Il ponte dell'Accademia (1986)
incipit

Gilberto Rossi:
Quel pezzo dell'Autostrada Pacifica, che scende a mezzogiorno da Palos Rojos a Bredley in direzione del confine messicano, ha sul lato interno una catena non interrotta di monti con colori che vanno da quello della terra bruciata a quello della nebbia, e sull'esterno ha una serie di spiagge, molto strette e inclinate in alcuni tratti, in altre invece lisce, bianche e larghe come piazze, sotto il sole pesante.
Fra spiagge e monti dunque si dilunga scintillante l'autostrada costiera del Pacifico, quattro piste nord-sud e quattro sud-nord. Per salire da noi all'Institute si può svoltare dalla costiera per uno qualunque dei tre canyons fra Palos Rojos e Bradley: il Palos Rojos Canyon, il Bitter Canyon, il Bradley Canyon. Io finisco per scegliere quasi sempre il Bitter, sia che io venga da nord o da sud; è il più stretto e sassoso, quasi sempre deserto fra dirupi. In quell'abbandonato silenzio salta lo scoiattolo, la lucertola avanza a scatti, abbagliata; e ogni tanto si scoprono cespugli di fiori dalle tinte di una vivezza accecante.
È abbastanza tortuoso e dapprima è tutto preso in mezzo a pareti ripide, poi man mano che si sale il paesaggio si apre come un immenso fiore disseccato, scoprendo petalo a petalo le successive catene di monti, marrone gli strati vicini, grigio-azzurri i lontani, e ogni tanto, improvvise e lontanissime giù, giù in fondo, lastre d'acqua dell'oceano. Il Bitter a un certo punto finisce nel Palos Rojos, più importante e ampio, tutto bello asfaltato. A tre quarti di miglio da questo incrocio si distendono vasti spazi altipianeggianti che sono stati ottenuti segando via qualche cima di monte. Vi sorgono i vari edifici universitari dislocati quassù, mentre nella cittadina di Palos Rojos a valle è rimasto il centro universitario vecchio, l'old campus, stucco bianco e tegole color mattone, chiostrini e patios fra le palme. Quassù invece, cristalli e metalli.
C'è quassù il Centro di Statistica Aziendale, edificio che possiede centralino telefonico proprio, oltre a elaboratori elettronici nuovissimi. Poi per esempio c'è qui una Stazione di Orticultura Subtropicale. E c'è l'Institute nostro, ossia l'Istituto per l'Analisi del Linguaggio e della Comunicazione.
Da quando ottenni il visto di immigrazione per gli U.S. e accettai l'offerta di impiego fattami dal direttore Alphonse Rossi, questo è il mio indirizzo di ufficio, che per fare l'effetto giusto andrebbe scritto a macchina, spaziatura uno, sul lato destro di una busta formato lungo:
Mr Gilberto Rossi
Palos Rojos Institute for Language and Communication Analysis,
University of Palos Rojos,
Palos Rojos, Calif.

Tante volte quell'indirizzo me lo scrivo da me, me lo batto a macchina su una busta o un foglio bianco per poi stare a guardarmelo con punte di stupefazione.
Sicché eccomi qua, io nato a Portogruaro, cresciuto fra Portogruaro e Venezia, laureato due-tre anni prima della guerra a Milano con un pallido 102/110, variamente impegnato nelle comuni sofferenze politiche e belliche e in modeste professioni culturali fra giovinezza e maturità, eccomi adesso sulla costa del Pacifico a fare parte di uno di quei centri di studio in cui si sta "analizzando il mondo di ieri e di oggi per essere preparati a quello di domani" o frase-chiave del genere; alloggiato bene in una casetta fra vegetazioni subtropicali; si spazia sui monti e sull'oceano dalla finestra della mia stanza da letto; ho inoltre un ufficio comodo all'Institute e una scrivanietta metallica riservata alla biblioteca; stipendio sufficiente; mezzi di ricerca abbondanti: tutto ciò per analizzare documenti di storia degli ultimi cinquant'anni, in particolare italiana: analizzarmeli io, e anche distribuirli fra altri ricercatori più giovani, che con ogni semestre accademico crescono di numero. Nel mio settore teoricamente dovrei decidere io anche i quesiti da programmare per l'elaboratore elettronico che la Statistica Aziendale ci lascia usare per qualche fetta di tempo.
La Opportunity di venire qui sul Pacifico mi si presentò quando pareva che la mia vita in Italia stesse inavvertitamente andando in sfacelo. Si stava galoppando, notai d'improvviso, verso il ventennale dalla fine della seconda guerra; nella nostra stanza alla casa editrice Di Gaetano (io e altri due impiegati) fui il solo a notarlo. Mi accorsi anche che sarebbe poi trascorso un altro ventennio, molto più rapido, tanto da passare quasi inosservato. E già quello ci avrebbe portato, come età, vicini alla settantina. A tutti gli effetti pratici mi pareva di averli già, quei settant'anni lì.

P.M.Pasinetti: Il ponte dell'Accademia, Rizzoli 1986.