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VOLO AD ALTA QUOTA

Di: Massimo Galli 

 

 

 

Da te mi stacco, terra

da queste mie radici prendo il volo

e ciò che tu mi neghi lo sorprendo

lasciando questo corpo vuoto al suolo.

 

Sorvolerò i giardini del pensiero

risalirò dall’essere che langue

del tuo fardello mi farò leggero

sarò sospiro nel mio stesso sangue.

 

Da te mi stacco, terra

dalle promesse sfatte nei tuoi rami

dalle vetrine che mi fanno pieno

lasciando a bocca aperta le mie mani.

 

Solleverò la gobba dal mio stelo

perché non sia più polpa decadente

ti guarderò dall’alto, su, dal cielo

come si guarda chi ti è indifferente.

 

Da te mi stacco, terra

da questo tuo trattarmi da straniero

e ciò che tu mi neghi me lo prendo

volando ad alta quota col pensiero.

Massimo Galli

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RECENSIONE DI RENO BROMURO

Si tratta di una poesia le cui «rime» elo/endo/olo/ero comprendono e non si lasciano sfuggire neppure una vocale, perché l’autore sente la necessità di parafrasare il testo. L’iniziale oscurità della poesia sembra apparentemente un non senso, che in realtà sta nella sua forma.

«Da te mi stacco, terra

da queste mie radici prendo il volo

e ciò che tu mi neghi lo sorprendo

lasciando questo corpo vuoto al suolo».

Questa produttività della rima, che Galli assimila, potrebbe essere concepita anche come antitesi, ma in realtà dietro di sé principalmente apparenta il procedimento alla rima, poiché «nei due casi c'è creazione imprevista dovuta a combinazioni foniche». Per Massimo Galli i prodromi di quest'uso totalizzante della rima sono già stati gettati da tempo: dalla metà del Seicento, quando entra in voga l'esercizio dei «bouts-rimés», sonetti derivati dal riempimento logico delle code rimate dei versi, stilate preventivamente e scelte in ragione diretta della loro distanza semantica.

Nell'Ottocento Victor Hugo ricorre a procedimenti simili,trattati anche dal filosofo Renouvier, che parla a loro proposito di «metodo immaginativo».

Da questa breve digressione sull'utilizzo della rima si ricava un'idea più precisa della epistemologia che ne guida le scelte: non si tratta di prendere posizione per una tesi piuttosto che per la sua antitesi; al contrario, la tensione fra due poli è assunta come motore immaginativo, la loro giustapposizione è non solo conservata, ma salvaguardata mediante meccanismi di rovesciamento dei valori, sistemi di retroazione letterari che impediscono la formazione interna di una gerarchia.

La sua dialettica si svolge tra un vero e un falso che può esistere, che apre ad una terza possibilità, qualcosa che non sia né vero né falso, o che sia insieme vero e falso.

Ogni discorso è costruito sopra un arduo filo logico, un barlume d’ordine con una sua coerenza interna, non per il suo finale valore di verità, ma per l'attenzione riservata alle anomalie letterarie; il gusto del paradosso conseguente all'intensificazione logica, sono fenomeni che non negano la sua attitudine, ma n’esaltano il paradigma metodologico.

«Sorvolerò i giardini del pensiero

risalirò dall’essere che langue

del tuo fardello mi farò leggero

sarò sospiro nel mio stesso sangue».

Il «radicale pessimismo gnoseologico» si coniuga alla sua vocazione di «esploratore d'universi immaginari» per definire i presupposti filosofici della sua poetica: l'opera non contiene un discorso,un sapere da comunicare, ma si fonda come spazio d’organizzazione di molteplici linee discorsive contrastanti, per unificare la molteplicità di discorsi, di saperi comunicabili.

Di questa forma d’organizzazione di una pluralità di discorsi la poesia di Galli costituisce il caso particolare in cui il sapere s’identifica con il metodo e le qualità discorsive.

L'attività poetica di Massimo Galli localizza un duplice spazio d'attuazione di questa pulsione alla combinazione del sapere: una direzione enciclopedica, attuata prevalentemente per canali esterni alla sua produzione letteraria; una direzione pluristilistica della sua opera letteraria, che trova in questa lirica la compiuta espressione come combinatoria delle modalità d'espressione.

