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«I
Poeti che presentiamo in questa rubrica sono stati scelti con la
saggezza dell’imparzialità.
Adesso
sta a voi dirci, con il vostro voto (da 1 a 10), quanto conta «la
nostra saggezza»
e
chi merita la «Corona d’Alloro»
con
il vostro suffragio dato con la medesima saggezza critica, tenendo
presente l’opera, non il Poeta»
«POETA TOP DEL 2004» Per votare basterà inviare un e-mail, al seguente indirizzo: poeticamente@libero.it, scrivendo nell’oggetto il nome dell' Autore cui intendete dare il voto
Presenta: Il Poeta Dante Strona e la Poesia della Resistenza Quando
Antonio Russi sul n° 1 di «Aretusa» aprì la polemica sulla poesia
pura, o ermetica, era l'aprile 1944. Dopo due anni riprese lo stesso
discorso su «La Strada» affermando, che «questo» tipo di poesia era
limitato alla borghesia perché vuoto e si svolgeva in un tempo anonimo.
Preludendo alla poesia della Resistenza, non immaginava, certo che questa,
iniziata per gioco, sarebbe diventata ben presto grido, ribellione,
manifesto, proposta, odio, amore, speranza. Per Francesco Monterosso
questo modo di fare poesia era sprigionare canti di speranza e
d'entusiasmo. Renzo Nanni, Dino Menechini, Sergio Salvi e Geri Morra
amavano nei loro canti palesare il tremore, la sfiducia nei motivi
dominanti della loro poetica (che non era altro se non cronaca
occasionale), in cui prevaleva l'elemento elegiaco su quello epico o sul
tragico. Intanto nasce l'astro Scotellaro e la poesia sposta l'elemento
del motivo dominante alla campagna e il racconto poetico è impersonale.
Infatti, nei suoi canti egli si limita a fare da spettatore. Ma lo spirito
più attento del dopoguerra è stato senza dubbio, Valso Mucci il quale ad
una «poesia intesa come discorso totale», è capace di usufruire
ed assurgere alla pura contemplazione e all'azione. Mucci trova una
posizione singolare in questo periodo, anche spostando l'indagine ad una
natura sociologica, poiché attraverso uno sfondo storico reale mantiene i
personaggi in un comportamento in cui si rispecchia un esame di coscienza
prettamente europeo. Nello svolgimento evolutivo dei poeti del neorealismo
non si può ignorare Elio Filippo Accrocca, anche perché con lui inizia
quella svolta repentina della poesia neorealista che da campagnola diviene
cittadina. Dice Ungaretti che la poesia di Accrocca «è
densa d'affetti di tenerezze, quasi silenziosa». Da
questi presupposti nasce e si sviluppa la poesia della resistenza di Dante
Strona, che non è più poesia del dopoguerra, o neorealistica, ma di
memoria. Egli ha accettato senza riserve la dichiarazione di Elio Filippo
Accrocca «la poesia non ha soltanto lo scopo di consolare l'Uomo… ma
deve servire agli altri come strumento di lotta. In questo caso la poesia
può diventare un'arma!» Dante Strona non ha fatto sua solo la
dichiarazione di Accrocca, ma ha impresso nella sua anima, con caratteri
di fuoco i bellissimi versi «Stranieri
più non siano i fratelli/ tornando
amore a governare il mondo»: un'esortazione
evangelica che Dante Strona ha abbracciato. Infatti, se il motivo
dominante dei suoi canti è la Resistenza, non di certo è il modo di
poetare. Abbiamo
detto poesia di memoria (non in quanto tale, anche se vissuta in prima
persona), perché storia. E' la storia di fatti che gli occhi, la memoria,
l'anima sua hanno inglobato nella mente ed anche se possono apparire, nei
titoli, polverose; alla lettura ci si rende conto di quanto siano
modernissime. Russi, Monterosso, Nanni e gli altri, forse studiati a fondo
e analizzati, sono stati superati perché ansiosamente protesi verso la
ricerca di una collocazione, personalissima. Da
questo periodo la poesia di Strona non è più neorealistica, non
è più della Resistenza, non è più sociale e soltanto tale, ma anche
religiosa perché immanente è la presenza di Dio, in ogni azione del
partigiano, in ogni parola concepita musicalmente per ricordare agli
uomini di essere solo e sempre tali di fronte a se stessi e alla natura. Così
la poesia di Strona passa con tremore lirico dal tono epico a
quello elegiaco con pluralità di motivazioni e di soluzioni poetiche.
