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SPECCHIO

Di: Renato Volti 

 

 

Specchio, in te io rifletto

e riflettendomi rimembro

riaccendendo il riverbero di giorni lontani

in cui il mio passato era ancora presente,

dove ero ciò che mai più sarò.

Specchio,

 in te ora la mia immagine è confusa, distorta,

vedo il bambino di ieri

guardare con meraviglia l’uomo di oggi, 

che a sua volta ricambia lo sguardo,

ma nei suoi occhi non v’è meraviglia,

solo malinconia e rimpianto.

Specchio, tu bocca della verità,

che fedelmente e crudelmente

rifletti ciò che ti sta attorno

senza ipocrisia sbatti in faccia la realtà.

Renato Volti

RECENSIONE DI RENO BROMURO

Renato Volti è nato a Chicago, ma le sue origini sono italianissime, neanche un anno dopo la sua nascita, infatti, la famiglia lasciò l'America per ritornare in Italia, e dopo varie peripezie si è stabilito in un piccolo paesino della Val d'Aosta. I suoi interessi sono molteplici, ama leggere, oltre che scrivere, è un appassionato dei romanzi di Stephen King. E’ attratto dalla psicologia, e tutto ciò che riguarda l'essere umano e i suoi comportamenti. Cerca di essere un attento osservatore, per capire la società in cui vive, per capire, infine, se stesso. I computer, come la tecnologia in genere lo affascinano; Internet in generale, e la posta elettronica in particolare rappresentano un nuovo modo di comunicare, di entrare in contatto con altre persone e con esse riesce veramente ad essere se stesso. Nelle cose che scrive cerca semplicemente di mettere in parole i pensieri, i sentimenti.

«Specchio, in te mi rifletto

e riflettendomi rimembro»

Renato Volti, emigrando nell'irreale, non passa in qualche cosa di meno reale, non si limita ad arretrare da un maggiore o minore numero di passi. Entra in un universo completamente nuovo che ha posseduto e non possiede più, neppure attenuato, nessun carattere dell’universo reale. Egli stesso vi entra soltanto cercando  il passato, irrealizzandosi.

Penso alle immagini dei sogni o alle immagini interiori. Più suggestive che solide e sistemate, esse s'accavallano, si penetrano e si contaminano, senza localizzazione precisa, senza durata continua, eclissandosi assurdamente come nascono, indipendenti tra loro come se nessun ambiente le sopportasse, moltiplicando le contraddizioni e i controsensi, inafferrabili alle attenzioni. L’immagine d’oggi, sembra appartenere, allo spazio oscuro, all'al di là incoerente di una quarta dimensione la cui ambiguità è piatta e infeconda. Ci tagliano via non soltanto da «questo» mondo, ma da ogni specie di mondo resistente in cui dobbiamo compiere uno  sforzo coerente per collocarci e per agire. Rifluendo, il desiderio può concentrarsi e, gonfio di forza residua, produrre qualche effetto brillante. Ma l'irreale, a lungo andare, non nutre l'uomo.

«riaccendendo il riverbero di giorni lontani

in cui il mio passato era ancora presente».

Faust, con un segreto strappato all'Inferno, ha potuto richiamare in vita la forma di Elena: ma quando volle afferrarla non strinse altro che ombra. Chi ha scelto di vivere nel mondo dell'evasione immaginaria vorrebbe persuadersi di vivere ancora in un mondo comune. In realtà, non vive più «in un mondo», e di fronte a se non ha più niente di determinabile o di costante. L'allucinazione, l'ossessione non rispondono mai «Presente!» Afferma Sartre che, «Quando vogliamo afferrarle, non si pongono davanti alla coscienza personale: tutt'al più, sono apparizioni laterali, irreali, correlative d'una coscienza impersonale».

