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«I
Poeti che presentiamo in questa rubrica sono stati scelti con la
saggezza dell’imparzialità.
Adesso
sta a voi dirci, con il vostro voto (da 1 a 10), quanto conta «la
nostra saggezza»
e
chi merita la «Corona d’Alloro»
con
il vostro suffragio dato con la medesima saggezza critica, tenendo
presente l’opera, non il Poeta»
«POETA TOP DEL 2004» Per votare basterà inviare un e-mail, al seguente indirizzo: poeticamente@libero.it, scrivendo nell’oggetto il nome dell' Autore cui intendete dare il voto
Presenta:
La Poetessa Adriana Scarpa
Adriana
Scarpa
è nata a Venezia in periodo di guerra, vive a Treviso. Da oltre
trent'anni si occupa di poesia attraverso recensioni, presentazioni,
anche di pittori e scultori, e collabora a periodici con interviste e
articoli. Per sette anni è stata segretaria generale del Premio
letterario «Carlo Goldoni» di Venezia.
Ha pubblicato numerose opere di poesia: Poesie
(1964), Un altro
giorno
(1969), Storia
d'amore
(1970), Libro terzo
(1971), Sopra
palpebre di vento (1971),
L'insonnia d'un'ala
ferita
(1978), Da noi giace
l'amore
(1978), Un passo nel
buio
(1980, prefazione di Ignazio
Urso),
Il mondo Adriana
(1981), Ogni ora ha
avuto il suo polline
(1982), Il libeccio
fruga tra le nuvole
(1982), La vita è
dare il mio bene (1982,
prefazione di Francesco
Piacenti),
I bambini guardano la
luna
(1983, prefazione di Reno
Bromuro).
Questa raccolta vinse il primo premio che consisteva nella pubblicazione
della silloge alla Prima Talentiate Camugnano (BO) nel 1982.
Nella
presentazione scrissi:
«/
bambini guardano la luna»! Se
ci si sofferma al titolo, il libro non si
apre perché «nel titolo»
sembra trovarci tante ovvietà.
Sì. ovvietà! A me accadde lo scorso anno quando dovetti leggere questa opera perché c'era un premio in palio, e prestigioso per giunta. Solo la responsabilità professionale me lo fece fare. Ma subito, un settenario e un ottonario mi sconvolsero, al punto, da mettermi la febbre dentro. La
Talentiade è nata con questo scopo e «precipuo»:
valorizzare chi vale, nel giusto merito. (…) Però ora
sedetevi e se non potete ai piedi di un albero, perché costretti a
stare in casa, mettete sul piatto del giradischi una delle nove sinfonie
di Beethoven e vedrete... le vedete, le
vele di cristallo che si intrecciano con le note, che si trasfigurano in
raggi di pioggia di sole, e ve la sentite addosso questa pioggia, e
provate mille sensazioni di piacere incontenibile e incontenuta gioia
che mescola il sangue in una esaltazione senza pari. E i bambini giocano
con queste vele. Ma
veramente i bambini sanno ancora giocare con tanta fantasia? Però se lo
crede la nostra è giusto che ci crediamo anche noi. Adriana
Scarpa,
non si sofferma in meditazioni, non si sofferma in crogiolazioni
piacevoli, ha detto ciò che voleva e ci lascia con i bambini a guardare
la luna per narrarci un'altra favola bella: «Una vita». «Come
ridere alla speranza antica», e subito un campo «Seminato
/ di grano buono, l'amore/,dinanzi
ai nostri occhi; e vediamo miriadi di immagini attoniti e meravigliati,
mentre sembra che il cuore ci scoppi davanti al miracolo di una vita che
è fame d'amore. Tutto
scaturisce da un sogno fatto ad occhi aperti, ma qui il sogno si
trasfigura in realtà tangibile, «I! grano buono» è il
miracolo di una vita che ha raccolto vento seminato e pioggia fresca
ancora di polline di «un'erba nuova». Un'erba nuova di cui non «Conobbi
i sorrisi /
ma la mano / ti dondola
la cuna». Il disco è finito. La
dolce, forte incisività della musica di Beethoven si è spenta,
nell'aria mite di questa serata settembrina. La
forza della poesia di Adriana
Scarpa è questa: lasciarci a bocca aperta con lo sguardo sognante,
nel vuoto, ad inseguire «Vele
di cristallo».(…) Fermiamoci