Sembra che proprio qui sussistano anche elementi neorealistici, con
l'ampiezza del verso e il suo facile fluire; il rifiuto della metafora e
dell'analogia, il cercare soluzioni popolareggianti o fiabesche, ma se gli
schemi neorealistici appaiono risolti, anche l'immediata chiarezza del
linguaggio è risolta. CORREVA IL
TUO NOME
(In
memoria di Aldo Oliva, caduto
a Carcegna,
sul Lago d'Orto,
Sei
rimasto cosi,
come i passeri sul
greto, d'inverno, feriti
dal gelo assassino. Un
angolo di piazza, in paese, il
silenzio dei faggeti e
il tuo pugno di anni come
grani d'incenso per
una spirale di speranza. in
croce nel
biancore di luna, come
un Cristo sul sagrato adagiato
da un portatore stanco. Il
lago. lontano, fra ciglie di
bruma : qui, su
un terrazzo goloso di sole, l'infinito. Nessuno
gridò. Non
si poteva gridare. Poi,
fu l'alba. Già correva — come
un ragazzo scalzo — il
tuo Nome, per i sentieri. Abbiamo,
parlato delle origini della poesia di Dante Strona. Analizziamone
ora la collocazione che le spetta nel nostro tempo, dopo il 1966. La
poesia oggi appare caratterizzata dalla scelta delle soluzioni tecniche e «dalle
direzioni culturali». Ci si muove in direzioni molteplici e
sconclusionate, in sperimentazioni sofisticate, su un terreno i cui
connotati ideologici e stilistici sono molteplici e imprecisi: manca un
denominatore comune. Si tratta pur sempre di un'arte povera in cui il
tentativo di riaccostarsi a un linguaggio accessibile si pone come
alternativa all'industria culturale dove i «grandi» continuano il
loro discorso e dove non c'è posto per nomi ignoti alla grande industria
e così, forse, la magna poesia di questo periodo (se c'è) giace nei
cassetti e nelle speranze di chi l'ha scritta. Siamo in piena faziosità
settoriale e «settoriale» della cultura italiana, da una parte i
nomi celebri, di cassetta: miti intoccabili; dall'altra i poeti ricchi
solo della propria arte e gli «scrivitori di versi» ricchi di
presunzione e di… conoscenze certamente acquisite per opera del dio
denaro che fanno apparire la cultura italiana spezzata in due parti,
quella vera e la sottocultura. A questo stato di cose contribuiscono
operatori culturali e famosi critici (che ignorano opere che, alla loro
uscita suscitarono pure un discreto interesse come la mia «Note e
Motivi» con la prefazione di Enzo V. Mormorale, autore del Cato
Major, Petronio Arbiter ed altre 20, 30 opere, nonché
della «Storia della Letteratura Latina» che è andata
oltre la 20° edizione (in Inghilterra), i quali forse per simpatie
politiche o interessi personali esaltano gli «scrivitori di versi» facendoli
passare per poeti. E per questo giusta la ribellione di Pasolini
all'esaltazione della non poesia. In questo caos si muove imperterrito, Dante
Strona, e s'inserisce fra i grandi in sordina e con tanta umiltà. E'
proprio per la settorialità creata dai cosiddetti critici non si riesce a
sapere di questi grandi che rimangono anonimi ai più, invischiati nella
zavorra degli «scrivitori», io, che pure ho la gioia di leggere
molto e di tutto, non conoscevo la poesia di Dante Strona, e se mai
fossero nate le Talentiadi non l'avrei conosciuta. RESISTENZA «Nulla
di ciò che noi progettiamo ha
termine in questa vita, e
solo finisce ciò che s'ama». Alessandro
Parronchi Resistenza
era Vangelo da portare nelle
case, come lume di speranza, e
pagina di fede la testimonianza dei
vivi, rimasti a ricordare – e
sentire la Libertà nelle mani così,
sul desco, la luce a sera. Resistenza
era il libro da aprire sui
banchi di tutte le scuole dove,
ancora, si studiano date e
s'impara, distratti, a memoria quanto
si scorderà nella vita. I
bimbi non avrebbero dimenticato. Resistenza
era la cittadinanza dell'operaio
nella sua fabbrica, del
bracciante sulla sua terra – fabbriche
e terre di tutti e
di nessuno: la fonte, solo, del
pane e del vivere sereno. Resistenza
