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METAMORFOSI

Di: Paola Ragaglia

 

In riva

del mondo senza tempo,

onde complici

a schizzarmi sulla pelle.

Giaccio.
Nuda,
attendo:
pioggia copiosa

a dissolvermi l'anima

in onda tramutandomi.

 

Paola Ragaglia

RECENSIONE DI RENO BROMURO

Paola Ragaglia è nata a Catania; per un certo periodo vive ad Augusta, ma per frequentare l’Università ritorna nella sua città natale ed è all’Università di Catania che si laurea in Scienze Politiche. Per esigenze di lavoro è costretta a trasferirsi a Milano. Alleggerita del pensiero economico, la vita le lascia il tempo di dedicarsi al volontariato; specialmente presso le strutture preposte alla difesa degli animali.

Cerca di affogare il pensiero della nostalgia nel lavoro, ma la presenza della fanciullezza è sempre così viva in lei che scarica il suo dolore nella poesia, abbellendo la vita, e cantando con una dolcezza spasmodica: l’amore, per gli uomini, la natura, tutto ciò che universalmente necessario alla vita.

In qualche lirica ricorre con struggente nostalgia agli anni della fanciullezza. Ed è proprio scrivendo poesie, racconti e affidando al diario i suoi pensieri che raggiunge la metamorfosi: il bruco diventa una bellissima farfalla che vola di verso in verso fino al raggiungimento della perfezione, dell’equilibrio tra la necessità della vita e il proprio ego.

Ed ecco che la sua lirica diventa un vero e proprio mito, il suo destino cerca la «metamorfosi» cantata in versi ricchi d’immagini quasi impressionistiche, come se volesse rappresentare le immagini care a Baudelaire, o quelle rappresentate in pittura da Delacroix.

In pochi versi, nella propria sintesi del racconto personalissimo c’è l’esaltazione della bellezza equilibrata e profonda nei suoi significati, in cui appare uno dei temi più cari all’autrice, cioè la celebrazione della poesia per rendere eterni i valori umani.

«In riva

del mondo senza tempo,

onde complici

a schizzarmi sulla pelle».

Più profondo è il senso del secondo verso «del mondo senza tempo»  perché, a mio avviso qui si esalta la poesia, riconoscendole la funzione di illuminare la vita e di perpetuare in eterno i valori terreni: senza tempo, appunto.

In ogni essere c'è qualcosa di divino, così come in tutto ciò che desideriamo e in tutto ciò che è vita. In conclusione l'artista (scusate se mi ripeto fino alla noia) non è che l'intermediario tra Dio e la natura. Inoltre ella crede che la funzione dell'arte sia quella d'esaltare i valori umani, contemplando e presentando le diverse forme della natura, le quali sono sempre, e mille volte più, superiori all'arte…

Il principio dell'universo con un avvio materiale; poi c’è l’umanismo nelle sue varie forme. Perciò della metamorfosi non si può parlare di coerenza, perché in ogni individuo ci sono tante anime in lotta fra loro, che cercano di afferrare la realtà; gli uomini assumono una maschera, la nostra coscienza si atteggia a seconda che domini questa o quella, perciò ciascuno ritiene valida la sua determinata interpretazione della realtà e mai può essere d'accordo totalmente con quella degli altri, perché la realtà non si manifesta mai intera del tutto.

È da rilevare che, mentre tutti possono percepire l'aspetto umano giacché ognuno possa avvertire il comportamento in modo contrario a ciò che tutti ritengono normale, da Paola Ragaglia nasce la riflessione, e in ogni modo, non dalla massa, perché non tutti seguono regole accettate e non i bisogni individuali; per Ragaglia ognuno ha un proprio modo di attualizzare la riflessione, perché i bisogni sono individuali. Poi c’è il bisillabo:

«Giaccio»
che blocca ogni azione anche il pensiero, anche il lettore ci vede la metamorfosi bloccata, il girino non diventa più rana, la crisalide non diventa farfalla e gli uomini che la massa ha permesso di sedere sopra una sedia di finta pelle perché anch’essi sono finti, che dopo ottenuto quanto hanno chiesto, ignorano le necessità di ognuno, per vivere come «robot»
mossi da una coscienza inesistente.

E troppi altri ne potrei rilevare; i quali a qualcuno pare perfino che rendano qualche immagine virgiliana. E tornano alla mente certi versi del poeta divino, dove le cose e le parole più semplici cantano con dolcezza così nuova:

«Nuda,
attendo:»
Quei due bisillabi «giaccio» e «nuda», seguiti dal trisillabo «attendo» passano abbandonando la corrente al moto rotto e saltellante; che è tutto canto e musica e poi tutto sfumature e sospensioni e riflessioni e interrogazioni; pieno di slanci improvvisi, sottolineati da tutte le intenzioni che sono possibili e anche da quelle che non sono; ma è una voce che risuona in un gran silenzio e spiega tante stranezze; di quei versi che camminano, stando fermi, immobili come statue, quasi sul filo di un rasoio: che a leggerli possono sembrare parole rotte e discordi; ma c'è un modo di leggerli appoggiando la voce sulla staticità creata dal verbo “giacere”, e “attendere” nuda, svelando certi accenti nascosti che danno loro qualche misura e ritmo di canto. Qui Ella diventa un vero e proprio mito della modernità. Il suo destino è cantato dalle immagini che,come ho già detto, poterebbero rappresentare la pittura di Delacroix.

L'intera opera di Ragaglia, sottoposta a giudizi non unanimi, è ora poeta che è  esaminata con attenzione, certamente si possono fare delle scelte sulle composizioni, preferirne alcune ad altre meno convincenti, ma restano pur sempre poesie che hanno il senso dell'amore, degli affetti e della solidarietà umana, pregne di una cordiale malinconia che non lascia spazio alla presunzione, perché Paola è un ritorno dell’anima, alla sua semplicità.

«pioggia copiosa

a dissolvermi l'anima

in onda tramutandomi».

Afferma Croce che «Il poeta è poeta, non oratore o predicatore, non filosofo, non istorico, non maestro, non tribuno o demagogo, non uomo di stato o di corte. E nemmeno è, sia con pace del maestro, un artiere che foggi spada e scudi e vomeri; e nemmeno, con pace di tanti altri, un artista che nielli e ceselli l'oro che altri gli porga. A costituire il poeta vale infinitamente più il suo sentimento e la sua visione, che il modo col quale agli altri trasmette l'uno e l'altra. Egli, anzi, quando li trasmette, pur essendo in cospetto d'un pubblico, parla piuttosto tra sé, che a quello».

Reno Bromuro

 

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