qui, altrimenti che gusto c'è di leggere il libro? Togliamo il disco,
rinfoderiamolo nella sua custodia e meditiamo per scrivere, come il
bimbo, col latte, della poesia di Adriana Scarpa. Fino ad ora
abbiamo parlato di come leggerla e capirla, ora invece, analizziamone la
forma e il contenuto. Il
contenuto è semplice, forse per questo grande e attuale, la forma
volutamente (anzi rigorosamente voluta), classicheggiante; nella ricerca
minuziosa della musicalità è dichiaratamente moderna. L'alternarsi
continuo di endecasillabi spezzati, limati fino all'eccesso alcune
volte, come ad esempio: «Cuore e gioia / di spazi notturni»; «Giorno
dopo giorno / svolgo dai veli»; «Ma la mano / ti dondola la
cuna»; «Che non vedesti mai / crescer fa luna»; danno al lettore,
la sensazione dell'altalena sospinta dal vento e ci si sente adagiati su
di una nuvola ad inventare giochi nuovi ed efficaci per rafforzare la
fantasia. (…) Pare
che l'effetto del verso nasca dall'intensità del ritmo, da cui si
sprigiona una melodia tutta personale, anzi solo sua. E i versi
acquistano spazio e vibrazioni con i mille
accenti che spiccano il volo come Gabbiani in mare aperto; creano fra le
parole come un vuoto e la melodia si prolunga come un'eco meravigliosamente
sonora. Rileggete quello che ho sottolineato e vedrete che è vero,
quanto affermo. (…) Intanto la visione succede alla visione come fuori
da ogni continuità organica; l'effetto generale è prodotto
dall'intensità delle rappresentazioni particolari che si riassociano e
risuonano nella coscienza più ancora che nella poetessa, la quale
sembra averle coordinate in una vera e propria rappresentazione. Vi
ho parlato, in sintesi, di questa raccolta di versi che, giustamente. ha
scavalcato gli altri concorrenti alla «Prima Talentiade Camugnano
1982», ma non posso congedarmi senza mettere in rilievo la cosa
fondamentale de «I bambini guardano la luna»: l'ironia. L'ironia
scaturisce lentamente come la luce del giorno. Già dalla prima poesia
ti entra nell'anima e scava inesorabilmente fino a scrostartela e ti
senti «nudo» di fronte a questo sole primaverile. È sottile,
ma mai beffarda. Ama veramente i bambini e non col solo sentore di
mamma, ma anche con la dedizione del pedagogo. L'insegnamento, appunto,
scaturisce dall'ironia. L'ironia, intendiamoci, non è nei soli fatti o
nei giochi superficiali, ma negli schemi di una società che risalta
diffusa nel racconto che scoppietta vivacemente, o segue una monotonia
nuda, come una casa in costruzione. Come una casa che sta crescendo in «quel
triangolo di verde» [1) dove il bambino avrebbe potuto giocare
veramente. Questa ironia nuda, mostra le vergogne di una società, la nostra, senza rispetti e ipocrita, ha tutta la parvenza di un sarcasmo nobilissimo. (…) Dall'ironia, infine, sbalza l'insegnamento di Adriana Scarpa, proprio perché il bambino non ha più fantasia. (1)
Da «lo parlo» dello stesso Bromuro. N.d.r.
A
questo premio e a quelli precedenti si sono aggiunti molti altri ed ogni
opera, testimonia sicuramente un premio, così hanno visto la luce: La
vita costruisce le ore, sapiente
(1984, prefazione di Demarchi, premio «Città di Bolzano»),
E indietro ancora nel tempo (1986), Ogni cosa che torna
(1987, prefazione di Sorbello), La nota azzurra dell'anima
(1988, prefazione di Bonanno), Di nome William (1989,
prefazione di Antonello Trombadori, premio «Senigallia
Spiaggia di velluto»), Murales di luce (1990, premio «Città
di Brindisi», Tu l'una, luna (1990, prefazione Alessandro
D'Agostino, premio «Leonardo»), In saecula
saeculorum (1991, premio «L'Acalypha»), Carne e marea
(1992), Al ritmo di marea (1992, premio «Il Portone»), Stregò
la notte Venezia (1994, prefazione Pagliaroli, premio «Omcn»),
Cantari per acque e maree (1995, prefazione Di Stefano Busà,
premio «Prom.Edit»), Il tempo, la memoria (1997, prefazione.
