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Attraversata l'anticamera ingombra
di impermeabili bastò a Genziana Horst entrare nel salotto
dei Solmi e guardarsi intorno un attimo per capire che la serata
sarebbe stata inutile: di importante non c'era nessuno. Invitata
per le nove e mezzo, Genziana arrivava poco prima delle undici accompagnata
dall'alta figura di un giovane non noto nell'ambiente Solmi; era
improbabile che la situazione potesse essere salvata dall'arrivo
di nuovi ospiti; nulla ormai poteva mutare ciò che Tranquillo
Massenti, suo amico giornalista superato da tempo ma i cui modi
di dire le erano rimasti attaccati addosso, avrebbe chiamato "la
composizione" o "l'impasto" del ricevimento.
Vedeva prima di tutto i Solmi stessi, al completo: Orlando, il padre,
sempre più pretensiosamente taciturno con l'andare degli
anni e degli insuccessi, il capo chino e gli occhi lucidi e interrogativi
sopra occhiali calati sul naso: un'aria che voleva essere scaltra
e tradiva invece l'incertezza e le visioni di fallimento. E vedeva
Aurora, sua moglie, al contrario di lui sicura ed espansiva, ma
di un'espansività in fondo un po' sospetta di follia, intenta
ora a parlare accanitamente con il "buon" D'Abbate, anch'egli, come
Orlando Solmi, giornalista laborioso e minore. Ed ecco i tre figli,
Duilio, Amerigo e Sebastiano ("Ai tre giovani Solmi - Tranquillo
Massenti aveva detto una volta - hanno messo nomi di unità
della Marina"), che per il fatto stesso di somigliarsi tanto parevano
negati a qualsiasi possibilità di successo; e le tre nuore,
due delle quali erano insignificanti mentre la terza, di Milano,
attraentissima, dotata di un accento nasale e astioso, "nasceva
assai meglio" delle altre due e perciò si teneva sempre
in un suo atto di provocante impazienza.
P.M.Pasinetti: La
confusione, Bompiani 1964.
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