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SEDUTO SULLA VECCHIA PANCHINA

Di: Mario Robusti

 

 

Seduto su una vecchia panchina
Rossa di ruggine, di foglie passate
Ho giocato e puntato
metà della vita
Contro il destino.

Ho sempre attaccato con foga
Ho perso cavalli ed alfieri
Le torri hanno atteso la fine.

A mezza partita
Ho perso il piacere
Di muovere in gioco la dama regina
Che mi ha abbandonato
Illudendomi il cuore.

Poi...

La partita è finita
davanti a un balcone
Guardando il futuro
Cadere in giardino.

Adesso ricerco
un altro scacchiere
Dove puntare al destino
Sogni e paure.

 

Mario Robusti

RECENSIONE DI RENO BROMURO

Il ventiduenne Mario Robusti è nato a Cremona, ma vive a Torre de’ Picenardi, il paese più nebbioso della bassa padana. Diplomato perito elettronico all’ITIS di Cremona si è iscritto alla Facoltà di Scienze della Comunicazione all’università di Parma. Scrive da un bel po’, soprattutto poesie, ma anche narrativa e articoli giornalistici: collabora con la rivista di motociclismo, Xmoto. Adora la bellezza dell’amicizia e della libertà. I suoi hobby sono la lettura, la musica e tutto quello che lo può incuriosire. I suoi Miti: William Wallace, Brandon Lee e Troy Bayliss. Studia e lavora in una camera disordinatissima è piena di sogni, è convinto che si possa cambiare il mondo con le parole d’amore e la determinazione.

Questa lirica è prima di tutto un tentativo di spiegare lessicalmente e logicamente l'accavallarsi d’impressioni, di sensazioni, di reazioni fantastiche, d’improvvise analogie che costituiscono il tessuto espressivo e originalissimo di vedere la vita come esperienza. E’ necessario, perciò, evitare accostamenti, vagamente impressionistici, oppure provare una ricostruzione più lenta e minuziosa. Attraverso la panchina coperta dal rosso delle foglie ormai staccate dall’albero per rigenerarsi in primavera, il giovane Poeta v’introduce i suoi colori, accesi, quasi a suggellare il quadretto che si è creato, che giunge fino al cuore. Sulla panchina vi è una scacchiera immaginaria che accende le domande che restano sospese nell'aria, ma che s’infilano come laser nell’anima, senza attendere un senso di disfacimento che potrebbe impossessarsi delle cose, che agli occhi del poeta acquistano l'immagine di una piaga sanguigna, dentro e fuori di lui, morbida e liscia come velluto, visitata in alto dai bottoni delle stelle.

Le pedine sulla scacchiera, è di estenuata solitudine, le piccole gioie, le tristezze un po' malate che si raccolgono nelle foglie ormai rosse: motivo caro alla poesia decadente, e crepuscolare.

Mario Robusti in quest’atmosfera poetica non può essere esente, perché questi motivi in lui si travestono d'istinto in un movimento tra ironico e scanzonato. E la seconda quartina, con quell'improvviso capovolgimento di ritmo, scopre l'intenzione del gioco. Ma un gioco che sa trattenere l'intento caricaturale entro una ben calcolata ricerca di effetti, non priva di una sua precisione efficace di ritratto. E’ una vasta impressione di vita vissuta amaramente; una presenza sulla panchina arrugginita coinvolta nella riflessione di chi nell'esistenza vede il segno del vivere quotidiano. «Ho sempre attaccato con foga/ ho perso cavalli ed alfieri...» coglie l'agitarsi, forse troppo ardito dei ricordi sulla scia della metafora di una partita a scacchi «contro il destino». Ma anche il ricordare acquista un senso diverso nelle «torri rimaste in attesa», dove appaiono volti e fatti che giustificano la vita vista in un'altra prospettiva più vera e sentire la solitudine che purifica e fa trionfare la giustizia anche se ciò accadrà giocando con un'altra scacchiera. Appena nato, quest’anno qualcosa di buono ci ha già portato: un Poeta che lascerà orme profonde sulla roccia.

“Seduto su una vecchia panchina
Rossa di ruggine, di foglie passate
Ho giocato e puntato
metà della vita
Contro il destino”.

Le similitudini e le metafore di questa lirica, danno vita ad una interessante somiglianza sui medesimi temi di discesa e di ascesa dell’intervento dell’ “Io” creativo in lotta continua con il “Sé” razionale. In questo modo la poetica chiede al soggetto di visualizzare se stesso a giocarsi metà della vita e assaporare il gioco come si assapora la gioia quando si scala una montagna sino alla vetta, e in alcuni casi di procedere oltre nel cielo, usando qualche mezzo immaginario quali il “rosso ruggine di foglie passate” o un raggio di luce che gioca con il destino.

“Ho sempre attaccato con foga

Ho perso cavalli ed alfieri

Le torri hanno atteso la fine”.

Ma gli visualizza anche una discesa negli abissi del mare o in una caverna che si sprofonda nella terra, “attaccata con foga”. Desolile ha visionato empiricamente “che durante la discesa le immagini evocate sono connesse col potere dell'inconscio e con certi complessi ed immagini che si riferiscono alla figura dei genitori con i quali sono connesse emozioni negative”. Per contrasto, durante la partita giocata con foga, come nella perdita dei cavalli e degli alfieri sia come la perdita non voluta di sentimenti positivi e costruttivi perciò sono anche evocati nuovi sentimenti di amore e di saggezza.

“A mezza partita

Ho perso il piacere

Di muovere in gioco la dama regina

Che mi ha abbandonato

Illudendomi il cuore”.

Allora una volta raggiunto l’equilibrio tra l’”Io” creativo e il “Sé” razionale, giunto alla superficie, con sorpresa, perché inconsciamente la mossa della dama regina si trasforma nel volto di sua madre. E l’aver esperimentato direttamente quanto la madre sia stata invadente e possessiva, per non perdere la propria identità, abbandona il gioco illudendo il cuore.

“Poi...

La partita è finita

davanti a un balcone

Guardando il futuro

Cadere in giardino”.

Allora, il Poeta, preferisce giocare azionando le torri, proprio come se scalasse la montagna per vedere dove punta il suo destino. Via via egli procede sempre più in accordo tra i due contendenti: l’Io e il Sé, comincia a vedere tutto in una luce diversa: è un essere umano, una persona avente qualità e limitazioni, che ha lottato in circostanze difficili.

“Adesso ricerco
un altro scacchiere
Dove puntare al destino
Sogni e paure”.

Raggiunto l’equilibrio, prova per la prima volta profondi sentimenti, che tale esperienza ha contributo a produrre un notevole miglioramento della sua vita: non più sogno e paura.

Reno Bromuro

 

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