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«I Poeti che presentiamo in questa rubrica sono stati scelti con la saggezza dell’imparzialità.

Adesso sta a voi dirci, con il vostro voto (da 1 a 10), quanto conta «la nostra saggezza»

e chi merita la «Corona d’Alloro»

con il vostro suffragio dato con la medesima saggezza critica, tenendo presente l’opera, non il Poeta»

«POETA TOP DEL 2004»

Per votare basterà inviare un e-mail, al seguente indirizzo: poeticamente@libero.it, scrivendo nell’oggetto il nome dell' Autore  cui intendete dare il voto

Presenta:

Il mondo Poetico di: 

PIERO DONATO

DA "IMPULSI E FORMA" A "UTOPIA DI FINE NOVECENTO"

 

Piero Donato, genovese, nato nel 1960, ha ricevuto moltissimi riconoscimenti, nazionali e internazionali. Ha pubblicato nel 1993 le poesie «Impulsi e forma» per i tipi della Editrice Erga, e nel 1997 «Utopia di fine Novecento» per l’Edizione Ibiskos, che gli sono valsi nel 1994, il Primo Premio F. Bargagna; e nello stesso anno: il Primo Premio Speciale Internazionale «Associazione Artisti di Genova», il Secondo Premio al G. Leopardi nel 1995, il Secondo Premio al «Pirandello» nel 1995, il Secondo Premio al «Dante Alighieri» nel 1996, il Premio Selezione Europea «Carlo Goldoni» nel 1998 e altri.

Numerosi i riconoscimenti anche nella narrativa, tra i quali il «Primo Premio Internazionale G. Gronchi» 1999 per la narrativa di genere fantastico. Con l'atto unico «...La Musica...», nel 1998 ha vinto il Primo Premio Internazionale al «G. Gronchi» per il teatro. E' presente nella «Storia della Letteratura Italiana - Il secondo Novecento» Editore Miano, 1998; e nell'elegante volume fotografico di Enrico Ricciardi «Universi Immaginati»  Editore Tormena, 1993.

 

OUVERTURE

 

Fiamme di vita, luce raccolta

fra i campi terge un ricordo.

Si discopre il giorno di fuga:

ne nasce, dal sublime, un frammento isolato

emerso dal tempo in quiete.

Fecondo l'astro,

oggetto di intenso studio,

ci riporta agli ancestri di un fuoco

in teorica via di spegnimento.

E ci arriva il mito nella sua quintessenza.

 

Da questi campi

vissuti, ma distanti dallo spazio attuale,

rimbalzo da ricordo a ricordo.

E cosi a ritroso

qualcosa,

attraverso salti mnemonici, assonanze,

giungerà all'ormai inattesa chiarificazione:

un fiore, forse, o un'idea;

e sarà un daccapo?

L'echeggiare nel vuoto

di una cruna d'un ago,

atomi in posa riversati poi in un filo di luce?

 

E la sensazione eterna del momento

come parte di inesplicata stasi

spinta in un confluire di specchi

dai quali soltanto a sprazzi si scorge la rosa.

(Utopia di fine Novecento)

In questo caso non è il delirio dell’utopia che accresce parossistiche idee già presenti nella mente del Poeta, che fa venir fuori versi, «tagliati con l’accetta», come la tipica forma lorchiana quasi prosastica, come ad esempio: «echeggiare nel vuoto/di una cruna d’un ago», due versi bruttissimi, che richiamano gli altri storici e forse si fanno compagnia: «Ei si nomò: due secoli,/l’un contro l’altro armato» e suonano entrambi come i feticci da abbattere; i nemici, se ci fate caso, sono gli stessi che in passato non ebbero niente a che vedere né con l’arte, né con l’utopia. Anzi, al contrario, i versi del Donato derivano da riflessioni e deduzioni ch’egli è venuto maturando prima che l’evento utopistico si manifestasse.

Se si pensa che la tendenza implicita nelle caotiche «avanguardie» sempre più numerose (c’è perfino chi da una mailing-list propone forme e contenuti il cui linguaggio obsoleto rende orribili le liriche che, pure, qualcuna, sarebbe da salvare), i versi di Piero Donato, pur godendo di una libertà azzardata, oscillano fra la forma lorchiana e il contenuto montaliano e caproniano, formando un ponte sull’infinito proteso verso l’eternità. Egli, soprattutto, tenta di istituzionalizzare un’organizzazione come presenza del mondo poetico, porgendola con normalità. 

«E la sensazione eterna del momento

come parte di inesplicata stasi

spinta in un confluire di specchi

dai quali soltanto a sprazzi si scorge la rosa».

Nella nettezza dell'incisione, nella densità delle immagini, è visibile il tormento del pensiero che l'ha mossa ed ispirata...