era diniego all'ignavia, alla
violenza ai soprusi all'odio, al
sangue allo spreco alla fame – era
il guanto di ferro spietato per
fascismi d'ogni colore, lama scattante
per immemori artigli. Resistenza
era un dono troppo grande per
i nostri vent'anni, acerbi come
more verdi celate in siepi dove
il pettirosso ha un trullo d’ali e
la sua macchia rossa sul petto ricorda
il morire in un abbraccio d'amore
dei nostri eroi giovinetti. Resistenza
sia il segno che resta nell'ombra
di croci germogliate nelle
valli e nelle mille strade come
viole l'Aprile, tra l'erbe e
le prode dei fossi dove l'onda di
un rivo raccoglie dai sassi una
leggenda, da portare lontano. E
non resti quella Primavera solo
serrata nelle pagine grigie di
libri di storia, su uno scaffale. Sono
canti di memoria, dicevo, ma non documento storico, o di comunicazione, o
di confessione rivolte ad una collettività d'ignari perché dividano con
l'autore il ricordo e la meditazione. Come fare per parlare di un poeta e
inserirlo in un contesto storico -letterario se non esistono opere che
all'unisono possono permettere di avere il quadro generale di un
movimento, a meno che non abbia sotto gli occhi scritti del poeta di cui
vuol parlare e quelli di altri poeti, si deve solo tacere. Diceva Baretti
che la cultura italiana era provinciale (in senso dispregiativo) e la «Fusta
Letteraria» non ebbe lunga vita. Ma chi è che vuole l'esistenza
e la persistenza di questo stato di cose? Oggi, a tre secoli di distanza,
la cultura italiana, è passata da provinciale a ...comunale. Ogni paese
ha la sua rivista, il suo premio letterario, i suoi operatori culturali,
ma quanti riescono ad uscire dalle proprie mura? E se qualcuno più
coraggioso riesce a valicarle è destinato a soccombere, per il solo
motivo di avere osato. Fortuna che il poeta non si arrende, altrimenti non
avremmo né poesia, né cultura. In questo caso ci sarebbero solo opere
soggettive. E quale vantaggio dà alla comunità questo tipo di cultura?
Ma ci sono i soliti: Bevilacqua, Maraini, Cordelli, Pagliarani,
Sanguineti, Porta ecc..., quindi per i critici prezzolati il problema
è risolto, almeno per chi ha interesse a che l'umanità li segua come
cane il gregge, e fra un centinaio di secoli se polvere rimarrà, tra
questa polvere troveranno parole musicali e versi lapidari. La storia di
una civiltà che ha preferito l'annullamento morale e spirituale perché
non ha saputo ribellarsi al «Racket dell'Arte» padrone
assoluto della cultura italiana. Dante Strona aveva capito e
imperterrito continuò per la «sua» via, fino alla fine,
incurante di ciò che gli accadeva intorno chiuso nei suoi ricordi, almeno
così sembra, ma non è vero, in quanto se colto non fosse stato non
avrebbe potuto inserire il suo canto in quel binario personalissimo che è
il suo mondo poetico, in quel «tempo
dei nidi quando bruciarono
le case nello stupore verde
di un mondo assolato...»: alla
"Primavera del '44. II verso piano, musicale, elegiaco ed epico allo
sterpo tempo ti apre davanti agli occhi squarci di vita vissuta in un
amalgama di immagini colorite e vere. Tu le vedi le case che bruciano,
anche se non hai mai visto una cosa simile neanche nell'immaginazione; le
colombe che si levano in volo dal cerchio di fuoco per invocare il cielo;
e altresì la gente, chiusa nei calanchi, che si morde le mani
nell'impotenza di poter fare qualcosa; quando improvviso giunge il canto
incomprensibile di esseri sporchi di fumo e avvinazzati, e più improvvisa
lampeggia la figura «del condannato a morte rossa di sangue, come
Cristo». Immagine
scultorea e terribile quella della «preda» schiacciata da una
realtà cruda e spietata; te la senti nella mente, scolpita a sangue nel
cuore che s'ingigantisce sempre più, fino a fartelo scoppiare. Il poeta
cosciente di questa verità ha chiuso fra le parentesi il suo dolore e