Bellotti, premio «Poeti dell'Adda»), Volevo
ali gabbiane (1998, premio «Carm»), Acqua salsa e
tarabuso (1998, prefazione
Trioschi, premio «M. Yourcenar»), Negli occhi
un riflesso di luna (2000, prefazione Maffeo, premio «Apudmontem»),
Alchimie per una donna (2000, prefazione
Olivia Trioschi, premio «Città di Melegnano»),
Radici d'uomo (2000, prefazione di Capucci, premio
«Pavel»). Vi
ho elencato premi e pubblicazioni, ora analizziamo qualche opera
attraverso le prefazioni. Vediamo
cosa ha scritto dell’opera «Alchimie di donna» Olivia
Trioschi «Donne
che parlano, donne che ridono, donne che si confessano, donne che
lasciano scorrere una perla di luce che dalle ciglia corre giù, a
solcare la dolce rotondità della guancia. L’amore, la forza, il
mistero delle donne. Chi sono le donne, queste creature per le quali
l’ossimoro sembra essere inciso nella carne? Fragili e forti, dolci e
dure, pazienti e insofferenti, fastello di contraddizioni e grembo
dell’umanità. Chi sono le donne? Intorno
a questa riflessione nascono, come petali di una corolla, le liriche
dell’ultima silloge di Adriana Scarpa: «Alchimie per una
donna». Una e tutte, questa è l’idea centrale della Scarpa:
l’idea che esista un’identità e un sentire comune tra donne,
indipendentemente da qualsiasi altra considerazione o collocazione
sociale o professionale. Idea forte e suggestiva, non priva di un
orgoglio tutto al femminile. Le donne condividono un segreto che
l’uomo non conoscerà mai; le donne, quando parlano, toccano corde
segrete e profonde, sanno incontrarsi con la semplicità e
l’entusiasmo di chi, ogni volta, ricrea un mondo. (…) E
tutto questo, miracolo di fatica e amore, rinasce in ogni donna. Ora la
voce della poetessa diventa collettiva e il suo io si espande a
raccogliere in sé quello di ogni donna: «Io
le ho amate e in esse l’essenza di me donna che
nel mio tempo breve conservo memoria di quell’essere state vene
aperte, riso lieve di mandorlo, un miscuglio di insonnia e fatica aggrappate
al bisogno di esistere e
quell’ansia di dare e donarsi col
sorriso a celare la pena» Cadono
le barriere tra passato e presente, tra io e altre; la straordinaria
forza di sintesi che accompagna le donne, che dà loro la capacità di
abbracciare con uno sguardo orizzonti vastissimi, si manifesta in questi
versi densi e come plasmati nella materia (la cui radice, non
dimentichiamolo, è la stessa di madre): la pietra e l’alga, la tela e
la carne. E non deve sorprendere che il canto della Scarpa inizi
proprio con un riferimento ai telai, del resto ripreso nel Monologo di
Penelope: il primo tessuto, in fondo, è il sangue, poi viene la pelle e
dopo ancora la tela. Le donne sanno tessere nel sangue la vita, e il
loro gesto d’amore più antico è proprio quello della tessitura. E
nei versi della Scarpa riprendono vita, quelle donne e quelle
mani, e le vediamo chine sul telaio a intrecciare fili, disegnando
l’aria con mani che custodiscono tutta la storia familiare, che è poi
la storia del mondo. Tanto che l’archeologo del futuro che la Scarpa
immagina ne «La costola di Adamo» troverà proprio lei,
la donna, e da lei dovrà partire per ricostruire la storia: «Noi
siamo sempre, donna, tu
e io le
piccole radici, salde indistruttibili,
le bocche sotterranee che
resistono, una coppa di
ombre e di nettare golosità
futura d’archeologi che
codificheranno con
numeri, con scritte neo-latine le
sagome sbiancate delle ossa». Non
è, dunque, un mondo femminile, da rivista per sole donne, quello che la
Scarpa evoca qui; la declinazione al femminile della storia
parte, come si diceva, da una consapevolezza di sé che attinge alla
vena più profonda dell’essere donna; una consapevolezza matura e
solida come un albero antico che affonda le radici nella terra umida e
libra i suoi rami verso l’alto, ospitando allodole felici; perché
essere donna è tutto questo, ombra e luce, canto e pianto. E a tutto
questo la Scarpa dona la sua voce di poetessa, facendo vibrare le corde
di un linguaggio di cui già in passato è stata notata la ricchezza ma
che qui tocca nuove punte di purezza e tenerezza, indice di un’arte
ormai consolidata e di una stagione poetica feconda. Olivia
Trioschi Paola
Bellotti Commissati
prefazione
a...
