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Se anche Voi volete pubblicare una  Poesia in questa vetrina, inviatela, accompagnata da una breve Biobliografia  a:

renobromuro3@tin.it 

QUAL BENE

Di: Giuseppe Ambrosecchia

 

Qual bene vale più del volto
che rimetti sul cuscino
e il sonno lo distende?

Mi respiri accanto
come un bambino
sul petto della madre
che di lui si bea
ed ogni gesto cura
per assecondargli il sonno.
Così mi accorgo
del dono immenso
che Iddio mi ha posto accanto:
dormi! In te è certezza
il contatto - non importa
s'è solo con l'alluce che mi sfiori -;
purché io ci sia, profonda
è la quiete in cui t'avvolgi:
in me la stessa ricuce ogni ferita
e negli occhi il pianto
d'ogni dolore asciuga.

 

UCCELLI SENZ'ALI

Di Giuseppe Ambrosecchia


Più in alto
tendiamo portare ogni muto
desiderio perché s'avveri; ma
alle apparenze in coda il male
l'anima accora e la paura
accresce la certezza dell'essere
deboli: la luce si fa terrore
e tenebra la penombra
dimentichi che la terra è madre,
il cielo è madre, madre
il mare e non una d'esse,
anche ad una creatura sola,
giammai negò il suo seno.
Fiumane interminabili
si tengono per mano
e il mondo si rinfranca;
immacolati i cuori,
fratelli nel bene,
s'aprono ai pascoli celesti
e semi e piante ed esseri
viventi uniti cantano
la gioia d'esistere; tracimano
argini, nell'aria esplode
d'Iddio la voce; anche tu ne godi
e finanche il pianto si fa gioia.
Noi incoraggiati e liberi
così in alto reggiamo i fianchi.

 

Giuseppe Ambrosecchia

RECENSIONE DI RENO BROMURO

«QUAL BENE»

e

«UCCELLI SENZ’ALI»

il piccolo grande mondo poetico

di

GIUSEPPE AMBROSECCHIA

 

Giuseppe Ambrosecchia è nato a Matera, sotto il segno del Leone nel 1951, dove vive e opera come commercialista; è  Consigliere Nazionale Cassa Previdenziale dei Ragionieri e del Consiglio Nazionale dei Ragionieri Commercialisti.

Ha iniziato a scrivere versi che aveva quattordici anni, vinto dal dolore per la morte del padre. La sua poetica, come vedremo è contraria a qualsiasi forma di edonismo e di esibizionismo fine a se stessa, ha sempre aborrito pubblicare o partecipare a concorsi letterari, fino all'incontro con l'Accademia Salentina delle Lettere, la quale nella nomina ad Accademico, sottolinea, che: «rifugge i compiaciuti formalismi della ricercatezza frivola, a vantaggio di una lirica di immediata e suggestiva lettura. I suoi versi cantano l'uomo e il divino, la donna e l'amore, la terra natale, con alcune assonanze pascoliane che, assumono connotazioni di grande originalità e spessore».

Seguo Ambrosecchia, da qualche anno, ma non riuscendo a sapere il cognome, ho sempre «imbalsamato» le mani, perché non sapevo a cosa aggrapparmi per parlare scientemente del suo mondo poetico.

Ho scelto due poesie: «Qual bene» e «Uccelli senz’ali», per dare a voi la possibilità di eleggere, tra le due, la poesia del mese di Poeticamente.

