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Oggi una buona parte della comunicazione
scritta e orale ha come tema la comunicazione. I mezzi. Gli strumenti.
Sempre più potenti e rapidi e sempre più piccoli.
Ricordo la nostra prima radio, messa insieme da un amico di mio
papà. Un armadietto. Un trabaccolo. Giravi certe manopole
nere di celluloide e avevi rumori e voci come da un enorme salone
lontano, affollatissimo e poliglotta.
Niente male anche i telefoni. Vedo due grandi occhi metallici su
una testa e un collo cubisti; la manovella pendula da un lato pareva
lo scheletrino di un solitario orecchio; niente naso; bocca di celluloide
nera; sotto c'era il corpicino di quella specie di armadietto a
muro con il blocchetto sul deschetto per appuntare nomi e numeri,
e la forcella a lato con appeso il ricevitore. Si gira la manovella
tipo carillon, si stacca dalla forcella il ricevitore, lo si porta
all'orecchio. Alla Signorina che risponde dài il voluto numero.
Il nostro primo numero di telefono a Venezia è stato otto
zero sette. Il mio adesso, come cifre, è più del triplo.
Fino a non molto prima di allora, come strumento di estesa comunicazione
orale mi vien in mente solo l'urlo. I bollettini della Grande Guerra
venivano letti in Piazza da una delle finestre sopra le Procuratie
Vecchie. Mi dà soddisfazione pensare che è plausibile
io fossi là qualche volta. Dell'ultimo bollettino, un'immagine
che ho molto viva in mente, più che quella del Duca d'Aosta
e della sua invitta III Armata o quella del tricolore che sventola
su San Giusto, è quel semplice Punte di cavalleria sono
entrate in Udine. So a memoria il periodo finale.
I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti
del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano
disceso con orgogliosa sicurezza.
Allora avevano disceso e adesso risalgono,
il soggetto è sempre i resti. Errore. O no? È
una delle mie manie.
P.M.Pasinetti: Fate
partire le immagini, Antenore 2010.
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