnefici, deviati da
un’idea e dalla loro stessa natura; ma che tuttavia punisce severamente,
col silenzio, perché l'uomo deve sempre saper vincere se stesso ed essere
continente, come appunto detta la ragione.
Non sente simpatia, per quelli che pur di piacere uno alla croce uncinata,
l’altro a chi sorride, mentre nell’animo nutre il sogno irrealizzabile
di grandezza: gente dalla vita sconoscente, sozza, indegna della natura
umana. Non è possibile riconoscere alcuno tra costoro: la loro indecorosa
esistenza li ha resi invisibili ad ogni conoscenza.
La bellezza di questi versi di Sal Messina è costituita anche dal
sentimento che appare nelle similitudini. Più che da uno
stato di rabbioso abbandono, la lirica sembra nascere da una forte
esigenza di indole morale. Da qui il suo travaglio, il suo liberarsi fin
dove la preoccupazione non la riafferra e riemergere nello stato d'animo
angoscioso, aspro, discordante, che è l'elemento etico di cui e formata.
Da ciò, si ripiegano nel piglio amaro, e, quando esaltano, quell'ardire
di inventarsi una salvezza oltre i suoi termini stessi, e, per l'uomo,
oltre i termini della vita.
«Non trovo
le parole che vorrei
Oggi i miei pensieri
nel ricordare
si fanno lacrime»
Nessun
punto di contatto con gli ermetici. E', contrariamente al mondo sia degli
ermetici sia dei crepuscolari, che si restringe, dietro schemi
d'imitazione letteraria, a ciò che gli sta intorno, un'apertura franca,
dalla quale sembra muoversi, più che verso un raggiungimento poetico,
alla scoperta di una verità totale. C'è indubbiamente in Messina
un forte ripensamento del verbo dei romantici: e ne cogliamo il senso
squisito.
In piena atmosfera niciana nasce con Sal
Messina l'artista che rinuncia completamente
al fantasma dell'io creatore. In una temperie di estrema decadenza, di
compiacenza per stati
morbosi e di noia, di gusto per la corruzione e il dissolvimento, ecco che
si dichiara per la salute fisica e morale e assumersi l'impresa di
riscoprire la bontà, la bontà anonima che è tanta parte,
sebbene perfettamente incolore, delle cose
del mondo. Ed è forse il suo dato più efficace, questo
toccare a un capitale umano affatto trascurato perché invisibile: la
«bontà nascosta», per la quale noi siamo vivi, questo supporto
del mondo a cui il romanticismo aveva prestato così scarsa attenzione,
non trovandogli né luogo,
né patria, né
esempi accettabili.
Indipendentemente
dalle decisioni finali a cui l'uomo è portato, questo contatto con la
realtà che egli ottiene fin dal principio, è, tra tutti, l'elemento
nuovo.