Ambrosecchia nasce Poeta sui banchi di scuola, incamerando inconsciamente quel clima letterario che celebra sia l'epopea del singolo, impegnato nell'affermazione del principio di libertà individuale, sia il nazionalismo, incentrato sul concetto di patria e su un  forte senso della storia dei popoli. Ed è proprio il romanticismo che lo affascina appena si affaccia al potere in tutta Europa. Nel fulgore della pubertà incamera involontariamente, gli ideali manifestati da Ugo Foscolo attraverso le Ultime lettere di Jacopo Ortis, Dei Sepolcri e i Sonetti. Apprende da Alessandro Manzoni l'esigenza di coinvolgere un pubblico sempre più numeroso nella fruizione letteraria; partecipa intensamente allo spirito di Giacomo Leopardi e della sua epoca; la connotazione nel senso delle proprie capacità poetiche e l’approfondimento della propria ricerca su Giosué Carducci; e affianca a questa nuova corrente poetica quella verista di  Giovanni Verga, il più vicino alla sua mentalità, seppure ancora ragazzo, i Malavoglia e Vita dei campi gli danzano, martellanti nella mente perché raccontano l'esistenza dei vinti, di chi cioè è sopraffatto dai mutamenti introdotti dalla Rivoluzione Industriale e dall'avvento del capitalismo; mentre nella sua Matera i sassi si fanno sempre più roventi, e la terra più arida del deserto.

Ecco perché queste due poesie che ho scelto sono un inno alla bellezza, la sola capace di confortare l’animo angosciato dell’uomo imberbe e verso cui il Poeta che si protende, alla ricerca di un’armonia dello spirito e degli affetti, nel tentativo di superare le contraddizioni e le asperità dell’anima.

«Più in alto

tendiamo portare ogni muto

desiderio perché s'avveri; ma

alle apparenze in coda il male

l'anima accora e la paura

accresce la certezza dell'essere

deboli: la luce si fa terrore

e tenebra la penombra

dimentichi che la terra è madre,

il cielo è madre, madre

il mare e non una d'esse,

anche ad una creatura sola,

giammai negò il suo seno».

Questi versi esprimono la duplicità della vena poetica di Ambrosecchia, da un lato pervasa di ansia romantica,di forti sentimenti, di passionalità, dall’altra nostalgica di un mondo rasserenante, che però vive come un sogno che sublima la drammaticità della vita. La sua Arte trae origine dalla rappresentazione autobiografica, fatta di ricordi ancora dolorosi, di fobie, di pulsioni profonde. Con gli occhi chiusi, nasce l’opera di iniziazione sentimentale ed erotica di un adolescente che presenta infiniti punti di contatto con l’ambiente in cui è nato e vive. Soprattutto c'è il lato sociale del problema, legato alla massiccia presenza del latifondo,che secondo Levi «il vero nemico, quello che impedisce ogni libertà e ogni possibilità di esistenza civile ai contadini, è la piccola borghesia dei paesi. Questi coni rovesciati, questi imbuti, si chiamano Sassi». Hanno la forma con cui, a scuola, Giuseppe ha immaginato l'Inferno di Dante. In quello spazio tra le facciate e il declivio passano le strade, e sono insieme pavimenti per chi esce dalle abitazioni di sopra e tetti per quelle di sotto. Alzando gli occhi vede apparire finalmente, come un muro obliquo, tutta Matera. Ma l’esperienza umana e letteraria di Ambrosecchia continua a essere esemplare, perché manifesta, una personalità d’eccezione, quella che determina il passaggio di un periodo ad un altro; fatto fondamentale nello sviluppo della cultura italiana.

«Fiumane interminabili

si tengono per mano

e il mondo si rinfranca;

immacolati i cuori,

fratelli nel bene,

s'aprono ai pascoli celesti

e semi e piante ed esseri

viventi uniti cantano

la gioia d'esistere; tracimano

argini, nell'aria esplode

d'Iddio la voce; anche tu ne godi

e finanche il pianto si fa gioia».

Nel mondo latino il concetto di individuo come indivisibile è sviluppato da Seneca nel De providentia, in cui afferma che «certe cose non si possono separare dalle altre, ma sono ad esse congiunte, sono indivisibili». I caratteri deboli sempre inclini al sonno o a una veglia che somiglia al sonno, sono composti di elementi inerti; per formare un uomo, di cui si debba poi parlare con rispetto, è necessario un tessuto più solido. Nel mondo moderno il concetto di individuo come indivisibile è presente, tra gli altri, in Giordano Bruno: «tutto il che si vede e fassi aperto per gli accidenti fondati su le dimensioni, è puro accidente; rimanendo pur sempre la sustanza individua e coincidente con la individua materia» Lo stesso concetto è ribadito da Ambrosecchia, ma non delineato sul piano metafisico, per Lui il concetto dell’universo infinito: «non è ragione né senso che, come si pone un infinito, individuo, semplicissimo e complicante, non permetta che sia un infinito corporeo et esplicato» (G.Bruno: De l’infinito universo e mondi).

