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Gilberto Rossi:
Quel pezzo dell'Autostrada Pacifica, che scende a mezzogiorno da
Palos Rojos a Bredley in direzione del confine messicano, ha sul
lato interno una catena non interrotta di monti con colori che vanno
da quello della terra bruciata a quello della nebbia, e sull'esterno
ha una serie di spiagge, molto strette e inclinate in alcuni tratti,
in altre invece lisce, bianche e larghe come piazze, sotto il sole
pesante.
Fra spiagge e monti dunque si dilunga scintillante l'autostrada
costiera del Pacifico, quattro piste nord-sud e quattro sud-nord.
Per salire da noi all'Institute si può svoltare dalla costiera
per uno qualunque dei tre canyons fra Palos Rojos e Bradley: il
Palos Rojos Canyon, il Bitter Canyon, il Bradley Canyon. Io finisco
per scegliere quasi sempre il Bitter, sia che io venga da nord o
da sud; è il più stretto e sassoso, quasi sempre deserto
fra dirupi. In quell'abbandonato silenzio salta lo scoiattolo, la
lucertola avanza a scatti, abbagliata; e ogni tanto si scoprono
cespugli di fiori dalle tinte di una vivezza accecante.
È abbastanza tortuoso e dapprima è tutto preso in
mezzo a pareti ripide, poi man mano che si sale il paesaggio si
apre come un immenso fiore disseccato, scoprendo petalo a petalo
le successive catene di monti, marrone gli strati vicini, grigio-azzurri
i lontani, e ogni tanto, improvvise e lontanissime giù, giù
in fondo, lastre d'acqua dell'oceano. Il Bitter a un certo punto
finisce nel Palos Rojos, più importante e ampio, tutto bello
asfaltato. A tre quarti di miglio da questo incrocio si distendono
vasti spazi altipianeggianti che sono stati ottenuti segando via
qualche cima di monte. Vi sorgono i vari edifici universitari dislocati
quassù, mentre nella cittadina di Palos Rojos a valle è
rimasto il centro universitario vecchio, l'old campus, stucco bianco
e tegole color mattone, chiostrini e patios fra le palme. Quassù
invece, cristalli e metalli.
C'è quassù il Centro di Statistica Aziendale, edificio
che possiede centralino telefonico proprio, oltre a elaboratori
elettronici nuovissimi. Poi per esempio c'è qui una Stazione
di Orticultura Subtropicale. E c'è l'Institute nostro, ossia
l'Istituto per l'Analisi del Linguaggio e della Comunicazione.
Da quando ottenni il visto di immigrazione per gli U.S. e accettai
l'offerta di impiego fattami dal direttore Alphonse Rossi, questo
è il mio indirizzo di ufficio, che per fare l'effetto giusto
andrebbe scritto a macchina, spaziatura uno, sul lato destro di
una busta formato lungo:
Mr Gilberto Rossi
Palos Rojos Institute for Language and Communication Analysis,
University of Palos Rojos,
Palos Rojos, Calif.
Tante volte quell'indirizzo me
lo scrivo da me, me lo batto a macchina su una busta o un foglio
bianco per poi stare a guardarmelo con punte di stupefazione.
Sicché eccomi qua, io nato a Portogruaro, cresciuto fra Portogruaro
e Venezia, laureato due-tre anni prima della guerra a Milano con
un pallido 102/110, variamente impegnato nelle comuni sofferenze
politiche e belliche e in modeste professioni culturali fra giovinezza
e maturità, eccomi adesso sulla costa del Pacifico a fare
parte di uno di quei centri di studio in cui si sta "analizzando
il mondo di ieri e di oggi per essere preparati a quello di domani"
o frase-chiave del genere; alloggiato bene in una casetta fra vegetazioni
subtropicali; si spazia sui monti e sull'oceano dalla finestra della
mia stanza da letto; ho inoltre un ufficio comodo all'Institute
e una scrivanietta metallica riservata alla biblioteca; stipendio
sufficiente; mezzi di ricerca abbondanti: tutto ciò per analizzare
documenti di storia degli ultimi cinquant'anni, in particolare italiana:
analizzarmeli io, e anche distribuirli fra altri ricercatori più
giovani, che con ogni semestre accademico crescono di numero. Nel
mio settore teoricamente dovrei decidere io anche i quesiti da programmare
per l'elaboratore elettronico che la Statistica Aziendale ci lascia
usare per qualche fetta di tempo.
La Opportunity di venire qui sul Pacifico mi si presentò
quando pareva che la mia vita in Italia stesse inavvertitamente
andando in sfacelo. Si stava galoppando, notai d'improvviso, verso
il ventennale dalla fine della seconda guerra; nella nostra stanza
alla casa editrice Di Gaetano (io e altri due impiegati) fui il
solo a notarlo. Mi accorsi anche che sarebbe poi trascorso un altro
ventennio, molto più rapido, tanto da passare quasi inosservato.
E già quello ci avrebbe portato, come età, vicini
alla settantina. A tutti gli effetti pratici mi pareva di averli
già, quei settant'anni lì.
P.M.Pasinetti: Il
ponte dell'Accademia, Bompiani 1968 (2) e 1986.
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