«Il
tempo della memoria»
«...
E poi lasciarsi andare nel ritmo avvolgente di questa poesia. Sentire la
gioia afferrarti e la malinconia, e d’improvviso salire e
d’improvviso scendere per scale del tempo senza gradini; e
d’improvviso sentirsi tirare la giacca da una mano immateriata venuta
dal passato a imporre un silenzio trasalente, un ricordo inerpicato sui
tendini dell’attimo, un palpito trascolorato in sinfonie di violini
celati... Non
trovo altri aggettivi degni a identificarla che non siano già stati
detti, accattivanti o incensanti aggettivi che però disperdono il
valore intrinseco del verso, dell’intera poetica: all’oro: oro, e
niente più». Ed
è ancora Olivia Trioschi che ci presenta «Acqua
salsa e tarabuso» Il
titolo parla chiaro: questa nuova raccolta di Adriana Scarpa «Acqua
salsa e tarabuso»:
le poesie che la compongono offrono al lettore il sottile piacere di una
versificazione sciolta e ricca, musicata con perizia intorno alle magie
e agli incanti di una città che, come una bella donna, si concede nel
ritrarsi fondando il suo fascino sulla mutevolezza e l’incostanza.
Consapevole di ciò, la poetessa non tenta neppure per un attimo di
abbandonarsi al puro descrittivismo; al contrario, fin dall’inizio
carica le sue liriche di impressioni, voci e metafore tutte ispirate al
mare, incastonando i luoghi della memoria e dell’immaginazione in
versi che come gli specchi bizantini paiono fatti di rame e oro, così
restituendo figure liquide, brillanti e inafferrabili. «Voglio
spiegarti questa città con
le voci e i capelli di alga col
frusciare di tende e
l’odore di incenso bruciato». Venezia
appare perciò, di volta in volta, come un’immensa coppa di cristallo
che eternamente riflette il proprio liquido ambrato o come un miraggio
di marmi evanescenti e figure alate: e tutto vive e respira, pulsa
d’un suo battito segreto, alita voci mescolate al vento. Si veda ad
esempio «Imbarcadero per l’isola», sintesi potente di
miraggi e misteri, porta aperta sull’infinito di leopardiana memoria e
bella prova di sapienza poetica: «Guarda
Venezia là
in fondo posata sullo smeraldo. Pare
che attizzi fumaioli biondi con
volute di nuvole. Qui
tutto è sempre sul punto di
partire, tornare. /.../ Potrebbe
farsi universo il
pensiero ma
qui voglio lasciarne traccia e
affido a una bottiglia il
mio messaggio / ... / Da
qui si potrebbe salpare ma
è più dolce lasciarmi trascinare nella
magia cangiante di un gorgo e
affondare lentamente dentro
l’abbraccio scintillante controsole». Una
poesia che si avvia così decisamente sulla strada dell’evocazione,
del baluginio di orizzonti lontani, non può non far ricorso, oltre che
alle già citate - numerosissime ed efficaci - metafore a un linguaggio
fortemente allusivo e musicale, ricco di assonanze, consonanze e spesso
sperimentazioni di parole composte. (…)
Il tema della memoria - tanto caro all’autrice come ben sa chi ha
letto anche la sua pubblicazione precedente, «Il tempo, la
memoria» - è qui appena accennato; altrove diventa più
manifesto, ed è recupero, attraverso luoghi e voci, di istanti di vita;
ponte tra il passato e un presente altrimenti inconoscibile; attimo di
dolcezza senza retorica o compiacimento malinconico. Una raccolta,
dunque, che offre molteplici spunti di lettura e che non deluderà chi
nella poesia cerca parole nuove per riflettere su interrogativi. Oltre
gli esempi già citati ecco ancora altri esempi per gustare fino in
fondo la musicalità e l’abbandono spirituale della poesia di Adriana
Scarpa. Anche
il sangue ora tace
Ecco,
stasera i cani non latrano più/ contro
l’arco del cielo cozzano con
l’umida lingua leccano
l’incertezza delle ombre. Sale
una luna di malinconie sul
ranuncolo bianco del respiro e
torneranno ed
io la chiamo Canto
di allodola felice
Se
apro porte e finestre 1)«Il
Poeta Top a cura di Reno Bromuro» (Fonte Atlante Letterario Italiano)
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