Da qual bene illumina completamente il mondo poetico di Ambrosecchia:

«Qual bene vale più del volto

che rimetti sul cuscino

e il sonno lo distende?»

Fin dall'inizio in questa lirica, quasi senza rendersene conto, Ambrosecchia scardina dall'interno la lingua della poesia italiana, con esiti sorprendenti. Emblematico da questo punto di vista è il verso «Qual bene vale più del volto», annunciando una poesia impressionistica, anche se per certi effetti decadente, ma di un decadentismo privo di accenti morbosi o di malsane voluttà d'alcova: l'eros, o semplicemente l'amore per la donna, non esiste, se non per timidissime occhiate furtive. Siamo davvero davanti alla voce di un bambino che non riesce a diventare adulto, che ha fermato la sua crescita il  giorno in cui è morto il padre.

Accanto al mistero che, riesce a dargli serenità nel vedere il volto sul cuscino che si distende nel sonno, avvolge in un tutto l'infinità delle piccole cose e delle grandi e quasi precipita nel nulla, permea di sé la vita. Ma non si tratta di abbandono romantico intriso di ideali.

«Mi respiri accanto

come un bambino

sul petto della madre

che di lui si bea

ed ogni gesto cura

per assecondargli il sonno».

Ambrosecchia dà il meglio di sé e attinge la perfezione in queste malinconie venate di pace familiare, qui, in questa straordinaria bellezza, l'evocazione non è che una struggente preghiera della sera: «sul petto della madre/che di lui si bea/ed ogni gesto cura».  Senza dubbio ci vuol poco per cadere nei gorghi del facile effetto e del sentimentale, nella lacrima facile; ma Ambrosecchia non vi cade mai, forse li sfiora, li vede, ma se ne tiene lontano. Questa è la sua forza e la sua grazia, che fa della sua opera un esempio straordinario di poesia moderna.

«Così mi accorgo
del dono immenso
che Iddio mi ha posto accanto:
dormi! In te è certezza
il contatto - non importa
s'è solo con l'alluce che mi sfiori -;
purché io ci sia, profonda
è la quiete in cui t'avvolgi:
in me la stessa ricuce ogni ferita
e negli occhi il pianto
d'ogni dolore asciuga».

Quanto più il Poeta esce da se stesso e dal suo mondo per cercare altri approdi, tanto più diventa moderno: il virtuosismo sostituisce la virtù espressiva e la lingua si fa speciale, ricca di quella bellezza radicale riconoscibile perché singolare.

Ambrosecchia riesce ad essere un grandissimo Poeta, perché la sua concezione di poesia: per certi versi opposta ­ alla grandezza di Leopardi e d’altri Poeti famosi sui quali si è formato giovinetto suo banchi di scuola; mette in atto una rivoluzione radicale, anche se lieve, ma non è mai un Poeta in crisi perché privo di certezze, con ardita serenità e cosciente di quello che vuole e fa, immette in forme antiche il soffio di una sensibilità oltre novecentesca, pervasa dal dubbio e non più in grado di dare risposte assolute. Artista di trapasso, inaugura e percepisce le inquietudini che sono nell'aria. Grande è la sua influenza presso i neo modernisti, giungendo fino a lambire alcuni aspetti dell'ermetismo montaliano. La sua sperimentazione, spinta al limite del balbettio e dello sgretolamento metrico e prosodico, onomatopea, uso del parlato, multilinguismo, avrà non poca parte nell'evoluzione di poeti che vivono nel mondo internetiano, soprattutto per il modello stilistico, il timbro dell'espressione, la possibilità stessa del conoscere poetico.

Reno Bromuro

 

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