Il sonno si disfa nel momento stesso in cui, con revocazione d'una percezione reale o d'un sentimento forte, arrischia d'aprire una porta all'esigente mondo della veglia. E i mondi immaginari che si sognano da svegli hanno in comune il fatto che non chiedono niente. In un ambiente che non domanda nulla, noi stessi dileguiamo poco alla volta. Il Poeta potrebbe affermare: «il mio cervello è un teatro dove si rappresenta ogni sorta di commedie le cui trame e i cui personaggi mi sono estranei. Io non faccio che assistervi da spettatore», specialmente ora davanti allo specchio. In questo modo tutto si riduce ad un'estrema facilità: per mancanza di combattenti, fra me e il reale non vi è più combattimento, perché il passato le soffoca.

Però potrei cercare universi di fuga che possano rimanere puramente esteriori e sostituire, all'azione adattata nel mondo, soddisfazioni soggettive perdute fuori del mondo. Potrebbero anche imprimere nella vita quotidiana e persino nella carne del Poeta - Autore le divagazioni fantastiche. In entrambi i casi continua a funzionare la tendenza al soggettivizzazione, poiché gli irreali sono pure oggetti che il Poeta oppone all'«immaginazione passiva». Ma l'oggettivazione anziché sboccare sulle realtà che la sollecitano. straripa in margine al reale dopo averlo espulso, ma trova, isolata dalle relazioni vitali che costituirebbero una realtà:

«dove io ero ciò che mai più  sarò».

All'origine di questa attività proprio-affettiva dell'immaginario, sono lo smacco o l’attesa. Il desiderio che non e riuscito ad aprirsi una strada nella realtà, non per questo è scarico della sua tensione. Conserva un'energia disponibile che si scarica su qualche plaga della coscienza, e si trova, di fronte all'io creativo, in una falsa situazione che deve rimettere a posto.

L'energia che gli rimane si consumerà in una soddisfazione immaginaria. Così che il divertirsi lungo i ruscelli della fanciullezza o della pubertà, nel loro ritorno alla memoria, fanno faticare l’autore, e non poco, sul problema che dallo «specchio», popola di mulinelli i ruscelli dell’infanzia, il soffitto bianco e asettico della maturità; mentre l'adolescente che riflette lo specchio, non ha ancora scelto nella sua anima innamorata, e rimane incantato sulle pagine delle avventure descritte da Stephen King pur sapendo che sono romanzi fìttizi, innumerevoli e incompatibili. E’ solo con l’altro se stesso nello specchio, di fronte a questa catarsi, ormai a corto di temi.

«Specchio,

 in te ora la mia immagine è confusa, distorta,

vedo il bambino di ieri

guardare con meraviglia l’uomo di oggi» 

e gli pare che sia venuto da una nascita illegittima, da una famiglia sconosciuta, ricca o d'illustre lignaggio. Questo mito, riflesso più o meno è formulato in molti fanciulli, e ciò spiega anche il successo della letteratura del bimbo smarrito o abbandonato di «Senza famiglia», di «Oliviero Twist», ecc…

Il Rank ha studiato il mito della nascita dell'eroe, nel bambino, come correttivo alla vita che gli è stata data. «Il fanciullo sogna di rinascere sotto una nuova forma: oppure sogna una regina che viene a rivendicarlo come figlio. Mescola questo sogno, vita reale e talvolta, da adulto, manterrà la tendenza a confondere indistintamente ciò che è e ciò che vorrebbe essere. Un tale, in tempi torbidi, sogna il martirio e si atteggia a perseguitato quando uno si occupa di lui. Un altro sogna la vita comunitaria e con qualsiasi gesto sovrapposto ad un egoismo persistente crede di veder sconvolta la propria maniera di vivere. La menzogna vitale, che il sincero trasporto delle parole e del cuore insinua persino nelle nostre condotte morali, è la principale responsabile del discredito che tante virtù ristrette o torbide gettano sulla virtù».

Ora davanti allo «Specchio» la realtà e la finzione le vede così intimamente fuse e vicine, che la menzogna vitale introduce appena una leggera dissonanza nell'armonia della vita, uno di quegli stridori che ci mettono in uno stato di malessere indefinito di fronte ad un'azione apparentemente di buona lega, finché non ne scorgiamo l'impurità nascosta.