Una posizione, che risente fortemente delle espressioni contenute nei primi versi, là dove questi sono sostanza riflessa, di corrosione critica dell'esistenza, di disperata materia critica o di un mordente processo di disgregazione critica.

Un'atmosfera di arida e riflessa desolazione sembra mordere da ogni parte la materia poetica del Donato, proprio quando la stessa pena scoppia con una lucidità e un’assiduità tale che quasi spaventa, come se l'unico motore in funzione fosse l'intelligenza: un'intelligenza acuta e tagliente come un rasoio.

Proprio nei primi anni Novanta è da ricercare, uno dei problemi nodali della sua speculazione poetica. Parlo soprattutto di «Utopie di fine Novecento» dove il ragionamento donatiano vive nella sua poesia, con pulsare lirico.

Da qui potrebbero nascere accuse, secondo le quali Piero Donato è una specie di mostro metafisico, che cogita, tra la spedizione di un pacco e un conto corrente; e si è documentato a sufficienza con espressioni isolate, che invece nel letto naturale della poesia, fanno corpo il linguaggio e lirismo il tono, che, invece di fiaccare, si accentuano e si giustificano, rendendosi indispensabili. Anzi, è espressione che sulla scia di altre correnti poetiche d’avanguardia avverte come il momento di una situazione esistenziale che trascende l'individuo.

Dunque il suo non è intellettualismo, anche se contiene qualche negazione della vita attuale, l’utopia che affronta e divulga non fa certo intellettualismo.

II dramma espresso negli aspetti della natura e dell’umanità si manifesta per sottofondi logici in cui si organizza la nostra conoscenza. E’ costante il ritorno dello stesso termine in cui ripropone di continuo il richiamo alla «ragione». Quella ragione grazie alla quale fin dall'inizio della sua poetica dissipa i mezzi dell'idillio.

La sua è «Poesia» che esisterà solo nella normalità di un suo mondo reso comune per ragioni e per volontà e parlerà di vera lirica della ragione. Il Poeta sa di apparire nell'unica natura a lui congeniale e in cui è voluto esistere, ma dopo aver accennato alla natura dell'ineffabile riconoscere:

«Fiamme di vita, luce raccolta

fra i campi terge un ricordo.

Si discopre il giorno di fuga:».

Ho parlato di vera epoca della ragione nella poesia del Donato, dove l'ineffabile è presto deluso, perché accertato in una sua natura che esiste, anche se viene meno al momento della sua identificazione.

Piero Donato, per attraversare la sedimentazione culturale del proprio tempo, che è alla base della sua poetica, segue almeno due piste: una segue il rapporto natura-uomo, l'altra corre verso la poesia simbolista francese. Si tratta, anzi, d'itinerari fra loro intrecciati. Stupisce semmai che, mentre sempre più frequenti sono ormai gli accostamenti della poesia all’avanguardia contemporanea, più si fa luce nella sua poesia, la ragione del suo conterraneo, Montale; e la passione dell’altro conterraneo Caproni, senza rendersi conto, forse, di essere dentro alla tradizione pascoliana e dannunziana; assai più rare sono le escursioni nel territorio del simbolismo francese, che pure aveva esplorato, giovandosi, come bussola, soprattutto di Baudelaire e precisamente de «I fiori del male» dove poteva aver trovato il tema della somiglianza ma anche della contrapposizione fra natura e uomo.

 

 

«Il confine e un punto fermo

intoccabile

non appartiene a nessuno

è il giudice delle nostre azioni.

 

Il confine non è astrazione,

lo scegliamo assieme alla controparte

di comune accordo,

esiste proprio per farci andare d'accordo,

eppure...»

Il «confine» è il paradigma dell'«uomo libero», lo specchio in una lotta di adeguazione senza fine. Due abissi, a confronto, quello della natura e quello dell'uomo. 

«Il confine non è astrazione,

lo scegliamo assieme alla controparte

di comune accordo,

esiste proprio per farci andare d'accordo»,

Fin qui sembra di aver viaggiato in una poesia insieme musicale e concettuale, lungo una direzione di ricerca, che è esattamente quella da cui nasce «Impulsi e forme». Ho trovato le stesse grandi contrapposizioni di Garcia Lorca immortalità-mortalità e natura-letteratura; c’è la vitalità immensa della natura che scompagina le liriche, che sembrano passate dal testo di Lorca a quello di Donato. Ma la lezione di Lorca è evidente anche in alcuni dettagli descrittivi. Invece l'abbinamento fra scintillio della terra e serenità dell'aria nel movimento «di comune accordo» è indubbiamente un'eco derivante da Paul Valéry: «Il confine non è astrazione,/lo scegliamo assieme alla controparte/di comune accordo; questi sembrano richiamare alla memoria «Cimitero marino».

