Il mondo
poetico di Daniela Costantini,
romana di Roma, è cosparso di simboli, i versi non snodano metafore, che
pure arricchiscono la poesia, sillogismi o neologismi, ma creano simboli,
che nel loro viaggiare con le parole ingigantiscono la lirica come i
colori, il quadro. Questi
simboli germogliano come fiori a primavera, durante il viaggio da casa
all’ufficio o trastullandosi con le figlie, oppure lavorando
all’uncinetto o sferragliando per confezionare maglie. I simboli sono
vivi e si moltiplicano forse perché la Costantini
venera la poesia come regina assoluta della sua vita. Il simbolismo non le
nasce dalla lettura di Prévert
o di Neruda oppure
di Gibran; ella
prende e fotografa con la mente tutte le cose che passano davanti ai suoi
occhi, e sono queste immagini che rivivono nelle parole o nei colori come
simboli.
«Estate,
puntualmente sei tornata!
Ti
aspettavo sai… col solito timore.
Arrivi
carica di doni colorati,
tra
acque spumeggianti e rive assolate,
con
tramonti ed aurore
che
salutano il sole, ma
tu
sai che non ti amo,
che
in te vedo un beffardo sorriso…»
Un
ricordo amaro, desolato: il ricordo non di un’estate che è stata lunga
ed appassionata, ma tragedia, di amori e di delusione d’amore, tanto che
il Poeta Daniela Costantini si sente disancorata dalla sua vita,
che ama. Un dolore che non si può esprimere, che rimane chiuso dentro (Amavo
tutto di te,/ora vivo sconsolata/un lungo inverno senza fine), fino
all'ossessione. Costantini accompagna col ricordo, senza il
conforto di un amico occasionale, mentre il ritmo prosastico assunto
all'inizio diviene frenetico come il cuore andasse in fibrillazione.
Un
tema, questo dell'estate «odiata», che richiama alla memoria una
canzone degli anni sessanta, non per particolare destino o più per
impossibilità di sentirsi ancora ancorata alla vita, ad una fanciullezza
in cui dalla radio ascoltava quella voce malinconica e il pianto del
saxofono che l’accompagnava. Quindi il suo dolore è un aggregato
storico e sociale, che ritornerà con insistenza dolorosa e drammatica in
tutta la sua produzione poetica.
Non
sembri pretenzioso il titolo giustamente meritato «Qualcosa di
nuovo» perché sinceramente, iniziare questo commento col
criterio seguito nel raccogliere il succo e le lacrime interiori della
poesia, che potrebbe apparire appartenere al periodo preromantico inglese,
o protoromantico, o al Decadentismo, oggi turba i sonni di più di un
critico letterario, cioè la questione dei termini usati per indicare un
consenso all’esposizione di quest’Estate non amata, e non perché è
la stagione, ma perché in essa e, con essa, la Costantini vede
passare nei suoi ricordi un periodo felice, durato, forse, una sola
estate, o tutta la fanciullezza? Nella Costantini c’è qualcosa
di nuovo poiché poeti e poesie rappresentanti il meglio di una
determinata letteratura, sono come «desaparasidos». La critica fa
molta fatica per distinguere la poesia maggiore e minore; la distinzione
è uno di problemi fondamentali su cui il progetto della critica
letteraria ha tradizionalmente poggiato. La critica dovrebbe avere il
coraggio oltre che essere capace di distinguere chiaramente fra poeti
maggiori e minori, per avere dinanzi il vero quadro della letteratura
italiana. Tutto sarà chiaro, una volta che la critica avrà concretizzato
la detta distinzione; non c'è bisogno di un'unanimità di consenso; però
le parti in disaccordo, dovranno essere riconosciute perché aperte,
ragionevolmente, alla discussione.
La
questione più spinosa non è quella dell'inclusione, perché un canone
letterario è più capace di espansione di quanto non lo siano quelli
legali o teologici, proprio perché non ci si aspetta che i canoni
letterari siano omogenei, perché dalle varie soggettività «lo
storico letterario» può trovare l’oggettività della storia
letteraria, forse anche analizzando il manufatto psicologicamente.
Qualche
critico autorevole ed influente ha recentemente arguito che «i canoni
letterari cambiano più per una diversa sistemazione che per eliminazione
dei contendenti, esattamente perché le istituzioni letterarie sono
notevolmente deboli in confronto ad altre istituzioni sociali».