Jules de Gaultier ha chiamato «bovarismo» «il potere che certe nature hanno di vedersi diverse da quel che sono e di deformare la loro visione dell'ambiente, cose ed esseri, per piegarla a questa volontà dell'immaginario». Dove comincia il bovarismo, il Renato Volti? Quando vede la realtà inconfutabile di «quel» momento, mentre rivede la sua immagine di bambino svanire come in una nube e a questa sovrapporsi quella dell’uomo, oggi; allora la sua mente tende verso valori superiori, al primo bagliore che ne riceve, accade di credersi già trasfigurato dalla loro luce: al limite della menzogna e dell'ardore, egli prende un anticipo sulla sua identificazione al modello che si propone, e questa presenza prematura all'essere che egli vorrebbe essere contribuisce a rinfrancarlo nello slancio che lo conduce ad esso. Eppure riesce a sfuggire a questa illusione per mezzo d'una quasi coscienza sempre accorta e vigile del suo stato reale. Questa precisione di giudizio si chiama umiltà. L'umiltà non è umiliazione, non è incompatibile con l'anticipazione giovanile dello slancio affettivo: dissipa invece la confusione che tende sempre a stabilirsi fra ciò che siamo e ciò che vogliamo essere. Nella situazione del bovarismo, al contrario, «l'illusione è completa, fìssa, cieca: resiste ad ogni critica perché è appunto nata da un'assenza di critica su un'immaginazione sregolata». Emma Roualut, sin dal convento, s'identifica con le eroine di Walter Scott. «Fidanzata, si fa dell'amore un concetto che poi il matrimonio delude. Cerca allora di scorgere nell'amante, la realizzazione della sua immaginazione onirica».

«vedo il bambino di ieri

guardare con meraviglia l’uomo di oggi, 

che a sua volta ricambia lo sguardo,

ma nei suoi occhi non v’è meraviglia,

solo malinconia e rimpianto».

L'adattamento al reale è generalmente ammesso come un valore di vita: perciò Renato Volti, oltre a liberare un'energia non impiegata, apre il varco a processi di giustificazione e di simulazione destinati a mascherarlo persino davanti a chi ne è la vittima: Lui. Non avendo potuto raggiungere uno scopo reale, la coscienza si regala un simbolo, e di esso è soddisfatta o si persuade d'esserlo. «A volte i desideri sfortunati, dopo aver fallito un'uscita a viso aperto, si mascherano senza che si sappia sempre bene se lo fanno per tentare un passaggio di contrabbando o per modo derisorio di rappresentare la propria sfortuna».Un popolo avvelenato da un’angoscia insopportabile si fa un romanzo intorno al giudeo o al gesuita: oppure idealizza il proprio passato e lo mette in canti per consolarsene durante la giornata e per risollevarsi ai propri occhi. «Il rimorso diffuso genera spesso i più violenti di questi miti, poiché la forza esplosiva della cattiva coscienza è la più ardente di tutte». Disponendo intorno all’immagine riflessa un mondo fittizio dove qualche potere lo perseguita, sia che lo chiami destino o sfortuna o sorte o caso, sia che ne faccia un Dio vendicatore ad immagine dei risentimenti dell'uomo, lava contemporaneamente la responsabilità sia a se stesso sia all’immagine riflessa.

«ma nei suoi occhi non v’è meraviglia,

solo malinconia e rimpianto».

E’ convinto oramai che questo è equilibrio e deve essere sostenuto da ogni lato in una specie d'armonia delle componenti dell'azione. Vuole che gli automatismi siano adeguatamente compressi al pari della spontaneità propulsiva, che l'istinto sia vigoroso, la testa solida e illuminata, la coscienza sveglia e sensibile al reale.

