S'apriva l'uscio sulla grande aia
per afferrar le stelle nella notte
e stringerle nel cavo della mano.
La mia luccicava sul pagliaio
piccola ancora accanto ad una grande
ultima a morire sul far dell'alba.
Polvere di stelle scendeva allora
sulla gramigna ormai inumidita
sul melo dalla nascita pendente
sui pioppi oranti nel fruscio del vento.
E mi perdevo tra pensieri e stelle
coi piedi nudi sull'aia ancora calda
parlavo al vento e raccontavo del giorno
- la piccola storia d'un piccolo uomo
che a nessuno importa nella povertà del giorno -
e rimanevo ad ammirare il cielo,
chissà per quanto, finché l'umida brezza
penetrava di brividi la pelle.
Solo allora sentivo il cuore vuoto
di braccia che mi lanciassero nel cielo
e la mia stella piccola e tremante
s'avvicinava a quella grande e chiara
- chissà se in cielo ci si può abbracciare
e stringere sul petto anche una stella -
Non c'era il lago, non c'era il mare
oltre il pagliaio che limitava l'aia
ma l'erba scintillava nei riflessi
fluttuando come l'onda dei miei sogni
ed era una distesa, ed era un oceano
nel libero volo della fantasia.
Mia madre lasciava che penetrassi
il buio, perché la notte è dell'uomo
se l'uomo ancora sa guardar le stelle.
|