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Apice

Di: Marco Saya

 

Marco Saya è nato a Buenos Aires il 3 aprile 1953 dove ha trascorso i suoi primi tre anni per poi trasferirsi a Rio de Janeiro per circa 7 anni. Dal 63' risiede a Milano e dopo aver conseguito il diploma di maturità classica ed un tentativo universitario ad Ingegneria Elettronica ha intrapreso la professione nel settore informatico. La musica e la chitarra jazz (hobby che già coltivava a 14 anni) sarebbero poi diventate la sua vita e una seconda attività. Scrive testi per canzoni, avvicinandosi alla poesia e più in generale alla scrittura che è stato un passo naturale e spontaneo. Non ha temi preferenziali; tutto ciò che accade nel quotidiano e che è realmente vissuto merita di essere raccolto in semplici e sincere parole, come pagine di un diario, trasfigurate in Arte.

«Gli occhi si chiudono
Un fiume caldo ti pervade e scorre dentro di te»

Affrontare questa tematica con la più pura naturalezza dei sentimenti, porta il pensiero al Decadentismo per quanto riguarda l'atmosfera d'inquietudine che sta alla base della sensibilità dell'uomo del nostro tempo, accompagnata dalla dolorosa quanto ansiosa constatazione della solitudine e del silenzio nel quale si leva purissima la voce della poesia. Non si può ignorare, in tale atmosfera, la lezione dei Crepuscolari o quella degli stessi Futuristi per quanto attiene l'esigenza di un rinnovamento della nostra cultura e dello stesso abito mentale dell'uomo. Ma lo stimolo più importante e qualificante è quello che proviene dai suggerimenti di Giuseppe Prezzolini che si affida all'intuizione per far guerra agli aridi processi della logica e al frammento per le brevi illuminazioni poetiche.

Già nell'identificazione tra l'anima dell'uomo e la poesia rivelatrice esiste un primo rapporto organico in Stéphane Mallarmé che continua l'opera di Charles Baudelaire secondo il quale poesia è magia nel senso che essa fa da tramite tra la terra e il cielo, vale a dire tra il caduco e l'immortale. La poesia suggerisce e non dice, per Mallarmé che se ne fa quasi sacerdote, avanzando nuove idee sul piano della punteggiatura e della stessa disposizione delle parole che anticipano non solo l'Ermetismo ma anche il Futurismo. Di illuminazioni parla anche Arthur Rimbaud che porta all'estremo limite le analogie di Charles Baudelaire, cercando di fissare le sue vertigini spirituali con una parola poetica che riassuma tutto: «profumo, suoni, colori», ricorrendo ad una magia verbale che si arricchisce continuamente con l'uso del verso libero e col suo ritmo alternante. Neppure sono da dimenticare i Surrealisti con il loro ingenuo vitalismo e la continua polemica contro i valori dell'estetica, della morale e della ragione.

Per questa via, con gradualità e non senza esitazioni si arriva al concetto che la poesia possa giungere alla conoscenza intuitiva della realtà soprasensibile: nasce pure l'immagine di una poesia essenziale, che rinunzia a capire e a spiegare, a commentare o a divulgare, ma che sia soltanto poesia, vibrazione dello spirito dell'uomo, illuminazione improvvisa e folgorante, assolutamente semplice ad enunciarsi, altrettanto difficile ad esprimersi in un mondo ermetico, che si può attingere solo a patto di rinunciare alla logica. Si capisce che in questo tipo di poesia le parole sono prese per la loro aderenza al mondo delle immagini e a tale ritmo nuovo esse sono chiamate a rispondere. Perciò non c'è più posto per il verso tradizionale, viene bandita la rima, si punta sul verso libero in senso assoluto, magari formato da una sola parola, alla lirica composta soltanto da un breve verso M'illumino d'immenso»; si denuncia la sintassi, si creano pause sapienti, con la ripetizioni di termini, di versi o di parole, fino a creare uri ritmo che giunge all'ossessione attraverso l'accorto ricorrere all'onomatopeia.

«La bocca si schiude
Le gambe si stringono
Improvvisamente ti mancano le forze
Il sesso esplode dentro di te
Un leggero tremore ti assale»

A volte la realtà è trasfigurata con procedimenti che si accendono di contenuti umani e poetici, limpidi ed elevati nella tensione paesaggistica e religiosa, come è avvenuto in Clemente Rebora, altre volte l’autobiografismo lirico raggiunge un atteggiamento di così lucido distacco nella sua desolazione da far parlare di un anticipo rispetto alla lirica di Eugenio Montale, come possiamo notare già nella lirica di Camillo Sbarbaro, oppure i versi vengono scanditi con un ritmo segreto e sognante, roso dall'angoscia, sofferente in un'ansia di novità, fermentata dall'esaltazione e stemperata dal chiuso dolore di sentirsi soli a vivere in un frammento di tempo, com’è il canto di Dino Campana; altre volte il «mestiere di vivere» è illuminato dalla volontà e dalla consapevolezza di una poesia libera dalle varie convenzioni in una sapiente contaminazione tra paesaggio locale e cultura europea, come la poesia di Umberto Saba.