Ha visto che ha uno sguardo né troppo, né troppo poco adattato: dall’immagine la realtà non offre presa all'azione. La decisione è un atto di sintesi e di salvezza, tende alla maggior salvezza del maggior numero di dati interiori ed esteriori. Non appartiene dunque, come taluni credono, alla famiglia della rigidezza, del dogmatismo autoritario, dell'arbitrario cieco e non formale. Nel suo sguardo vi è una specie d'universalità profonda, che mette al suo posto la presa di posizione e la colloca al lato opposto della parzialità. Implica la prudenza, che non è il calcolo ristretto e lento della circospezione. Quest'ultimo aspetto appare nelle «Super-azioni» descritte da J. Daireaux ed illustrate da Raskolnìkoff e da Brand nella finzione.

I pensieri che gli popolano la mente cristallizzano tutto il segreto di un'epoca di vita, ne fanno saltare la crosta visibile e danno via libera all'avvenire, in un momento in cui esso pareva chiuso.

«ma nei suoi occhi non v’è meraviglia,

solo malinconia e rimpianto».

In un primo tempo, si rivelano solo come irresistibili ed indispensabili alla continuazione della vita. In seguito appariranno come un faro che illumina tutto lo spazio ai suoi piedi. Sorti dalla profondità della persona, e forse dal mistero stesso che l'avvolge, sono i versi più riflessivi, anche se meno riflessi, dei suoi atti e più pesanti, anche se meno calcolati. Ma se la decisione comporta un equilibrio, è infinitamente più che un equilibrio: è un cominciamento nell'essere e l'affermazione d'un Io. Nessuna proporzione di motivi e di mozioni, d'influenze di potenze può esaurire la realtà trascendente di questo atto. «La risolutezza del carattere è una capacità abituale di decisione: è la potenza centrale della persona». In realtà, il segreto dell'azione sta nell'accettare o non accettare il rischio. Un dibattito puramente intellettuale non concluderà mai in una decisione: più i motivi sono intelligentemente liberi, più la loro forza bilancia: perché il mondo è complesso e non vi è alcun «prò» che non comporti molti «contro» né alcun movente che senza sofisma non trovi da mobilitare molta saggezza. Perciò Renato Volti, che in questo caso, è l'intellettuale che non è solo intellettuale, ma pensatore d'idee, vede sempre la sua bilancia press'a poco al punto morto.

«Specchio, tu bocca della verità,

che fedelmente e crudelmente

rifletti ciò che ti sta attorno

senza ipocrisia sbatti in faccia la realtà».

Formare la decisione significa formare l'intera personalità: occorre vitalità bastante perché la forza dell'esecuzione sia incisiva, bastante primarietà perché l'atto abbia dell'opportunità e della prontezza, abbastanza secondarietà perché esso si affermi nella ricchezza dell'esperienza, con rapidità per scuotere le tergiversazioni, parecchia lentezza perché la saggezza si apra una strada, abbastanza compiacenza al reale per zavorrare la riflessione, e nondimeno abbastanza aggressività perché non fluttui ad ogni vento. «L'uomo risoluto, l'uomo impegnato non appartiene a quegli autoritari da parata che credono alla virtù elettrica dello sguardo o del messaggio: essi realizzano insieme la più solida e la più complessa fra le costruzioni umane». Cartesio ci credeva perciò ha insistito: «S'ingannano coloro i quali credono che l'intelligenza complichi artificialmente le cose e si convincono che un uomo che vuole è più presto fatto d'un uomo che sa».

In  questa lirica di Renato Volti vi ho trovato tutta la forza dell'istintivo «Io creativo» che non si è lasciato dominare dal «Se razionale» ha fatto convergere in lui tutte le potenze della cultura e della virtù. Questo è un prodotto reale sincero e altrettanto raro quanto è un vero uomo, che è riuscito a capirsi guardando la sua immagine riflessa in uno «Specchio».

Bibliografia: J. P. Sartre: «Manifeste de surrealisme» – E. Mounier: «Trattato del carattere» - A. Eymieu : «L’arte del volere» – «La legge della Vita» – E.P. 1961  

Reno Bromuro

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