Siccome questa congiunzione tra Donato e uno dei massimi poeti dell'avanguardia e del maledettismo non è stata ancora criticamente analizzata, proprio in essa va rintracciata un'importante componente genetica, perciò sarà opportuno dedicare qualche parola a quest’incontro. Probabilmente,proprio in quest'ultima affermazione occorre trovare la strada che ha condotto Donato fuori della ragnatela della avanguardia contemporanea, grazie al suo forte sentire poetico.

Abbiamo visto che la cultura esistenzialistica di Donato muove dal simbolismo francese, ma è andato oltre, fino a trovare la frattura che deriva dalla condizione di spaesamento che doveva ritrovare non solo nel sonnambulismo di Sbarbaro, il sentimentalismo di Caproni, la lotta sociale di Gatto, la lotta politica di Pasolini, che allora circolava in Italia e poteva contribuire allo sviluppo di una cultura o almeno di una sensibilità esistenzialistica fondata non sul senso d’angoscia e di frustrazione derivante dalla coscienza ma di una frattura originaria che sbarra la possibilità stessa della realizzazione dell'io. Scriveva Gentile a questo proposito «II mondo non è identità uniforme, ma varietà infinita; e fondamentalmente non è quello che è, in quanto quello che è poteva essere; perché tra poter essere ed essere (...) c'è una profonda differenza; quella differenza per cui i possibili sono tanti, e il reale è uno solo, e suppone quell'atto per cui fra i dati possibili se ne realizza uno».

 

IL CONFINE

 

Il confine e un punto fermo

intoccabile

non appartiene a nessuno

è il giudice delle nostre azioni.

 

Il confine non è astrazione,

lo scegliamo assieme alla controparte

di comune accordo,

esiste proprio per farci andare d'accordo,

eppure...

 

Il confine è muto,

inappuntabile è sospeso lassù

nel mondo delle idee,

ma più di ogni altra cosa è presente tra noi

negli scambi, nei contatti quotidiani,

è materia impalpabile.

 

Il confine è utile per vivere

per poter sognare con i piedi per terra

per poter cantare armonia,

crea equilibrio,

 

ma il confine talvolta è torbido:

non trova ragione in un monito di parte,

ma sorge massiccio come una montagna

soltanto quando non cade dal cielo.

 

IL CIELO…

 

Il cielo… 

guarda il cielo, così!

 

Apriamo questa finestra,

guarda la bellezza di quell'azzurro sconfinato,

guarda l'ampiezza enorme dell'arco indescrivibile

grande quanto il nostro pensiero e ancora di più!

 

Oppure guarda il movimento delle nubi che, disseminate,

riempiono quel nostro cielo imprendibile,

e riccamente prodigo d'acqua,

prodigo di vita, di Speranza vera,

 

quel tuo,

quel mio,

quel nostro cielo

così distante,

così azzurramente ricco di fitte nuvole d'acqua,

così spavaldamente ricco d'acqua vitale...

lo vedi, adesso, riesci a vedere quanto è grande e potente,

quel tuo, quel nostro cielo così azzurramente ricco d'acqua vitale,

 

acqua che riesce a malapena,

sì, a malapena a resistere in equilibrio,

in un equilibrio instabile,

instabile rispetto alla nostra instabile organizzazione di vita,

non certo instabile rispetto all'ampiezza dell'azzurro immenso,

sconfinato e grande quanto il pensiero dell'universo,

perché nulla, nemmeno le più potenti (nostre?) macchine belliche,

riuscirebbero, né riusciranno, mai a turbare,

anche se in azione,

il grande equilibrio del pensiero dell'universo!

 

Eccolo,

è lì,

di fronte a questa finestra,

quel cielo così immenso,

così sconfinato, oltre ogni limite dell'immaginabile,

 

e ora proviamo solo per un attimo

a pensare

che quel tuo cielo,

che quel nostro cielo,

è Tuo davvero

è nostro davvero,

solo quando sei in grado di assaporare,

di assaporare davvero,

solo quando siamo in grado

di assaporare davvero

quel poco d'acqua

che riusciamo a bere

in quel recipiente composto

semplicemente dalle tue mani,

dalle mie mani

protese verso quella fonte

sopra quella montagna, lassù,

quella montagna che puoi scorgere anche da qui

da questa finestra

che ho scelto per me,

quel tuo cielo.


Piero Donato è il nono Poeta Top a concorso mi auguro che la vostra scelta sia oculata, sincera e non amicale. Non ditemi che mi ripeto, ma è doveroso da parte ricordarvelo. In attesa dei vostri suffragi formulo i voti augurali più belli per qualsiasi attività svolgiate. Che Dio vi benedica.

 

 

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