Ecco: a questo punto ci si può fermare su uno di questi ultimi lirici per illustrare, alla luce delle letture compiute, il mondo poetico di Marco Saya.

Della poesia lirica del nostro, parlerei d'arte progressiva, nel senso che esprime, ricorrendo a forme di linguaggio, che raggruppa una complessa realtà umana, i cui valori intrinseci sono in continua trasformazione. Rifiuteremo, quindi, ed in modo radicale, la muffa distinzione, nella quale capita spesso d'imbattersi, che individua e separa un'arte cosiddetta classica da un'arte moderna. Distinzione questa, che se non fosse da respingere perché sostanzialmente infondata, già denuncerebbe i propri limiti per il suo stesso carattere categorico, tendente a creare un'antitesi drastica: classico contro moderno.

Ciò che, generalmente, viene definito «arte classica» è l'espressione di realtà storico-sociali trascorse, ben definite nei propri contorni generali. Tali realtà, per loro stessa natura, sono caratterizzate da aspetti già scontati dall'esperienza storica, ci appaiono quindi più determinate, più positive e comprensibili di quella diversa realtà storico-sociale nella quale viviamo.

Da qui deriva l'impressione che le forme artistiche proprie delle nostre realtà, denuncino un raggiunto grado d'equilibrio, una quasi risolta presenza di problemi intellettuali. E proprio per questo all’Arte contemporanea, tali problemi appaiono ancora irrisolti, pur essendo in essa Arte ancora vivo il travaglio dell'autore.

«Il piacere non si dissolve
Un momento che dura un'eternità»

Ciò perché i problemi di cui è espressione l'arte contemporanea sono gli stessi che ci travagliano e la loro soluzione, anche sul puro piano artistico, ci trova impreparati od almeno incapaci dì giudizi equilibrati.

Se l'arte, come è possibile affermare, è l'estrinsecazione di tutta la gamma degli umani sentimenti, di tutta intera la capacità di riflessione dell'uomo sulla sua stessa condizione esistenziale, non ci sorprende il fatto che l'espressione artistica sia, al giorno d'oggi, così ricca di difficoltà sia di linguaggio sia di contenuti. Essa, infatti, è l'espressione propria di una realtà estremamente complessa, articolata ed a volte drammatica. E, per vincere la drammaticità del momento:

«I contorni sono sfumati
Gli affluenti scorrono sulla tua schiena»
Vorremmo quindi, con tutte le cautele del caso, dire una parola a favore dell'arte che affronta l’amore in tutta la sua forza letterale della parole e della forza del sentimento che lo scatena, per questo all’inizio, come cappello ho usato un occhiello che fosse più chiaro possibile: «Quando il sesso diventa poesia e l’amore canto devono», poiché questa lirica di Saya, per il suo stesso esistere è il segno della continuità di una precipua attitudine dell'uomo a cercare forme capaci d'esprimere il suo mondo più intimo. Ed è giusto che l'uomo d'oggi, l'artista d'oggi cerchino un linguaggio diverso, alternativo: un linguaggio integrato ad una realtà che è in continua trasformazione. Chi s'intestardisse a rifiutare in blocco l'arte più moderna per il suo poco rispetto di certi canoni tradizionali d'espressione, pronuncerebbe un giudizio estremamente rozzo ed infondato.

Infatti, la trasformazione tecnologica della società, generalizzando l'uso di strumenti tecnici (macchine fotografiche, etc) estremamente perfezionati, ha reso sterili esercizi formali, attività artistiche che, solo quattro o cinque secoli fa, potevano costituire il momento più qualificante dell'attività d'un grande artista.

«La bocca è pronta a ricevere
ed il gioco ricomincia...»

Da quanto detto sembra potersi ricavare che non è una pedissequa e sterile riproduzione della realtà a dar significato e valore all'arte. Essa deve essere una riproduzione, diremmo, problematica nella quale si rivelino, oltre all'abilità tecnica (che non guasta mai) dell'autore-artista, anche, e soprattutto il suo essere consono alla realtà che riproduce; il suo riuscire ad interpretarla; il suo riuscire, così operando, se non a trasformarla tale realtà, certo a facilitarne la comprensione a chi su di essa dovrà eventualmente agire in senso progressivo.

Reno Bromuro

 

 

 

 

 

 

 

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