quello «del ragazzo» che non voleva morire. Come
vedete non c'è compiacimento, non c'è orrore, c'è un'anima viva e
partecipante col proprio interesse di spettatore e di cronista, se non
fosse per quel «mi è scoppiato il cuore». Il concetto è
espresso in endecasillabi sciolti a significare il lento fluire del tempo:
«Già era il tempo dei nidi quando…», come potete notare
è lento e martellante quasi a scolpire nel cuore «quel momento» come
è già ramificato nel cuore del poeta. «Il
richiamo»,
invece e di tutt'altra tempra, è preceduta da tre versi di Elio
Filippo Accrocca: tre dodecasillabi per la storia degli uomini forti
di millenni. «Anche gli alberi un tempo eran croci» è l'immagine
lapidaria della rivolta degli schiavi capeggiata de Spartaco e il poeta
accosta a questa la rivolta moderna dei partigiani, ma più terrificante,
in quanto dei nostri giorni: «Appesi
ai rami d'ombra agonizzavano i
miei fratelli, il sole dentro gli occhi». Appesi
ai rami solo perché si erano ribellati alla volontà fratricida del
nazifascista, come quelli alla follia omicida del decadente impero romano.
Mentre quelli, simboleggiano
la Croce quale libertà Universale nella religione: fede in Cristo
redentore, questi hanno il sole «dentro gli occhi»:
speranza di libertà nella vita e non dopo la vita. Al nostro, la lettura
di questi versi gli ha fatto scattare dentro gli occhi quell'immagine
vissuta a dalla memoria balza improvvisa, come un lampo «quella»:
«Non
era l'ombra del salice a
gelare la nostra paura di
uomini acerbi». No,
non erano le ombre che la luna rifletteva e allungava nei «calanchi» a
far paura a questi ragazzi che hanno scoperto la vita con i mitra in pugno
e la libertà pulsante nell'anima. Sono pur sempre ragazzi, ecco perché
la paura li ha inchiodati nei solchi argillosi, profondi che la natura ha
scavato lungo i pendii del colle; sono talmente terrorizzati da rimanere
indifferenti di fronte ai rami piegati dagli impiccati, nemmeno quando i
piedi di questi sfiorano l'erba. Si risvegliano e sentono appieno tutta la
paura e l'angoscia di quel momento quando odono la voce delle mamme che li
chiamano per nome. In quel momento e solo in quell'istante capiscono
quanto cara è la vita loro e l'amore dei parenti. Allora cercano sentieri
per porsi in salvo: e affinché questo avvenga il più presto possibile
lasciano nei calanchi finanche le bandiere, per «aspettare fari
nella notte». Il fatto ora è narrato in forma di ballata
popolare, e per renderlo accessibile a tutti ha usato novenari, senari ed
endecasillabi. C'è una differenza sostanziale tra questa e l'altra
poesia. Qui il verso è nervoso e scattante, lì è piano e rassicurante;
qui anticipa l'ansia, lì la cosciente consapevolezza. A questa si
avvicina «Ritrovarsi in aprile», per fattura, all'altra «Aprile
del '44» si accosta «Una pietra da valle».
Abbiamo tracciato un breve profilo della poesia di Dante Strona per
non vergognarci maggiormente di noi e della nostra ignoranza anche se non
per colpa nostra, ma per mancanza di documenti. Per questo motivo, la
Giuria Tecnica e gli organizzatori (su proposta degli ideatori) della
"Talentiade Camugnano" che, come abbiamo ampiamente detto, ha
come scopo precipuo la ricerca e la valorizzazione, nel giusto merito, di
artisti conosciuti e non, di assegnare a Dante Strona il
riconoscimento ufficiale per la Sua opera poetica. Ora
con la pubblicazione nella teca del sito «Poeticamente Il Poeta Top» lo
ringraziamo per essere esistito. Dante
Strona è nato a Biella nel 1923, ha preso parte
alla lotta di Liberazione militando nelle file della XII Divisione
Garibaldi «Nedo», biellese. Ha annovarato oltre cento premi letterari,
sulla sua poesia sono state fatte due tesi di laurea; è morto Fontaneto
d’Agogna, in Provincia di Novara il 26 dicembre 1988
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