Sereno,
silenzio di case ostinate alla sera.
Chiudo
gli occhi: gocce d’acquaio
che
rompono il buio
e
protendono il vuoto di geni spaziali.
Non
resisto al calore del suolo
e
m’affino seguendo
con
sgomento ardite tracce d’inchiostro
mutuate
per pura bellezza.
Poi
un guaìto animale, un tuono d’auto,
un
grido di dolore.
E
ritorno come un indulgente disertore
che
s’è appena pentito
dell’idea
di non dover collaborare.
Tutto
il resto, ovviamente,
richiama
solo un crudele brancolare
al
definito margine dell’impotenza.
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