Quello che voglio dimostrare che non è stata la frequenza alla «scuola di poesia creativa» a portarlo ad un esame approfondito della costruzione lirica, perché in lui la vocazione è antecedente ad ogni concreta attuazione, non solo, ma è l'esigenza della realizzazione che lo spinge a raccogliere ed organizzare le idee, attitudini e conoscenze sulle ragioni della unificazione e la sintesi del sapere.

«Da te mi stacco, terra

dalle promesse sfatte nei tuoi rami

dalle vetrine che mi fanno pieno

lasciando a bocca aperta le mie mani».

Ma il nucleo fondamentale è nel riconoscimento del progressivo fenomeno di cui auspica e prevede l'estensione della poesia alla scienze umane, e di conseguenza «è auspicabile che un'Estetica si fondi allo stesso livello della Logica, cioè fondi finalmente la sua validità».

Ecco il motivo per cui nelle opere letterarie di Galli lo spazio della combinazione del sapere s’indirizza verso l'incessante ricerca di tutte le possibili modalità espressive, sulla scorta di un'intensa influenza dell'esperienza, costituiscono solo l'episodio più stilizzato di una condotta espressiva già presente antecedente che ravvisa «un catalogo poetico».

Per lo stile si potrebbe parlare di una «combinatoria bloccata»: data dai due livelli principali del testo. Galli non organizza una compresenza orizzontale con argomenti diversi: la serie dei destini possibili (da queste mie radici prendo il volo/sorvolerò i giardini del pensiero/dalle promesse sfatte nei tuoi rami) sono invece localizzati verticalmente nel sognatore irrefrenabile, in un'elencazione sistematica dell’esistenza alternata dalla fantasia. Questo destino è, come lo stile poetico e non è quello della decisione fra le opzioni possibili, ma della creazione di uno spazio letterario e della sua democratica compresenza.

«Solleverò la gobba dal mio stelo

perché non sia più polpa decadente

ti guarderò dall’alto, su, dal cielo

come si guarda chi ti è indifferente».

Poeta, scrittore, anche pittore (lo deduco dalle immagini che sa creare con le parole), passa dal naturalismo teorico-mistico, ad un'applicazione pratica d'intonazione sociale.

Rifiuta la poetica come bellezza divina, frutto innato del sentimento, ma la considera attività umana. Anche lui si schiera contro l'industrializzazione e la produzione in serie, però solo si fa della poesia un uso sbagliato.Nella costruzione dell’opera sua è convinto che prima di cambiare l'arte si deve cambiare la società. Resta affascinato dall'eleganza e dal preziosismo d’alcuni poeti «suoi» contemporanei e decide di diffondere lo stile.

La sua importanza come innovatore è molto significativa; ma aborrisce coloro che costruiscono versi, prendendoli da altre produzioni e cucendoli come il sarto il vestito, per la sete di sentirsi dire grazie o per necessità fobica di sentirsi dire «bravo/a» (come di recente sta facendo una donna che cuce i versi della Borghi Santucci e li spaccia (con qualche parola cambiata), come suoi) parecchi abboccano, ma non Galli che si fa portavoce di una verità nella poesia: una verità che brilla senza necessità di essere bagnata nell’oro. Perciò:

«Da te mi stacco, terra

da questo tuo trattarmi da straniero

e ciò che tu mi neghi me lo prendo

volando ad alta quota col pensiero»

forse per apprezzare e sentirsi diverso; molto diverso, riuscendo ad avere sempre un aspetto umano, forse il vero aspetto umano? Forse è una sorta di autopsia sociale: cosa resta quando tiri via tutto a qualcuno? A lui non piace vedere una Poesia sezionata, squartato e poi ricucita come un vecchio cappotto; e… per essere sempre coerente con se stesso: «vola ad alta quota col pensiero». L'obiettivo del suo insegnamento è di restituire alla Poesia quella serietà e dignità che l’ha sempre caratterizzata.

Reno Bromuro

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