Quindi dato che le conseguenze istituzionali sono materiali per
critici, storici e anche per poeti, i quali spesso (perché in
Internet c’è troppa poesia non selezionata) emulano dei modelli e
nascono poesie? Che si camminano per i vari siti e il giovane non legge più
i «Maestri», ma legge e s’ispira alle infinite poesie non
catalogate.
Eppure sarebbe
bello se i giovani o comunque nuovi poeti (c’è qualcuno che ha iniziato
a scrivere poesie, proprio incitato da quello che legge nel web, se invece
si fosse soffermato su poeti come Young, Gray, Byron,
Baudelaire, Apollinaire, Montale, Cardarelli…
puri modelli di poetica, la cui forte risonanza e circolazione europea
serve a mobilitare e ad aprire il canone complessivo della letteratura
italiana e non solo italiana ma continentale.
«Con
i tuoi colori
volevo
dipingere la mia vita,
con
i tuoi profumi
volevo
inebriare l’anima…
ma
ti ho strappata dal mio cuore
e
ti ho coperto col velo di tristezza».
«La differenza
importante è se la conoscenza di tutta l'opera di un poeta, o almeno di
una larghissima parte di essa, lo faccia apprezzare di più, facendo
comprendere meglio, una qualunque delle sue poesie, oppure questo implica
un'unità significante della sua opera complessiva».
Sono osservazioni che servono, come accennavo sopra, a ricordare come
poeta maggiore abbia ben poco a che fare con la produzione di un'unica
poesia, il cosiddetto «capolavoro»: Eliot considera
maggiori i poeti più ambiziosi la cui carriera testimoni di una larga
varietà e diversità di soggetti o stili e sulla base di questo criterio,
si può arrivare a considerare un poeta minore come miglior artista di
alcuni dei maggiori. Ora, la differenza fra poeti maggiori e minori è
stata, spesso ricordata con riferimento alla poesia. La verità è, che,
più ci avviciniamo ai nostri giorni e più si tende a ridiscutere il
collegamento, in base ad un paragone astruso, velleitario, e «virtuale».
Certo, si può arguire, come forse è già stato fatto, con qualche
plausibilità, che la quantità di talento poetico resta abbastanza
costante in ciascuno dei periodi presi in esame, io per valutare la poesia
della Costantini, ho cavalcato età diverse, dal Classicismo al
Settecento, al Preromanticismo, al Romanticismo, fino a giungere alla
poesia sonora e alla poesia visiva, incamerando le necessarie precisazioni
di ordine storico.
Per esempio, in
molta poesia preromantica può vedersi un'appendice critica della poesia
inglese settecentesca maggiore, e risente, come quella, di una confidenza
che il poeta nutre per i suoi lettori, per quanto ristretti; insomma il
risultato, almeno in parte, di un cambiamento significativo dell'ambiente
poetico l’ho trovato, leggendo varie opere della Costantini
facendomi un quadro chiaro del suo mondo poetico, trovandovi, appunto quel
qualcosa di nuovo, che non c’è nella poetica contemporanea.
E’ compreso, in
verità, in questo qualcosa di nuovo, la indiscutibile, direi inevitabile,
«grandezza» dei romantici e la ugualmente drastica qualificazione
dei modernisti come diretti successione storica della forte espressività;
ma sia pure influenzata dai romantici, come Tennyson e Rossetti o
quelli che meglio precorrono gli stessi modernisti.
«Amavo
tutto di te,
ora
vivo sconsolata
un
lungo inverno senza fine
nel
mio cuore
riesco
a vedere soltanto
sfocati
tramonti
e
malinconiche aurore…»
Essere
fedeli al proprio giudizio vuoi dire non preoccuparsi molto se coincide o
differisce dal gusto e dal giudizio dei lettori: è ovvio come sia tanto
sincero con una poesia semplicemente perché è stata già usata e letta
in rete quanto accettarla per il suo valore poetico, per la sua sincerità
del sentire fortemente, la propria ragione. Come si vedrà, il commento è
più storico che letterario, ma non potevo altrimenti, per spiegare dov’è
questo «Qualcosa di nuovo» in quanto poesia motivata da uno spirito di
eccellenza a tutti i costi quanto di aderenza autonoma ai testi che vagano
per Internet.